Spramintàre: La marcia in più del dialetto, ovvero un modo particolare, nell’educazione di altri tempi, di applicare il metodo di Galilei…
di Armando Polito
Non mi avventuro, anche se potrei farlo con abbondanza di documentazione, sulle vexata quaestio della presunta inferiorità del dialetto nei confronti della lingua nazionale e, in base a quella documentazione, potrei agevolmente sottolinearne, addirittura, la maggiore nobiltà di origini e non solo.
Oggi mi limiterò a metterne in luce un aspetto che nemmeno il più schifiltoso potrà negare: l’espressività che, il più delle volte, raggiunge la creatività della parola poetica riuscendo ad addensare attorno ad una voce, che pure ha il corrispondente nella lingua nazionale, significati allusivi e carichi di valori sentimentali in grado di conferirle, partendo dal suo significato etimologico, una vitalità diacronica.
Basta con le ciance! La parola su cui mi soffermerò è spramintàre che nel dialetto neretino è usata assolutamente nel senso di “aver capito la lezione, aver fatto tesoro di un’esperienza negativa e maturato l’intento di non ripeterla” (per cominciare: una miriade di parole in italiano, una sola parola in dialetto per esprimere esattamente lo stesso concetto). Eppure l’esatto corrispondente italiano di spramintàre è sperimentare, le cui definizioni riporto dal Dizionario italiano De Mauro (Paravia Bruno Mondadori editori, 2000): 1) conoscere direttamente per esperienza personale e concreta; 2) tentare; 3) mettere in atto per la prima volta un congegno, verificare l’efficienza di un meccanismo o la validità e l’efficacia di un prodotto, di un ritrovato e simili; 4) verificare sperimentalmente un’ipotesi scientifica, provare attraverso il metodo sperimentale.
La definizione della voce dialettale travalica, sottintendendola e conferendole un esito negativo, quella della voce italiana.
Eppure, entrambe hanno la stessa etimologia1: dal tardo latino experimentàre, a sua volta dal classico experimèntum e questo dal verbo experìri2 (con, nell’una e nell’altra, aferesi di e– e passaggio –x->-s-; in più nella voce dialettale la trafila: *sperimentàre>*sparimentàre (passaggio –e->-a-)>*sparimintàre (passaggio –e->-i-) >*sparmintàre (sincope di –i-)>spramintàre (metatesi –ar->-ra-).
Ma non è finita: oltre che assolutamente (aggiu spramintàtu) spramintàre può essere usato pure come verbo transitivo nel senso di “far vivere ad uno un’esperienza negativa in modo tale che eviti di ripeterla” (questa volta l’italiano sembra prendersi la rivincita con dissuadère che, però, indica solo il tentativo di contrastare un proposito non ancora realizzato; per esprimere il concetto di spramintàre dovremmo usare dissuadere uno dal ripetere qualcosa), sicché era uno dei verbi privilegiati nell’educazione infantile di un tempo, che avrà senz’altro avuto dei limiti ma ha fatto altrettanto sicuramente meno danni, e non solo psicologici, di quella attuale, forse anche o soprattutto perché adottava dei sistemi punitivi in tempo reale, sicché immediata era l’associazione nelle parti tra “reato” e “pena”; così non era difficile ascoltare, tra le comari, queste battute (ho esagerato un pò in quella finale…):
–Fìgghiuma osce è scappàtu alla marmellata– (Mio figlio oggi di nascosto si è saziato di marmellata)
–E tu no ha ffattu niènti cu llu spramiènti?- (E tu non hai fatto niente per indurlo a non ripeterlo?)
–Sine, l’aggiu fattu sdiacàre ‘nnanti mme tuttu lu vasèttu e mò l’è bbinuta nna diarrèa ca ha tuccatu cu ssi mente lu liettu intr’allu cessu!– (Sì gli ho fatto svuotare davanti a me tutto il vasetto e adesso gli è venuta una diarrea tale che ha dovuto portarsi il letto nel cesso!).
Ricapitolando: sperimentare in italiano è verbo transitivo e regge un complemento oggetto non costituito da persona; spramintàre può essere usato, come abbiamo visto, assolutamente [apparentemente forma intransitiva, in realtà col complemento oggetto sottinteso: àggiu spramintàtu (nna cosa negativa)] o, in senso fattitivo (far fare ad uno esperienza) col complemento oggetto (riferito solo a persona).
Sarà un caso o, piuttosto, l‘effetto del carattere necessariamente totalizzante e perciò filtrato della lingua nazionale di fronte alla libertà d’uso non calcolata del dialetto?
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1 La forma neretina non è riportata dal Rohlfs che al lemma spramèntare non avanza nessuna proposta etimologica data la sua ovvietà come mostra la definizione “far esperienze”; il Garrisi, invece, a spramentàre rimanda a spramièntu e fa derivare quest’ultimo da un “incrocio tra spavento e pentimento”, incrocio, aggiungo io, pericoloso perché è successo un incidente: la comparsa (come si spiega?) di una r, inesistente nelle due parole che si sarebbero incrociate; in realtà anche spramièntu è tal quale l’italiano esperimento (inteso come prova negativa che ha fatto provare un turbamento, una paura e per questo tolto ogni voglia di ripeterlo; l’incrocio, di regola, è dovuto a motivazioni analogiche che danno vita ad un vocabolo nuovo, mentre qui è successo esattamente l’opposto: il vocabolo antico è diventato sinonimo di spavento come normale esito logico (senza risvolti filologici,cioé creazione di una nuova parola) dell’originario significato di prova (sottinteso, negativa), esito successivamente rafforzato, tutt’al più, nell’inconscio singolo e collettivo dalla parziale omofonia con spavento . La riprova di tutto ciò è, oltretutto, nelle voci dialettali salentine corrispondenti a spavento: scantu/spantu: pure immaginando che siano entrate loro nell’incrocio, permane la scomoda presenza di una –r– in più.
2 Composto da ex=da e un inusitato perìri, che dà vita, oltre ad experìri, anche a comperìre=scoprire, reperìre=trovare, opperìrì=attendere, nonché a perìtus=esperto e perìculum=pericolo; a sua volta perìri è connesso col greco peirào=provare.