Prigioniero numero 50860

Prigioniero numero 50860

di Gianni Ferraris

Dopo l’8 settembre, i militari italiani che non aderirono alla Repubblica di Salò, subirono un’offensiva di dimensioni enormi da parte dei nazisti. Ricordiamo, su tutti, i massacri dei prigionieri di Cefalonia, dell’Egeo, di Corfù, dell’Albania. Oltre che di molti altri episodi in Italia e fuori. E sono stati oltre 600.000  i soldati italiani deportati ed internati nei campi di concentramento e di lavoro in Germania. A Hitler mancava mano d’opera per costruire armamenti per “l’offensiva finale”  . Già erano utilizzati molti russi, e prigionieri civili e militari di altre nazionalità, ma ancora non era sufficiente. Non è un caso se Goebbels definì l’armistizio dell’Italia “un grande affare per la Germania”.

Per facilitare il tutto, venne scavalcata anche la convenzione di Ginevra con un semplice cambio di denominazione. I militari italiani si trasformarono da “prigionieri di guerra” in IMI (Internati Militari Italiani). Questo consentì di utilizzarli come forza lavoro, ma soprattutto di non riconoscere il governo Badoglio per il quale i militari internati combattevano la loro guerra contro i nazisti. E provocò anche una vera e propria carneficina. Non avendo lo scudo della convenzione, la Croce Rossa Internazionale non potè intervenire in alcun modo. Non a caso la mortalità per stenti, fame, freddo, fu superiore di molto a quella dei “normali” militari internati. Si parla addirittura di quattro volte rispetto a quella dei prigionieri francesi nella stessa situazione, ma protetti dalla convenzione, per fare un esempio.

“Sulla situazione degli I.M.I., così si era espresso, fin dal 27 marzo 1944, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia: « Il C.L.N.A.I., a notizia del selvaggio trattamento al quale vengono sottoposti, da parte degli aguzzini nazisti, gli ufficiali ed i     soldati italiani internati nei campi di concentramento in Polonia  che si sono rifiutati di prestare servizio nelle organizzazioni militari e civili tedesche; esprime a questi coraggiosi – che pur  brutalizzati e seviziati in tutti i modi, in una suprema   affermazione di dignità e di fierezza, hanno voluto negare ogni collaborazione prestazione al nemico – la sua solidarietà e l’ammirazione dei liberi e degli onesti di tutto il mondo; denuncia i responsabili dei delitti e delle atrocità affinché  siano, a suo tempo, giudicati e giustiziati come criminali di  guerra».  (fonte: ISRAL –Istituto Storico della Resistenza della provincia di Alessandria)

 In questo quadro di massima si snoda la vicenda del   “PRIGIONIERO NUMERO 50860” Di Maria Acierno, edito da Manni. In libreria in questi giorni.

L’autrice ha raccolto la testimonianza del sergente Cosimo, e la ripropone facendo parlare il protagonista. E’ una lunga, dolorosa sequenza di fatti e avvenimenti, di fede per la monarchia e per Badoglio, di prigionia, anche di segreta  solidarietà da parte di tedeschi che certamente non condividevano quell’accanimento inumano. Ed è un ritorno in patria e un lunghissimo silenzio. Lo stesso che ha caratterizzato l’esistenza di molti reduci che forse volevano solo dimenticare. Molti faticarono anche a ripulirsi di quell’infamante marchio di “traditori” che venne loro impresso nella mente e sulla pelle perché cambiarono bandiera. “Traditori”, anche al loro ritorno in patria qualcuno continuava a guardarli male. Certamente è la storia di uomini che non parteciparono alla resistenza, che rimasero tagliati fuori dalla liberazione, e che, forse, al ritorno, faticarono a comprendere che il fascismo era finito e che la democrazia stava nascendo.

Ne abbiamo parlato con lei.

 “Chi è il prigioniero 50860”

“E’ il numero di matricola del prigioniero Cosimo. Il libro è dedicato a lui e a suo fratello Francesco”

“La prima cosa che salta all’occhio è che ogni “parte” del libro è aperta da una poesia di Ungaretti”

“Ungaretti è stato protagonista della grande guerra. Sono poesie scritte in trincea, quindi sono versi rappresentativi”

“La narrazione è di Cosimo in persona”

“E’ vero, io mi sono fatta da tramite. Ho raccolto le sue testimonianze e le ho trascritte senza cambiare nulla. Ho fatto solo un lavoro di risistemazione cronologica, perché durante le conversazioni i ricordi di Cosimo si intrecciavano e si accavallavano. Mie sono le considerazioni in corsivo nel testo. Ho voluto inserire i grandi avvenimenti della storia di quel periodo e inquadrarli nella microstoria di Cosimo”.

 

“Che relazione c’è fra te e Cosimo?”

“E’ un mio parente. In copertina c’è una cartolina riprodotta. E’ una delle sette che Francesco inviò al fratello Cosimo e che ho conservato. Le frasi scritte sulle cartoline sono banali, perché c’era un problema grande di censura. Sono in mio possesso perché Cosimo stesso me le ha consegnate”

 

“Partì giovanissimo militare”

“Si, dopo il normale servizio militare, venne richiamato e inviato in Grecia, in Tessaglia. E la Grecia era occupata dai nazisti. Poi ci fu l’otto settembre e la deportazione”.

