di Franco Cazzella
La sua storia pone la “Leccese” come pecora a triplice fattori di utilizzo: per il suo latte, per la sua carne e per la sua lana. Da poco ho avuto la conferma che invece il controllo per essere riconosciuta ed iscritta, si misura solo con il quantitativo di latte prodotto.
Secondo me tutto ciò è troppo riduttivo, e vediamo il perchè: nella mia indagine sugli allevamenti ovini in Provincia di Lecce e di Brindisi al di fuori degli allevamenti dell’Associazione Allevatori esiste una popolazione che ha la possibilità di essere recuperata per essere iscritta.
Intanto molti addetti parlano della Moscia Leccese suddivisa in tre taglie, la piccola, la media e la gigante. E’ un grosso errore perchè l’ultimo standard di razza approvato dal Ministero il 22-04-1987 su richiesta dell’Associazione Nazionale della Pastorizia dice: adulti maschi altezza media al garrese 73 cm con coefficiente di variabilità 5,3 %; per le femmine 66 cm con coefficiente di variabilità dello 3,6 %. Pertanto non si deve suddividere per taglie.
Il paragrafo 6) Indirizzo di miglioramento recita:
L’indirizzo produttivo è teso ad esaltare, in soggetti di discreta mole, costituzionalmente robusti, corretti nella morfologia, precoci nello sviluppo e buoni utilizzatori dei pascoli murgiosi, l’attitudine alla produzione del latte e, subordinatamente, della carne.
Il miglioramento, pertanto, è impostato sulla selezione mediante l’accertamento delle capacità funzionali delle pecore nei confronti principalmente della produzione del latte e sull’impiego di arieti capaci di trasmettere alla discendenza buoni caratteri morfo- funzionali.
Ma la Moscia Leccese è la seconda razza pugliese a lana da materasso (la prima è l’Altamurana che produce la migliore lana italiana da materasso), allevata nel Salento, dalle Murge brindisine e tarantine a Santa Maria di Leuca. Cosi la descrive Tortorelli (1973) docente universitario per quarantacinque anni (di cui ventiquattro vissuti intensamente anche alla direzione dell’ex Ovile nazionale e dell’annesso Osservatorio avicolo in Foggia) “Si distingue la sottorazza a vello bianco più selezionata e produttiva, con faccia picchettata di macchie nere estese al ventre ed agli
arti (ricorda la Black face scozzese) e la sottorazza a vello nero che si alleva su pascoli infestati da Hypericum triquetrifolium che negli ovini a cute depigmentata provoca una grave dermatite e piaghe estive. L’ariete ha corna lunghe a spirale aperta (sbarrate), la pecora e acorne. La razza è di mole ridotta, specialmente la sottorazza a vello nero; la pecora pesa 28-35 kg e l’ariete 45-60.
Pur vivendo in ambiente difficile, la pecora leccese ha buona attitudine al latte, superiore all’altamurana; nella lattazione di 6-7 mesi, oltre al latte succhiato dall’agnello, ne produce da 70 a 100 kg con punte individuali di 150 per lattazione e 1,5-2 al giorno. La produzione di carne è modesta ed è fornita dall’agnello, macellato lattante di 8-10 kg di peso vivo a 40-50 giorni.
La produzione di lana è paragonabile a quella dell’altamurana solo nei migliori greggi a vello bianco; nella sottorazza, invece, a vello nero è assai scadente per quantità e qualità”.
Un confronto di tipo si potrebbe fare anche con la razza Karakul, praticamente assente negli allevamenti italiani, mentre in altre parti del mondo, Stati Uniti compresi, sta lentamente ritornando in auge.
Forse non tutti l’avranno mai sentita nominare, ma le pecore Karakul (il nome deriva da una omonima area dell’attuale Turkestan) producono le celeberrime pellicce di agnello Astracan.
Alcuni ricercatori ritengono che sia una delle razze ovine più antiche per quanto concerne l’addomesticamento, una tesi suffragata da numerosi reperti archeologici i quali dimostrano in maniera chiara come già 1400 anni prima della nascita di Cristo, i Babilonesi conoscessero ed allevassero pecore di questo tipo.
