di Rocco Boccadamo
Anche nell’andante 2010, così gravido d’eventi tristi, problemi e difficoltà d’ogni genere, intoppi profani, scansioni talvolta indecenti e dal sapore sgradevole, sta per arrivare l’11 novembre, data da sempre intesa come ricorrenza della festa di S. Martino di Tours, vescovo e confessore.
Secondo copione naturale, dissoltesi ed esauritesi, almeno qui nel Salento, le nuvolaglie e le intense piogge dei giorni scorsi, è riapparso il sole sull’immenso copri cielo azzurro, con temperature intorno ai 20 gradi: insomma, nel rispetto della tradizione, si può parlare ancora di estate, giustappunto, di S. Martino.
Nonostante le nuove e moderne tecniche di trasformazione dei grappoli, in concomitanza e in tutt’ uno con la celebrazione di che trattasi, vale sempre, nel sentire popolare, l’antico detto ”il mosto diventa vino”. Un’atmosfera, in fondo, di soddisfazione per un prezioso e utile prodotto ottenuto dalla terra e grazie al lavoro e intrisa, altresì, di buoni auspici per le stagioni, le messi e i raccolti a venire.
Si affaccia, dunque, un altro S. Martino e pure chi scrive ne avverte e respira il particolare clima. E però, in aggiunta alle usuali e sperimentate sensazioni, stavolta, dal di lui animo, si diparte, spontaneo, il desiderio di conferire, alla rievocazione e alla stessa essenza della festa, un’impronta originale, su una soglia di valori nettamente diversi.
In che modo, nel concreto? Sotto forma di tre dediche.
La prima, in omaggio all’operaio 42enne di Manduria (TA), da poco licenziato, che, alcune settimane fa, si è tolto la vita in preda alla disperazione e per il timore di non trovare più un lavoro e, quindi, di non essere in grado di mantenere la propria famiglia. Notazione agghiacciante a latere della tragedia, l’uomo era stato per lunghi anni impiegato in una cava per l’estrazione di tufi nelle campagne di Avetrana (TA), coincidenza geografica che, alla luce di altre tristissime cronache attuali, non passa certamente inosservata.
La seconda dedica è, invece, rivolta all’agente delle forze dell’ordine, preposto alla tutela della sicurezza e dell’incolumità del noto scrittore Saviano, al quale, come sottolineato dal conduttore della trasmissione televisiva “Vieni via con me” andata in onda su RAI3 lunedì 8 ottobre, mentre il comico Benigni si produceva in un’artistica ed esplicita esorcizzazione dell’azione malefica della camorra, che vede in Saviano un acerrimo nemico, è spuntata un’indicativa lacrima di commozione, non bisognevole di commento, testimone e sintomo dei terribili estremi – percepiti e sfiorati – di dualismo, conflittualità e lotta fra male e bene.
L’ultima, s’intende farla all’indirizzo e a beneficio ideale del diffusissimo, variegato e variopinto universo di immigrati inseriti e presenti in seno all’universo convenzionalmente definito indigeno. Pur alla presenza di drammi, sofferenze, devianze e miserie, non ci si può nascondere all’infinito, impassibili, dietro a distinzioni e discriminazioni fondamentali tra i due “mondi”.
Anzi, il cammino, avviato e inarrestabile, verso l’integrazione, con il passare del tempo e delle generazioni, si rivelerà vieppiù all’unisono, dando luogo, ritornano i buoni auspici, alla formazione e alla maturazione di un’umanità caratterizzata da spirito solidale crescente, in cui ciascun individuo di buona volontà avrà modo di riconoscersi.