NOMI DI ESSENZE VEGETALI TRA SACRO E PROFANO (7)
Li ònghie ti tiàulu
di Armando Polito
Il dialetto è capace anche di questo, di utilizzare il plurale per indicare un esemplare, sempre unico, di un oggetto appartenente ad una categoria diversa da quella indicata dal singolare. È il caso dell’essenza presa in esame nella puntata precedente (ònghia ti tiàulu) e di quella della quale si parlerà oggi. La foto dà ampiamente ragione di questa scelta che trova la sua ragion d’essere sostanzialmente nei cinque rostri del frutto che evocano le cinque dita della mano (cosa che non succede nell’agave).
La forma dei rostri, poi, ha propiziato il passaggio dall’umano al diabolico (ònghie ti tiàilu=unghie di diavolo).
Ecco il resto della scheda:
nomi italiani: pettine di Venere, acicula, spillettone, spilla di pastore
nome scientifico: scandix pecten Veneris L.
nome della famiglia: apiaceae
Pettine di Venere e spilla di pastore diradano totalmente le fosche nebbie diaboliche che si erano addensate nel nome dialettale riportandoci alle rasserenanti atmosfere arcadiche in cui il divino (Venere) e l’umano (pastore) trovano nella natura la trasfigurazione per così dire ecologica di oggetti di uso comune (pettine e spilla). Acicula e spillettone si collocano in una posizione intermedia perché, pur lontani dall’atmosfera che abbiamo appena descritto, non alludono palesemente al cosiddetto mondo del male, ma hanno nella stessa formazione del nome qualcosa di inquietante, si direbbe da atmosfera gotica.
Comincio da acicula, che è dal latino tardo acìcula(m)1 in cui designa la dolabra (ascia a doppia testa e lungo manico usata per spaccare legname e pietre o per immolare vittime sacrificali) oppure proprio la nostra pianta; va notato che formalmente acicula è un diminutivo da acus=ago, modellato sul tipo dei classici avìcula (da avis)=uccellino, aedìcula (da aedes)=tempietto, aurìcula (da auris)=orecchio, etc. etc., ma, come facilmente si vede, il diminutivo è solo formale perché semanticamente è come se fosse esattamente l’opposto.
Questa ambiguità raggiunge il massimo in spillettoni che è accrescitivo di spilletto, il quale, a sua volta è diminutivo di spillo.
Passo al nome scientifico: per il secondo e il terzo componente (pecten Veneris) vale quanto detto per pettine di Venere, che ne è la traduzione. Scandix è voce presente in Plinio2 (I° secolo d- C.), dove indica, però il cerfoglio, analogamente per quanto era successo nell’omologo greco skandix presente in Aristofane3 (V°-IV° secolo a. C.), in Teofrasto4 (IV°-III° secolo a. C.) e a quanto si legge nel suo (di Plinio) contemporaneo, sempre greco, Dioscoride5.
Linneo probabilmente nell’utilizzare questa voce accolse l’ipotesi etimologica che la vuole dalla radice del verbo schàzo=forare.
Apiaceae è forma aggettivale moderna (nel latino classico è apiacae) da apium=sedano.
La serie si conclude con questa puntata, ma resta aperta alle integrazioni che sull’argomento chiunque vorrà gentilmente segnalarmi.
Per le parti precedenti:
2 https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/01/12/plantago-coronopus-nota-come-barba-di-cappuccino/
4 https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/01/18/la-pianta-che-divenne-bicchiere-della-madonna/
5 https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/01/21/ce-anche-lerba-delle-fate/
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1 Riporto la trattazione del lemma dal Glossarium mediae et infimae Latinitatis del Du Cange, Favre, Niort, 1883, v. I, pag. 55: ACICULA 1° dolabra 2° herba, Germanis Veneris radius (1° dolabra 2° erba, per i Germani raggio di Venere).
2 Naturalis historia, XXI, 52: Reliqua vulgarium in cibis apud eos herbarum nomina candryala, hypochoeris et caucalis, anthriscum, scandix, quae ab aliis tragopogon vocatur, foliis croco simillimis (Altri nomi di erbe comuni commestibili presso di loro [gli Egiziani] (sono) la candriala, l’ipocheri e la caucale, l’antrisco, la scandice, che da altri è chiamata tragopogona, con le foglie molto simili a quelle del croco); XXII, 38: Scandix quoque in olere silvestri a Graecis ponitur, ut Opion et Erasistratus tradunt. Item decocta alvum sistit. Semine singultus confestim ex aceto sedat. Illinitur ambustis, urinas ciet. Decoctae succus prodest stomacho, iocineri, renibus, vesicae. Haec est quam Aristophanes Euripidi poetae obiicit ioculariter, matrem eius ne olus quidem legitimum venditasse, sed scandicem (Pure la scandice è posta dai Greci tra le erbe selvatiche, come tramandano Opione e Erasistrato. Cotta stabilizza l’intestino. Col seme in aceto subito ferma il singhiozzo. Si applica ad empiastro sulle ustioni, stimola la diuresi. Il decotto giova allo stomaco, al fegato, ai reni, alla vescica. Questa è quell’erba che per gioco Aristofane rinfaccia al poeta Euripide dicendo che sua madre non aveva venduto neppure verdura vera ma scandice [vedi la nota successiva]).
3 Acarnesi, 478: “Dammi il cerfoglio dato da tua madre!”.
4 Historia plantarum, VII, 7, 1: “Altri in verità accettano [tra le erbe commestibili] innumerevoli altre specie, la scandice e quelle altre piante che hanno forma simile, la tragopogona che alcuni chiamano coma, che ha una radice grande e dolce, le foglie simili al croco ma più lunghe, lo stelo breve con in cima un grande calice terminante con un grande pappo bianco…”; VII, 8, 1: “Comunemente le erbe si distinguono tra quelle che hanno gambi diritti e nervosi e quelle che hanno andamento prostrato come la malva, la scandice…”. La commestibilità cui sembra accennare il primo brano, confermata dall’autore citato nella nota successiva, ma ancor più l’andamento prostrato di cui parla il secondo escluderebbero la possibilità di identificare questa essenza con il pettine di Venere.
5 De materia medica, II, 148: “La scandice che i Romani chiamano erba scanaria, altri acicula. è pure essa un’erba selvatica, leggermente aspra e alquanto amara, commestibile. Mangiata cotta e cruda fa bene all’intestino, è salutare per lo stomaco e diuretica. Il suo decotto bevuto giova alla vescica, ai reni e al fegato”.
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MOLTO INTERESSANTE, CHIARO E SCIENTIFICO.