di Rocco Boccadamo
Se ne parla raramente, tantomeno ci si sofferma, e, però taluni modi di dire e/o riferimenti e/o veicoli espressivi tuttora in voga e in circolazione in seno alla cultura delle abitudini e, più precisamente, al gergo espressivo dei paesi, specie piccoli centri, dell’Italia Meridionale, rappresentano veri e propri tasselli di storia, insostituibili carri di collegamento al passato e alle tradizioni.
Siffatta considerazione ruota intorno alla preposizione semplice di (in lingua dialettale, nelle accezioni ulteriormente contratte ‘u oppure ‘a), nel senso di specificazione, indicazione di appartenenza o collegamento, origine, provenienza, estrazione, parentela.
A ben ricordare, delle richiamate due lettere dell’alfabeto, in tale funzione, si trova traccia quantomeno dagli antichi Greci, sebbene allora, per rendere l’idea, la preposizione di era magari preceduta dalle parole figlio o figlia. Esempi, illustri esempi, Achille (figlio) di Peleo, Ulisse (figlio) di Laerte.
Anche ai tempi dei Romani, il termine di ( o de) espletava il significato d’appartenenza ad un ambito più grande, una famiglia, ad esempio de gens Iulia.
Sono trascorsi secoli e millenni, ma il discorso è attuale, permane. Solo per citare, nel paese di nascita dell’osservatore di strada che scrive, continua ad essere una costante diffusa, facilmente e semplicemente è dato di enumerare una serie di concrete esemplificazioni:
Arturu ‘a Rosalonga, Cici ‘u Cunsiiu,
Cosiminu ‘u Custanzu, Luigi ‘a Violanda, Ninu ‘u Calogeru,
Pippi ‘a Matalena, Pippi ‘a Semira, Roccu ‘u Minicone,
Totu ‘u Pativitu, Totu ‘a Tota, Ucciu ‘a Gnese, Ucciu ‘u Fiore,
Ucciu ‘u Turiddru, Vitali ‘u Generosu.
La curiosità, o distinzione specifica e inspiegabile, è che, talvolta, il riferimento verte sul nome di battesimo del padre o della madre, in altri casi, su quello del nonno o della nonna; ad ogni modo, il lampo di messa a fuoco che si accende è sempre lo stesso e efficace.
Inoltre, può verificarsi qualche variazione nel tempo: infatti, fin quando è vissuto il di lui padre, il sottoscritto è stato additato e specificato come “Roccu ‘u Silviu”, mentre, dopo la scomparsa del genitore, chissà perché, ha assunto l’appellativo di riferimento “Roccu ‘u Minicone”, con rispolvero non del nonno, ma addirittura del bisnonno per via materna: la mamma di Silvio, Consiglia, era figlia di Domenico (classe 1850 o giù di lì), a quel che sembra uomo particolarmente elevato di statura e, quindi, detto Minicone.
Non c’è che dire, usi e vezzi di ieri se non proprio antichi, tuttavia attuali e in auge ancora il giorno d’oggi.