di Pino De Luca
La storia del vino avvinghia la storia delle umane genti come la vite sa avvinghiarsi al tronco o al filo di spalliere e pergolati. Risale alla notte del tempo in tutte le latitudini che la vigna può occupare.
La pianta delle quattro stagioni ha lasciato traccia di sé in antichi scritti del celeste impero, dell’Egitto e della Siria. Dell’Ellade e della Magna Grecia e di quella che, per la sua ricchezza e fertilità fu detta Enotria. Tracce nei libri sacri, suggellatrice del primo atto del patto dell’Arca, generatrice di felicità e di conflitti che trova nell’opera di Cristo la sua santificazione nell’atto della comunione all’ultima cena.
E come l’umanità i vitigni, facili all’innesto, hanno viaggiato in lungo e in largo per le terre dell’Eurasia, e si son diffuse nei cinque continenti vestendo sempre più gli abiti dell’emigrante e sempre meno quelli del viaggiatore.
Così è stato per tutti e così è anche per le terre del Salento, terre ricche di storia enoica fin dalla comparsa dei bipedi implumi ma nelle quali i “vitigni autoctoni” sono figli dell’emigrazione di uomini e di piante, qui si sono acclimatati e hanno trovato sesto, sviluppandosi e riproducendosi, creando colture e culture.
Raramente la storia ha un principio preciso, ogni volta che si narra del passato per sostenere una idea o uno stato del presente si fa una cesura stabilendo arbitrariamente un “punto di inizio della storia” e questa arbitrarietà è fonte di infinite discussioni poiché spostando in avanti o indietro la genesi di un pensiero muta il pensiero medesimo e il suo significato.
Per la vite invece si può ricordare il principio di una nuova storia: 17 febbraio 1863. In quel secolo guerre spaventose hanno devastato l’Europa, nuove tecnologie si sono affacciate a modificare la vita e l’organizzazione sociale del Vecchio Continente. I sentimenti di civiltà espressi oltralpe alla fine del secolo precedente, per quanto sconfitti si sono radicati. Ma un piccolo afide, microscopico e letale, distrugge tutta la tradizione vinicola del regno della viticultura: la Francia. La fillossera della vite compie il misfatto devastando la quasi totalità dell’agricoltura francese che rimane priva di uve. In Italia la fillossera non è giunta e il 17 febbraio 1863 viene stilato un trattato commerciale tra Italia e Francia per la fornitura di uve e vino. Il Salento nelle mani del latifondo viene rapidamente riconvertito impiantando estensioni di vigneti a perdita d’occhio. Il tabacco, il grano, i frutteti e le ortive, finanche gli oliveti, lasciano spazio ad una monocoltura della vite con un sesto straordinario per le terre salentine che rimarrà per oltre un secolo il simbolo della campagna: l’alberello.
Il vino da palmento, per piacere personale e alimentazione da masseria lascia spazio ai vini da taglio che, in vagoni cisterna su lente tradotte, partono per la Francia e il Nord Italia. Dura poco, circa vent’anni. I Francesi impiantano nuovi portainnesti di vite americana resistente all’afide e già nel 1881 il trattato diventa più restrittivo. Crisi di produzione e ricerca di nuovi mercati, nuovi trattati con Austria e Germania e nuovi vagoni fino al 1892 quando la fillossera arriva anche qui distruggendo ogni cosa. Finché, nel 1930 non si ricomincia con nuovi portainnesti e nuove talee riprendendo Primitivo, Negroamaro e Malvasia nel tentativo di ricercare il passato migliore.
Un passato che non tornerà se non a sprazzi, e il vino emigrante sarà sostituito dagli emigranti del vino. Un tempo partivano i mosti poi cominciarono a partire i braccianti nonostante le politiche di sostegno. E quando il mercato sussultava la piaga della sofisticazione contribuiva a soffocarlo, fino alla cecità e alla morte di ignari consumatori.
Poi la presa di coscienza e la svolta, nessuno avrebbe più voluto vini da “tagliare” e allora Primitivo e Negroamaro e Malvasia, Sussumaniello e Ottavianello e Aleatico hanno ricordato le origini, alcune antichissime come il Primitivo e il Negroamaro e si son messi in proprio. Produttori coraggiosi hanno cominciato a lavorarli per ottenere prodotti qualitativamente proponibili e, in molti casi, abbiamo dei veri e propri must. Nelle classifiche mondiali e nelle guide specializzate i vini del Salento e le loro declinazioni hanno assunto fama internazionale, dai pionieri Leone De Castris e Cosimo Taurino ai “miti” dell’Enologia planetaria come Severino Garofano fino ad una molteplicità di aziende di varie dimensioni che sul mercato internazionale fanno la loro grande figura. Il solco è tracciato, nuove mani e nuove menti sui campi e in cantina possono ridare alla viticoltura pugliese antichi splendori, e stavolta non più “vini emigranti” ma vini “viaggiatori” che è molto meglio esportare la gioia che la fame.