di Antonio Mingolla*
Percorrendo alcune vie del centro storico di Brindisi solo pochi osservatori più attenti possono notare la presenza di massicci blocchi di pietra, solitamente in marmo, aventi la funzione, fino a diversi anni fa, di proteggere gli angoli e i margini dei palazzi dai carri che percorrevano queste antiche vie, chiamate nel medioevo ruè. Ma quasi nessuno è a conoscenza che questi blocchi affondano le proprie origini in tempi molto più remoti. Infatti in molti casi si tratta di antichi resti romani.
Fra i tanti si possono riconoscere cippi marmorei e rocchi di colonne, a volte scanalati, come ad esempio quello che si trova sull’angolo di un palazzo dei primi del ‘900 di Via Villanova, sul quale si nota il foro centrale, tipico dei rocchi che formano il fusto delle colonne.
In altre parti della città possiamo notare altri rocchi , questa volta completamente lisci, come ad esempio quello che si trova ad angolo tra via Montenegro e il Lungomare Regina Margherita, oppure l’altro posto all’angolo della chiesa Medievale di Sant’Anna.
Altri paracarri sono cippi marmorei, come quello esposto nel cortile del Museo Archeologico Provinciale “Francesco Ribezzo” di Brindisi, sul quale vi sono delle iscrizioni latine.
Un tempo, ben lontano dal consumismo odierno, i materiali “pregiati”, come il marmo, proveniente solitamente dall’oriente, non erano cosi facili da reperire. Proprio per questo motivo nel medioevo molti edifici furono costruiti riutilizzando i materiali provenienti da resti romani.
Pertanto non c’è da meravigliarsi se fra un blocco e l’altro di molti monumenti medioevali brindisini si intravedono marmi romani.
E’ un esempio di reimpiego il Tempio di San Giovanni al Sepolcro, dove si possono ammirare elementi architettonici – decorativi come: capitelli, colonne, trabeazioni ecc. , di epoca romana. Per la realizzazione di uno dei leoni stilofori posti all’ingresso fu usato un cippo marmoreo. Nella parte posteriore del leone, infatti, si può notare una parte di epigrafe in latino.
Anche alcuni resti marmorei dell’abbazia di Sant’Andrea, ora custoditi nel museo, mostrano segni di riutilizzo, come ad esempio un capitello in stile romanico realizzato su un epigrafe romana visibile nella parte posteriore. Come noto, nel 1485, quando venne distrutta l’abbazia di Sant’Andrea dell’isola per costruire il castello Alfonsino, molti elementi decorativi marmorei di epoca romana, riutilizzati nel medioevo per la costruzione dell’eremo, vennero trasportati in città. Questi furono reimpiegati ancora una volta per edificare la chiesa del Carmine (distrutta nel XVIII secolo) che si trovava sull’omonima via.
Altri reperti sono ancora visibili, come parte di un architrave decorato con foglie di acanto spinoso inglobato nel Calvario, il grande blocco di marmo che giace al margine di porta Mesagne, un tempo con funzione di paracarro dell’ arco stesso, probabile base per un leone stiloforo messo a guardia del portone di ingresso della chiesa di San’Andrea.
Piccole riflessioni scaturite dal mio peregrinare tra vicoli e stradine della parte più antica di Brindisi. Resti di antiche colonne che un tempo sorreggevano il tetto di templi o sontuose dimore che forse hanno avuto l’onore di ospitare illustri personaggi: Giulio Cesare, Pompeo, Ottaviano, Marcantonio,Virgilio, Orazio, Traiano, Cicerone, Lenio Flacco, Marco Pacuvio… non lo sapremo mai con certezza.
*Gruppo Archeologico Brindisino
Molto interessante.
Solo una nota: il Museo Archeologico di Brindisi è intitolato al grande Messapologo “Francesco Ribezzo” (non Fabrizio).
grazie per la segnalazione. Abbiamo provveduto a correggere