L’ESPERIENZA DEGLI ALBERI DELLA LIBERTA’ IN UN LIBRO DEL TUGLIESE GERARDO FEDELE
di Paolo Vincenti
In questi giorni di grandi discussioni, anche sulle colonne dei giornali locali, sull’Unità d’Italia, su briganti e secessionismo, Borboni e Sabaudi, e via dicendo, risulta particolarmente significativo questo piccolo libro, dal lunghissimo titolo, pubblicato in Salento non molto tempo fa. Parliamo di Coppola rossa, bandiere a tre colori, ‘nnocche e ‘nzagarelle. Quando in Terra d’Otranto si piantarono gli Alberi della Libertà , di Gerardo Fedele (Tip. 5Emme, Tuglie, 2009), pubblicato con il patrocinio del Comune di Tuglie e della Società di Storia Patria per la Puglia, sez. di Maglie- Otranto-Tuglie.
Il libro fa luce su un periodo storico molto importante per il Regno di Napoli, vale a dire quello della Repubblica Partenopea del 1799, un’esperienza esaltante quanto effimera, che coinvolse molta parte del ceto intellettuale napoletano e meridionale dell’epoca. Ma, come una meteora, brillò per pochissimo tempo nel cielo per poi spegnersi inesorabilmente.
Come sappiamo, la Repubblica Partenopea fu instaurata nel gennaio del 1799 in seguito all’invasione delle truppe francesi, al comando del Generale Championnet , che rovesciarono la monarchia borbonica e cercarono di far trionfare la democrazia in un regno, quello di Napoli, ancora legato ad antichi retaggi feudali. Purtroppo questa esperienza fallì miseramente dopo pochi giorni ed i Borboni, ritornati in patria, iniziarono una durissima repressione nei confronti di quanti avevano parteggiato per i Francesi.
Fior di intellettuali furono condannati, dopo processi sommari, perfino alla forca ed altri furono costretti a scappare e prendere la via dell’esilio. C’è da dire, infatti, che questa esperienza riguardò soprattutto una sparuta minoranza della popolazione napoletana, quella dei giovani e rivoluzionari affascinati dagli ideali di uguaglianza, libertà e fratellanza, della Rivoluzione Francese del 1789.
Non attecchì invece presso la stragrande maggioranza del popolo, che rimase sorda a queste rivendicazioni e tutto sommato fedele al re Borbonico. Fu quindi facile per le truppe confederate sanfediste, guidate dal Cardinale Ruffo, entrare nella città partenopea e fare strage dei ribelli, con l’aiuto dell’Inghilterra, nemica della Francia.
Questa esperienza della Repubblica Partenopea non rimase circoscritta alla capitale del regno ma si estese in tutti i territori dell’Italia Meridionale fino ad arrivare, insospettabilmente, nei paesi più periferici, come quelli di Terra d’Otranto.Tanti furono, nel nostro Salento, i patrioti come, solo per citarne alcuni, Francesco Paolo Astore di Casarano, i fratelli Briganti di Gallipoli, Ignazio Falconieri di Monteroni.
Gerardo Fedele nel suo libro si occupa in particolare della sua cittadina, Tuglie, dove, come in molti altri paesi limitrofi, tra i quali Parabita, si respirò per un breve arco di tempo un’aria di rivoluzione, ispirata dagli ideali immortali della democrazia e del buon governo. Il simbolo della rivoluzione fu il cosiddetto “Albero della Libertà”. E come a Napoli, anche nei paesi più sconfinati del regno, vennero issati, nel centro delle piazze, questi alberi, simbolo di una battaglia persa in partenza e per questo, forse, ancora più romantici, perché profumati di utopia.
In effetti gli ideali della Rivoluzione Francese risultavano inapplicabili al Regno di Napoli per la profonda differenza sociale, culturale e politica rispetto, non solo alla Francia, ma anche al Settentrione d’Italia. I popolani erano afflitti da problemi molto seri come quello di sbarcare il lunario, data l’indigenza nella quale si viveva, e non potevano certo vedere di buon occhio la predicazione di contenuti astratti come quelli che propugnavano le “coppole rosse” , quelle che danno il titolo al libro di Fedele; anzi questi princìpi rivoluzionari borghesi portarono ad esasperare il sentimento anti francese del popolo che vedeva gli stranieri come invasori e distruttori dello status quo. In effetti, “dov’è la libertà? Dov’è la fratellanza?
Dov’è l’uguaglianza?” si chiede Dario Massimiliano Vincenti, Presidente della Soc. Storia Patria sez. Maglie, nella sua Introduzione, “ ovvero, la Repubblica Partenopea che finisce non per la spinta ed i denari borbonici, ma per un antifrancese sentimento di popolo”.
Nella ondata di risentimento generale, tutti i rivoluzionari vennero spazzati via e il Re Ferdinando IV poté ritornare in sella più forte di prima e più determinato a mantenere con tutti i mezzi in mano il proprio potere. Ciò portò a delle conseguenze nefaste perché il re si arroccò sulle proprie posizioni e si chiuse anche a quelle timide concessioni che, prima della Repubblica Partenopea, aveva fatto alla causa popolare.
Nel libro di Fedele, dopo un breve scritto del Sindaco di Tuglie, Daniele Ria, compare la Presentazione del Senatore Giorgio De Giuseppe, oggi Difensore Civico della Provincia di Lecce, che parla della ricerca di Gerardo Fedele come di un atto d’amore dell’autore verso la propria patria. Dopo il già citato scritto del dott. Dario Massimiliano Vincenti, compare un contributo dello stampatore dell’opera, Giuseppe Miggiano, con “Una storia da raccontare”; poi un “Asterisco” dell’autore, Fedele, che si sofferma sulle caratteristiche degli alberi della libertà, e quindi la Prefazione dell’autore stesso, il quale scrive che le intenzioni dei giacobini napoletani, nell’esperienza del 1799, erano alte e nobili nonostante una certa pubblicistica storica abbia voluto far credere il contrario.
Fedele difende le ragioni dei democratici napoletani e i loro ideali che però finirono schiacciati, nel gioco delle parti, dalle ragioni di predominio dei Francesi, da quelle di salvaguardia del potere dei Borbone e da quelle dei popolani che si sentivano più difesi e garantiti dalla monarchia.
“L’esperienza rivoluzionaria del 1799”, scrive Fedele, “ fallì per l’impossibilità o incapacità della borghesia repubblicana di collegarsi e fare causa comune con le masse popolari… Questi napoletani non solo subirono gli oppressori francesi, ma ebbero il torto di “insorgere” contro quegli stranieri. Non furono chiamati patrioti, come si dovrebbe dire.., ma lazzari, straccioni, plebaglia, ribelli, ma anche brigand, dando il via, con questo franco neologismo, ad esasperare il fenomeno del brigantaggio. Molti di questi infatti, per evitare la forca, furono costretti a darsi “al bando”, diventando banditi e fuorilegge, la legge marziale dei giacobini francesi”.
Rimane il fatto che quella degli alberi della libertà fu una esperienza straordinaria e ci aiuta a capirlo anche questo libro di Gerardo Fedele, dalla bellissima copertina in cui è raffigurata l’opera “Veduta del porto di Gallipoli”, del pittore tedesco Jakob Philipp Hackert, e in cui sono presenti molte belle immagini e una approfondita Bibliografia.