di Giuseppe Tarantino
Il tesoro scomparso della nobile famiglia Sambiasi: un patrimonio di milioni di euro che potrebbe aver giocato un ruolo determinante nelle decisioni assunte riguardo il futuro dell’ospedale di Nardò.
Nella conferenza pubblica “La morte annunciata dell’ospedale di Nardò”, organizzata dal Comitato civico “Spes Civium” in difesa del “San Giuseppe – Sambiasi” , che si è tenuta nei giorni scorsi nel Chiostro di Sant’Antonio, si tirano fuori carte e documenti notarili e nasce il “giallo”: che fine ha fatto il “tesoro” che avrebbe salvato l’ospedale di Nardò?
Antiche carte conservate nell’archivio storico del Comune e dell’Ospedale civico, vengono alla luce grazie all’analisi storica condotta da Marcello Gaballo, medico e storico locale, il quale nel corso del convegno rivela l’esistenza di un vero e proprio “mistero” sulle sorti dell’ingente “lascito perpetuo” che la nobile famiglia neritina dei Sambiasi donò, nel 1741, ad un “Pio Monte” con il preciso scopo di finanziare lo sviluppo dell’Ospedale di Nardò.
Un patrimonio ingentissimo che, tra l’altro, comprendeva la masseria “Ingegna”, la chiusura in contrada “Fabrizio” (1680 alberi di ulivo), le masserie “Taverna”, “Cravascio”, “Bella Nova” e “Corsari”, un palazzo su via Lata, un giardino al “Ponte”, sei case nel “vicinio” della “Misericordia”, una bottega nei pressi di San Domenico, alcuni magazzini in Gallipoli, capitali dati in enfiteusi a varie persone, canoni e censi gravanti su case e terreni. “Le regole del Pio Monte furono confermate con Regio Assenso di Ferdinando IV l’8 agosto 1783, -scrive Marcello Gaballo- fu amministrato dalla Commissione Comunale di beneficenza, poi dalla Congregazione di Carità. Il patrimonio dell’istituzione nel 1927 ammontava a Lire 638.888,60”.
Le volontà testamentarie dei donatori furono rispettate sino agli anni ‘70 dello scorso secolo, quando la riorganizzazione sanitaria italiana rivide tutto l’assetto e la stessa gestione. Sono gli anni in cui, misteriosamente, non si ebbe più notizia di quell’ingente patrimonio lasciato “a pro dei cittadini, in perpetuo” -così è scritto nell’atto notarile- e che se oggi dovesse essere quantificato corrisponderebbe a svariati milioni di euro.
“È evidente –conclude Gaballo- che l’ospedale a Nardò si regge su un lascito che oggi non può ignorarsi, anche se risalente a oltre duecento anni fa. Proprietà tuttora ben identificabili, notevoli, che furono lasciate ad esclusivo godimento dei neritini che oggi non possono essere privati di un bene che fu loro donato da gloriosi cittadini lungimiranti e regolato da precise norme, purtroppo evase e, forse volutamente, dimenticate”.
pubblicato su “Quotidiano di Lecce” il 12/11/2010
ERANO I TEMPI IN CUI BENEDETTO LEUZZI IMPERAVA SU NARDO’, SICURAMENTE LUI E I SUOI ACCOLITI AVREBBERO QUALCOSA DA DIRE IN PROPOSITO?