I soggetti Karakul sono tutt’oggi particolarmente apprezzati per la loro frugalità e la capacità di sopravvivere in ambienti semidesertici, ma rusticità a parte, è la pelliccia dell’agnello a renderla una razza unica.
Se ne contano tre diversi tipi: Arabi (nero), Guligas (rosato-roano), Kambar (bruno) o Shirazi (grigio).
La più pregiata, di colore nero brillante, con bioccoli ricci e molto serrati, è ottenuta da agnelli non nati, tolti dalla pecora con taglio cesareo.
Se gestite in maniera attenta le pecore Karakul sono in grado di partorire tre volte nell’arco dei due anni, con un tasso di gemellarità non particolarmente elevato. Caratteristica, questa, comune alla nostra Moscia Leccese.
Oltre che per la produzione di pellicce d’agnello, questa razza è anche apprezzata per la qualità del vello, la cui lana bene si presta alla produzione di arazzi e tappeti.
Quanto alla conformazione, vediamo il Decreto del Ministro per l’Agricoltura e le Foreste, F.to Natale il 6 marzo 1972 e pubblicato sulla G.U. n. 118 del 6-5-1972, concernente le norme per la determinazione degli indirizzi di miglioramento e l’aggiornamento dei caratteri tipici della razza ovina Leccese.
Tali norme che vengono a sostituire quelle già in vigore – di cui al D.M. del 7-11-1937 – sono scaturite, così come le altre di recente approvate e relative alle principali razze allevate nel nostro Paese, dall’attività svolta dal Comitato nazionale di studio per il miglioramento della specie ovina a suo tempo istituita – d’accordo col Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste – in seno all’Associazione Nazionale della Pastorizia e presieduto dal compianto Prof. Angelo Salerno.
Sulla base delle decisioni prese dal detto Comitato, infatti, sono stati acquisiti, attraverso gli Ispettorati Agrari e le Associazioni Provinciali Allevatori, molti dati sulle caratteristiche produttive, biometriche e morfologiche della razza. I dati stessi, sono stati rilevati – per la necessaria uniformità e rappresentatività – in tutta l’area di allevamento della razza Leccese e previa istruzione dettagliate ed esercitazioni pratiche ai rilevatori.
I dati biometrici sono stati rilevati su n. 9.200 capi appartenenti a 96 allevamenti e le caratteristiche morfologiche sono state accertate su 14.828 capi di 133 allevamenti.
Sulla scorta dei dati predetti, elaborati presso il Centro meccanografico dell’Associazione Italiana Allevatori, dei risultati dei controlli funzionali eseguiti negli ultimi anni, degli studi condotti presso la Sezione periferica di Foggia dell’Istituto Sperimentale per la Zootecnia di Roma e presso l’Istituto di Zootecnia dell’Università di Bari, nonchè degli elementi direttamente acquisiti dal Comitato sopra citato in occasione di appositi sopralluoghi, è stato predisposto lo schema concernente la determinazione dei caratteri tipici e degli indirizzi di miglioramento della razza Leccese che ha trovato la sua approvazione ufficiale col D.M. del 6-3-1972 sopra menzinato”.
Dopo altri D.M. il 22-4-87 il Ministro F.to Pandolfi approva il nuovo Standard e Norme tecniche della razza Leccese. Sono pure approvati il Regolamento dei controlli funzionali ed il Regolamento delle Manifestazioni ufficiali delle razze ovine da latte e da carne.
Al paragrafo 6 Indirizzo di miglioramento fra il D.M. del ’72 al D.M. del ’87 spariscono i righi “sostenendo nel contempo, l’attitudine alla produzione della lana, la quale, per le sue caratteristiche di lunghezza Ë particolarmente adatta per la confezione di materassi, tappeti ed altri manufatti di tipo artigianale locale”.
