di Raimondo Rodia
Non si conosce l’esatto periodo di costruzione di questo monumento in pietra calcarea: forse risale al periodo compreso fra la dominazione greca e quella romana, ma c’è chi lo vuole per la sua fattura costruito nel Rinascimento.
Infatti sembra plausibile che le sculture che adornavano la fontana antica siano state riprese nel trasloco avvenuto durante il XVI secolo. Certo è che la fontana esisteva già prima del 1500, in un luogo diverso da quello attuale, e precisamente nella zona denominata “Fontanelle” , nei pressi del vecchio “Ospedale Sacro Cuore”. Ci ricorda del sito l’antico toponimo “Korici”, alterazione del greco “Korikios” [latino: termae]. Questo ci fa supporre l’esistenza di un impianto termale cui apparteneva probabilmente anche la fontana.
Forse a causa di infiltrazioni di acqua marina, essendo il sito troppo vicino alla costa, nel 1548 la fontana venne trasportata nei pressi della chiesa di S. Nicola del Porto, ora distrutta. Solo nel 1560 fu collocata nel luogo dove oggi la ammiriamo, tra il borgo e il centro storico. In quel tempo la fontana aveva la sola facciata di scirocco.
Nel 1765, a spese del Comune, fu costruita la facciata che volge a tramontana, addossata in seguito a quella più antica.
La fontana oggi fortemente consumata dal tempo, dal vento e dalla salsedine, offre sempre uno spettacolo bello a vedersi.
Nella facciata di scirocco quella carica di ornamenti, partendo dalla base, si elevano quattro piedistalli e su questi poggiano quattro figure, due maschili e due femminili, che con i loro capitelli sostengono l’architrave (con scene delle fatiche di Ercole); il fregio e la cornice dividono la facciata in tre parti uguali. Qui sono rappresentati scene dei miti aventi come protagoniste tre ninfe: Dirce, Biblide e Salmace.
Tra le quattro basi vi sono tre vasche sostenute ciascuna da tre puttini: esse ricevevano l’acqua sgorgante dai fori ricavati nelle statue, che si raccoglieva poi nella vasca più grande, oggi sotto il livello stradale.
A sinistra di chi guarda troviamo Dirce, regina di Tebe che, vinta dalla gelosia, oltraggia la nipote Antiope e fu condannata dai figli di quest’ultima ad essere dilaniata da due tori infuriati. Dirce è rappresentata a terra fra due tori e, più in alto, si nota Dioniso nell’atto di trasformarla in una fontana di pietra. Il distico latino sul profilo dell’architrave mette in guardia dai rischi della gelosia.
Al centro troviamo il mito di Salmace, la ninfa che pregò gli dei di formare un solo corpo con Ermafrodito (figlio di Venere e Mercurio) di cui era innamorata. I loro corpi nudi sono rappresentati incatenati, mentre si trasformano in una sola fonte, in presenza di Venere e Cupido. Il distico di Ausonio invita a star lontani dai piaceri dell’amore.
A destra vi è scolpito il mito di Biblide che, innamorata del fratello Cauno e da questi respinta, consapevole dell’errore, pianse fino a consumarsi di lacrime e che gli dei, impietositi, trasformarono in una fontana di pietra. Qui la ninfa distesa stringe tra le mani il mantello del fratello, mentre l’iscrizione invita ad avere orrore di un amore illecito.
Nel fastigio triangolare, che costituisce la parte culminante della facciata, vi è l’emblema del re Filippo di Spagna e ai due lati lo stemma della città.
La facciata di tramontana, costituisce una sorta di spalliera della precedente, con pinnacoli laterali e rosoni a conchiglia. Anche da questo lato è visibile lo stemma di Gallipoli e l’abbeveratoio, dove in passato si dissetavano gli animali.
L’articolo in questione mi ha fatto ritornare alla mente un bel libro che consiglio vivamente a tutti gli spigolatori : Salento scrigno d’acqua.