di Rocco Boccadamo
Da settimane, come è noto, si vanno leggendo e vedendo tristi cronache e
immagini relative alle eccezionali precipitazioni e agli straripamenti di
alcuni fiumi su vaste aree del Veneto, incluse, purtroppo, nel rendiconto,
alcune vittime fra gli abitanti, incommensurabili stragi di animali
d’allevamento, seri danni ad abitazioni, esercizi commerciali, aziende e
fabbriche. Insomma, una grave e pesante emergenza.
E però, l’odierno pomeriggio in una località dell’Alta Padovana è
eccezionalmente illuminato da discreti raggi di sole e caratterizzato da clima mite. Ciò, con chiara gioia e tangibile godimento per il “foresto”, curando
alle terme, che si trova a soggiornare temporaneamente nei paraggi, essendogli finanche dato agio di compiere passeggiate a piedi e di rimirare intorno.
In prossimità di un deposito del Consorzio Agrario, ora inattivo, incastonata
su un vetusto ma sempre solido muro, s’affaccia una targa in marmo, recante, incisa, la dizione “ASS.NE TREBBIATORI E MOTORATORI” (proprio motoratori, non motoaratori secondo dizionario).
Tale insegna risale, probabilmente, a molti decenni, chissà se non a più di
mezzo secolo fa, allorquando il settore dell’agricoltura era il prevalente e
determinati atti o fasi, nel suo contesto, costituivano autentici riti e/o
missioni. All’epoca, non a caso, si ponevano, vivi, forti e saldi, sentimenti,
segni, principi e valori, sopra ai quali poggiava un’autentica civiltà,
giustappunto la civiltà rurale o contadina, abito di prezioso riferimento per
le comunità coesistenti.
Poi, piano piano, tutto è venuto cambiando, si sono gradualmente imposti altri mondi e altre storie.
Nondimeno, la targa in questione vale a rimandare la sensibilità del “foresto” alla sua terra d’origine, dove, prima che arrivassero le macchine con motori a scoppio, la cerimonia della trebbiatura, solenne come poche, si svolgeva su basolato delle aie campestri, con l’insostituibile ausilio di baldi e robusti cavalli trainanti grosse pietre per lo sbriciolamento delle piante e delle spighe, e, ancora, di braccia, forconi e badili. Completata la “ientulatura”, la cernita a mano e la conservazione dei preziosi chicchi in sacchi di iuta, il rito finale di ogni turno consisteva in una spartana riunione a tavola, la sera, nell’abitazione del proprietario della messe, per una mangiata di pasta asciutta, va da sé, fatta in casa, condita con pomodoro e basilico.
Non distante dalla targa rievocatrice della coppia di categorie di operatori
dei campi, ecco sorridere, invece, un grande manifesto multicolore con
l’annuncio “FESTA DEL BACCALA’, DAL 19 NOVEMBRE AL 5 DICEMBRE” .
Non più il grembo dell’agricoltura, ma pur sempre un corollario/proposta di cibo, alimentazione, leccornie a base ittica, fa niente se con prodotti
provenienti dal Nord Europa. Si pensi, quasi tre settimane di festa, si
immagini quanta goduria di assaggi, mangiate, abbuffate, magari alla sera e nei giorni festivi.
Anche in questa ultima fattispecie documentale, si materializza, d’incanto,
l’accostamento ad un’antica e tradizionale usanza del sud e, propriamente, del Salento, che tuttora resiste. Il 7 dicembre, vigilia della Festa
dell’Immacolata, si è soliti caratterizzare i pasti in modo particolare, ovvero
puccia con olive o uva passita, imbottita o non di tonno sottolio, a
mezzogiorno, mentre, alla sera, pastina in brodo con baccalà per pietanza.
Una volta tanto, perciò, affinità e vicinanza ideale, almeno sulla tavola, fra
Veneto e Tacco.
Approssimandosi il tramonto, volge a compimento anche la puntatina del ragazzo di ieri a contatto dei paesaggi dell’Alta Padovana, con il rientro in città in treno, precisamente su una littorina. Il mezzo non è dissimile da quelli che si vedono circolare sui binari delle Ferrovie Sud Est, salvo che, qui, lo sguardo dello scrivente coglie una inopinata, gradevole connotazione distintiva: nella cabina di guida, regno del mitico macchinista, siede e opera una donna giovane e carina.
Terminando, si può forse chiosare con il quadretto “tradizioni e immagini che permangono, accanto a innovazioni che avanzano”.
Piace, in fondo, il mondo che si muove, è un segno positivo.