Avetrana e dintorni

di Rocco Boccadamo

Un’evoluzione improvvisa e imprevedibile, una metamorfosi impensabile.

Da località agricola pressoché sconosciuta, ad una sorta di Mecca di comunicazioni e di immagini, impostasi in ogni angolo del pianeta cosiddetto civile, televisivo e informatico. In più, con richiamo di vere e proprie moltitudini, non di pellegrini, bensì di visitatori, curiosi, turisti della cronaca e del gossip.

E dire, che, sino alla metà del ventesimo secolo, al nome Avetrana era abbinata, addirittura, l’idea di lontananza, di altra parte lontana, di mistero. Ciò, almeno nel sentire e nella suggestione dei leccesi, forse a motivo degli oltre trenta chilometri che separavano, e tuttora separano, la località dalla cittadina di Nardò in direzione sud.

Meglio che di Avetrana di per sé, si sapeva della limitrofa Terra d’Arneo, un comprensorio ricadente su ben cinque comuni, ossia  Porto Cesareo, Nardò, Veglie, Leverano e, giustappunto, Avetrana.

Terra d’Arneo, a quell’epoca, stava per feudo, latifondo, in capo a ricchi possidenti che se ne curavano poco e niente da lontano e sulla carta, al punto da lasciare l’immensa area sotto forma e in condizioni di fitta macchia mediterranea, frequentata da greggi e, purtroppo, anche da malintenzionati, predoni, grassatori, piccoli briganti.

Un comprensorio, conseguentemente giudicato di estrema pericolosità da chi doveva transitarvi, tanto è che i trasportatori di merci (in specie generi alimentari, derrate agricole, olio, vino, farine, ma non solo) di allora, i quali, spesso, si avvalevano semplicemente di carri di legno, dalle alte ruote a raggi e dalle lunghe stanghe, trainati da cavalli, per prudenza e paura, non compivano il percorso da soli o in due o tre, preferendo, invece, formare consistenti carovane, in modo da poter fare massiccio e adeguato fronte difensivo e protettivo comune nell’evenienza di agguati e attacchi da parte dei delinquenti.

E, quando realizzabile, evitavano di coprire la tratta durante la notte.

Poi, fortunatamente, arrivarono le lotte delle popolazioni contro il latifondo, la riforma agraria, le operazioni di bonifica e la distribuzione delle terre, in piccole porzioni, ai contadini e, in tal modo, i malintenzionati furono indotti a disperdersi.

Come sopra, la sfaccettatura di un certo antefatto storico sociologico.

E adesso, da due mesi in qua, ancora in questi giorni, che cosa si va registrando nell’aria di Avetrana?

Fatto vivamente salvo e con tutto il rispetto per un dramma spietato, la risposta che ricorre o per lo meno domina sembra constare essenzialmente di una sola parola: bulimia.

Di cronache, servizi video, notizie, indagini, sospetti, pettegolezzi, pressioni sui protagonisti e sugli inquirenti, si tratta pur sempre di un’accezione, uno stato, che non dovrebbero piacere ad alcuno.

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