Ma una riflessione e preoccupazione maggiore mi viene nella descrizione della razza al paragrafo “a) Caratteri Esteriori -Testa: leggera, allungata, asciutta con profilo montonino e frequente presenza di corna a spirale aperta nei maschi; acorna o quasi, con profilo rettilineo nelle femmine; orecchie di media grandezza con portamento quasi orizzontale nei soggetti a taglia media ed al quanto pendente in quelli a taglia più pesante; peli tattili neri, ruvidi e radi lateralmente alla bocca; ciuffo di lana mediamente corto in fronte”.
La riflessione è: se lo studioso Tortorelli nella pubblicazione del ’73 scrive che “L’ariete ha corna lunghe a spirale aperta (sbarrate, la pecora è acorne” vuoi vedere che, su richiesta degli allevatori, per il fatto che le corna del maschio sono un impedimento nel loro lavoro, i tecnici politici hanno stilato uno standard ufficiale (D.M.) approvando che può essere “frequente presenza di corna a spirale aperta”; e gli stessi allevatori per eliminarle del tutto hanno inserito un’altra razza (mi dicono la Bergamasca). In questo modo il miglioramento si è avuto ottenendo l’eliminazione delle corna nei maschi, mole più grande nei due sessi, differenza di taglia tra i maschi con le corna e quelli senza, con l’orecchio e taglia più piccola che rimangono nei soggetti con le corna; nelle femmine di conseguenza nella taglia più grande abbiamo teste più pesanti, orecchie pendenti e profili montonini.
Mentre avviene questo, si approvano i nuovi Standard e Regolamenti delle Manifestazioni (D.M. ’87). Ma se dal lontano 1987 non si fa una Mostra-Mercato Provinciale, chi giudica le capacità genetiche dei riproduttori?
Sono trascorsi venti anni. Bisogna ripristinare prima fra tutte i Concorsi per scegliere i migliori riproduttori, e i migliori prodotti da loro derivati. Concorsi che si dovrebbero svolgere in sedi sempre diverse del Grande Salento, per far conoscere i prodotti ad un pubblico sempre più numeroso.
Conseguenza che gli allevatori oltre il fatto che nessuno gli giudica più i soggetti nella morfologia ottengono due tipi di pecore ben distinte rimane solo il controllo della quantità del latte a soggetto e la qualità viene misurata su tutte le pecore munte nel giorno di controllo. A mio avviso si deduce che i maschi con le corna sono i rappresentanti che rappresentano l’originale tipo genetico e il rischio di estinzione è reale perchè si contano su una mano gli arieti che hanno le corna, negli allevamenti controllati. Più a rischio di così!
L’importanza di fare le manifestazioni, momento di cultura dove si deve valorizzare la razza, porgerla nella maniera giusta, guidare il consumatore tra alimentazione e cultura. In questo mondo della pastorizia se non c’è la passione, se mancano l’amore e la logica responsabile, che non guardano soltanto alla categoria, ma all’interesse collettivo, al made in Italy, a quel qualcosa di più che è di tutti, siamo fritti.
Cultura (che sta anche per scienza e tecnica), più costante miglioramento, più passione, più responsabilità uguale qualità dei prodotti. E’ una somma matematica, o no? Certamente si. Dobbiamo stare attenti a mantenere sempre alta la qualità. A non dimenticare che noi lavoriamo per scelta, non per necessità. Far crescere i prodotti di qualità nascosti, le realtà che sono delle perle nascoste in un campo e che non verrebbero alla luce senza la curiosità, la cultura degli chef e degli assaggiatori professionisti dei formaggi. Il panorama italiano non si ferma solo al Parmigiano Reggiano.
(estratto da BIODIVERSITA’ A RISCHIO DI ESTINZIONE. LA PECORA MOSCIA LECCESE. Futuro- Presente- Passato, Mario Adda Editore 2008)
Vietata la riproduzione, tutti i diritti riservati all’Autore, che ha espressamente autorizzato la pubblicazione su Spigolature Salentine
per la prima parte si veda:
come giustamente fa osservare l’Autore le foto inserite nell’articolo, tratte dall’archivio di Spigolature e dal web, non ritraggono pecore “leccesi”, le cui caratteristiche sono ben differenti dalle pecore “sarde” della prima foto.