 

“Ha aspettato molto a parlare Cosimo della sua esperienza”

“Si, come è successo a moltissimi internati, al ritorno calò il silenzio e la voglia di scordare. Ho conosciuto una signora viennese, Springher, che parlò solo a ottant’anni della sua prigionia.  Quando io sono andata in pensione (Maria è stata insegnante n.d.r.) mi trasferii a Termoli, dove viveva Cosimo, per raccogliere i suoi ricordi. Devo dire che ho dovuto sollecitarlo, ma era molto lucido. Episodi e ricordi frammentati magari, ma ancora limpidi.”

 

“Ne esce un militare tutto Credere, Obbedire e Combattere. Improvvisamente l’8 settembre cambia tutte le carte in tavola. I nemici si trasformano in alleati e viceversa.”

“E’ vero solo in parte, perchè scoprì in Grecia le nefandezze dei fascisti e dei nazisti. E lui non era un fascista, era monarchico. Questo è un fatto che dovrebbe essere indagato approfonditamente. Gli italiani non erano tutti fascisti  o antifascisti. Cosimo era monarchico con un forte senso dello stato. Considerava i fascisti arroganti e violenti anche in patria, prima del richiamo. E mal comprendeva questa aggressione alla Grecia, ad un popolo modesto e pacifico. Come non capiva  le violenze anche alle donne da parte dei nazisti e dei fascisti. E i nazisti erano lì perché Mussolini andò ad occupare la Grecia e non ne fu in grado, dovette chiedere aiuto”.

“Dopo l’armistizio il battaglione di Cosimo non resiste ai nazisti ma si arrende”

“SI, dobbiamo dire che Badoglio, firmando l’armistizio, sottovalutò assurdamente la situazione. Pensava che con la firma tutto si sarebbe risolto pacificamente. Invece conosciamo quel che successe a Cefalonia, fra la Sardegna e la Corsica vennero affondate navi perché gli ammiragli non accettarono. L’assurdità è stata quella di non porsi il problema ed abbandonare in balia di sé stessi i militari. La firma, d’altra parte, era del 3 settembre a Cassibile. Si prese 5 giorni per comunicarlo ufficialmente per dare la possibilità al re di fuggire. E la famiglia reale, proprio in Salento, girovagò qualche tempo per salvarsi. Fu ospite del feudatario di Maglie, poi a Poggiardo, poi a Brindisi. In quei giorni silenzio assoluto. Cosimo e il suo battaglione, in Grecia, si videro improvvisamente puntare addosso le bocche di fuoco naziste. Avessero avuto sentore di quel che stava succedendo forse si sarebbero messi in salvo.”

 

“Tuttavia, Cosimo vede i resistenti greci come banditi”

“Ho messo la parola proprio come lui la ripeteva. Per lui erano banditi. Cosimo, non scordiamo, era monarchico, non antifascista. I partigiani greci facevano sabotaggi e lui li considerava, anche mentre mi parlava, come nemici”.

 

“Il suo battaglione, Invece?”

“Si arresero e vennero deportati. Con la promessa della copertura del trattato di Ginevra, cosa mai avvenuta. E vennero trasferiti a Dortmund e trattati da prigionieri. Aggiungo che gli slavi e gli italiani erano considerati  inferiori dai tedeschi. A differenza dei francesi, dei russi e di altre popolazioni che erano prigionieri nel campo”.

 

“Poi ci sono episodi raccontati, molto truci, alcuni invece più leggeri”

“E’ vero, per esempio il fatto che ogni sera dovevano cantare Lili Marlene. Al freddo e affamati. E ci sono altri episodi: il tranese che inventa il sistema per rubare patate per esempio. Poi l’operaio tedesco che ha compassione di Cosimo e condivide con lui, di nascosto, un po’ di pane e burro.   Venne anche salvato da un civile tedesco che l’aiutò quando lanciò un martello in faccia a un nazista”.

“C’è un termine che ricorre con angoscia: traditore”

“Lui era badogliano, e la similitudine era: badogliano uguale a traditore. La dabbenaggine fu proprio il credere che Hitler avrebbe accettato con leggerezza e senza vendetta questa voltafaccia. Hitler, in realtà, aveva intuito qualcosa. Dalla primavera fino all’autunno del 43 era nell’aria. Non acaso inviò rinforzi a Trieste e l’8 settembre i tedeschi occuparono la città”.

  

“Come ha vissuto il ritorno in Italia?”

“Ha avuto una grande ripresa fisica e morale, ovviamente. Da un punto di vista politico, della resistenza e della liberazione non abbiamo parlato, però lui tornò spossato e stremato e si gettò a capofitto nel suo lavoro di contadino e artigiano e nella sua vita privata. Arrivò a Brescia il 7 settembre del 45”.

 

Maria Acierno – Prigioniero numero 50860 – Manni Editore €15.00

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