Credo che quando si scrive l’inclusione di elementi strettamente autobiografici sia sostanzialmente inevitabile. Qualunque sia l’argomento. Qui discettiamo settimanalmente dell’arte del mangiare, ovvero di questioni che nella comune vulgata sono archiviate come “leggère” e sicuramente leggère sono. Capita che quando a lèggere siano occhi avvezzi riconoscano tracce sottovalutate anche a chi ha scritto. Devo dar atto di ciò a Marcello che mi ha fatto notare l’alto grado di autobiografia spontanea che traspare dai miei modesti contributi.
E allora, per una volta, voglio esser esplicitamente autobiografico. I miei nonni materni sono stati estremamente prolifici così anche molti dei loro discendenti. E la nonna Giorgina spesso doveva dar udienza a frotte di marmocchi d’ogni età, a volte anche da mangiare.
Il pesce, si sa, fa bene ai bambini ma si sa anche che già allora non era per tutte le tasche. E però, in autunno, era tempo di “pisce cagnulu”, di Spinarolo in italiano (Squalus acanthias) unico squaloide con carni di qualche pregio. Questo pesce date le sue dimensioni e il costo non eccessivo ben si presta alla, come dire, nutrizione collettiva e può esser preparato in molti modi.
Lo Spinarolo fresco ha costo basso perché la sua conservabilità non è molto longeva. Se degrada è facilmente riconoscibile perché assume un odore pungente di ammoniaca.
La mia nonna lo preparava in umido con olive e patate ma vorrei provare a suggerire una coniugazione tra l’antico e l’ipermoderno anche per non rimanere chiusi nell’autobiografico del quale, con molta probabilità, non importa a nessuno.
Trovato lo Spinarolo fresco (Zona FAO 37.2.1) fatelo spellare e spezzettare. Se invece lo trovate fresco va bene anche quello surgelato, occhio a quello decongelato che non è proprio il massimo.
Si ricordi che stiamo parlando di una qualità di pesce molto economica ma sicuramente con caratteristiche migliori di altri prodotti ittici che vanno per la maggiore.
Giunti a destinazione preparatelo in questa maniera.
Vaporiera alla mano, mettere nell’acqua carota, cipolla, sedano, grani di pepe nero, e un cucchiaio di aceto bianco e i tranci di spinarolo nell’apposito alloggiamento. Quando il pesce è cotto (ci vorrà una mezz’ora o più, dipende dalle dimensioni dei tranci) disporlo su una pirofila, regolarlo di sale e spolverarlo con erba cipollina. Poco prima di servire passare un filo di OEVO e coprire con ARIA DI LIMONE.
Le arie sono, come è noto, prodotti che hanno in Ferrand Adrià il maggior cultore, ma possiamo prepararle anche da noi.
Occorre un mixer, della lecitina di soia e il succo di limone. Una punta di cucchiaino di lecitina (la dosa giusta sarebbe 0,4%) si stempera con un po’ di succo di limone nel cucchiaino stesso. Se vi guardano strano non fa nulla, è che l’operazione somiglia tanto a ciò che fanno i tossicodipendenti con l’eroina.
Eliminati i grumi mettere nel bicchiere del mixer e aggiungere il resto del succo. Tenendo il bicchiere leggermente piegato si fa andare il frullino incorporando la maggiore quantità di aria possibile. La schiuma cresce a vista d’occhio fino a riempire il bicchiere. Si lascia riposare un minuto per drenare il liquido e quindi, con un cucchiaio, si ricopre lo spinarolo di schiuma.
La decorazione profumata dura 10-15 minuti. Effetto scenico assicurato e il limone è molto meno aggressivo. Per la sostanza, accompagnare il pesce con una insalata di riccia, insalatina e mela verde arricchita con un cucchiaio di semi di sesamo …
Provate a pasteggiare con Sciafì, allegro Chardonnay dei Feudi di Guagnano dai sentori agrumati, vi sembrerà di essere tornati per un momento in estate, tra frotte di bambini chiassosi che zampettano sulla battigia … ma questo è di nuovo sapore d’antico.
pubblicato su Nuovo Quotidiano di Puglia del 12-11-2010
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