Libri/ Le relicue

LE RELICUE DI  TONIO INGROSSO, POETA MATINESE 
 

di Paolo Vincenti

Con  Relicue, Tonio Ingrosso, matinese, torna alla poesia, dopo alcuni anni dedicati interamente al teatro.  Relicue (con la “c”) è una raccolta di poesie in vernacolo pubblicata da Zane Editrice (2005), con Prefazione di Aldo D’Antico. Tonio Ingrosso canta nei suoi versi la propria terra, “terra te petre”, con  le sue tradizioni e valori portanti, la bellezza della sua natura, scegliendo il dialetto come testimonianza, civile e poetica, delle proprie radici, come segno distintivo della propria salentinità, come senso di appartenenza, che lo accomuna ad altri “grandi” della poesia vernacolare, fra i quali, senza andare troppo lontano da Matino, Rocco Cataldi, poeta parabitano recentemente scomparso, al quale Ingrosso era legato da grande amicizia. Proprio Rocco Cataldi diceva: “Tonio Ingrosso canta la sua terra con una accoratezza spontanea fino all’inverosimile e questo canto lo si può elevare solo quando si è vissuti in realtà incisa sulla propria pelle”. 

Giustamente Aldo D’Antico nota che “… in un tempo in cui l’informatica ha invaso pervasivamente ogni spazio della comunicazione, sostituendo antichi e consolidati strumenti del leggere e dello scrivere e omologando stili, modelli, paradigmi, la scrittura diventa ogni giorno di più meno ricca e creativa […] e la scelta del dialetto come forma espressiva di contenuti poetici, oggi più che mai, diventa strumento che modifica vecchie incrostazioni letterarie, [ …] non solo nella semantica ma anche nella sintassi” (dalla Prefazione). Il titolo del libro non tragga in inganno; ché  non si tratta affatto di un reliquario, contenente sentimenti desueti e cose omai dimenticate dal tempo, ma di poesia autentica, si tratta, viva e pulsante. Infatti, l’amore per le proprie radici, l’attaccamento ai propri affetti, ai famigliari, agli amici,a tutti coloro ai quali “ùjaca lu core” come a lui, al proprio paese, “stozzu te paratisu”, alle proprie care cose, le “cose ‘zzate”, le cose fatte ed anche le “cose nu’ fatte”,   la nostalgia del tempo che passa, sono sentimenti nobili ed eterni che, sempre, albergheranno tra le pieghe degli animi più sensibili, quale l’autore di questa silloge dimostra di essere. Anche l’uso della lingua dei padri, ben lungi dall’esprimere un conservatorismo sterile ed inaccettabile, testimonia invece tutta la forza di chi, nella società globale del 2006, è capace ancora di scelte coraggiose e rifiuta di esprimersi nella lingua (essa sì sterile e massificata) di Internet.

Tonio Ingrosso è un poeta fanciullo, il “Cardarelli del Salento”, come lo definisce Antonio Nahi, nella quarta di copertina, “un poeta puro, sobrio, essenziale ma, al tempo stesso, prodigo di umana condizione e cantore della condizione umana[…] il suo studio di ricerca sembra dirigersi verso contenuti lirici più che esistenziali, pastorali […] per certi attacchi che indugiano a temi pervasi di umana cristianità”. L’autore, che si fa  laudator temporis acti,  in un mondo in cui è possibile “tte bbinchi t’ogni spilu”, sceglie ancora la propria terra, la semplicità delle buone cose di una volta,  quei valori, pochi ma indistruttibili, sui quali costruire la propria esistenza. E questo “reliquario” diventa allora urna preziosa, scrigno di  inestimabili ricchezze, di cui il poeta matinese fa dono a tutti gli animi puri come lui che vorranno ascoltarlo.

Pubblicato su “Città Magazine”, 27gen.-2 feb. 2006, e poi in “Di Parabita e di Parabitani”,di Paolo Vincenti,  Il Laboratorio Editore, 2008.

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