‘MBRATTA: una proposta etimologica, anche per l’italiano imbrattare
di Armando Polito
1 Professore, guarda avanti altrimenti oggi ci ammazziamo!
2 Anche oggi un altro schifo di lezione…
3 Questo pensa sempre a una cosa…
4 Adesso sto capendo il senso della scritta che ha messo sulla fiancata…
5 A questo fagli una bella multa perché ieri mi ha appioppato un 2 in latino…
Nel dialetto neritino la voce in epigrafe è sinonimo di disegno confuso, sgorbio e, per traslato, imbroglio, ma è del tutto evidente che il suo corrispondente italiano è imbratto (cui si limitano a rimandare sia il Rohlfs che il Garrisi) coi significati (cito dal Dizionario De Mauro): sudiciume, sporcizia; pessima pittura o scrittura; cibo per maiali, cibo poco appetitoso. Lo stesso dizionario fa derivare imbratto da imbrattare (1342) e per quest’ultima voce registra un’etimologia incerta, forse dall’antico e dialettale (ligure) bratta=sporcizia, di origine ignota. Le stesse informazioni ci dà il Dizionario Pianigiani che riporta anche in ordine inverso di attendibilità la relazione tra bratta e l’illirico brudan=schifo e l’opinione del Menagio, secondo il quale imbrattare è deformazione di imbruttire (da spiegare, poi, il passaggio –u->-a-).
Come si vede il ligure bratta è il padre più accreditato di imbrattare. Ne leggo questa definizione nel Vocabolario genovese-italiano di Giuseppe Olivieri (Ferrando, Genova, 1851, pag. 84): “Fanghiglia, quella che si forma sulle vie lastricate. Zacchera, quel fango che altri andando si getta su per le gambe… Bratta du caffè, posatura, quel sedimento o residenza della polvere del caffè, la quale pel cessato bollimento e pel riposo cade in fondo della caffettiera”. Questa definizione ci rende conto delle maggiori quotazioni di bratta ma, non essendo corredata da indicazione etimologica di sorta, ci lascia sostanzialmente al punto di partenza. Tenterò di smuovere le acque andando a ritroso nel tempo, scomodando, ancora una volta, non l’arabo, non l’illirico o l’accadico ma il latino e il greco.
Nel De re coquinaria attribuito a Marco Gavio Apicio ((I secolo a. C.-I secolo d. C.) leggo nel capitolo 11 del libro IX: “Embractum Baianum: ostreas minutas, sphondylos, urticas in caccabum mittes, nucleos tostos concisos, rutam, apium, piper, coriandrum, cuminum, passum , liquamen, caryotam, oleum.
Intingolo di Baia: metterai in una padella piccole ostriche, spondili, meduse, mandorle tostate fatte a pezzi, ruta, aglio, sedano, pepe, coriandolo, cumino, vino passito, acqua, titimalo, olio.
Soffermiamo la nostra attenzione sulla voce embràctum da me tradotta con intingolo. La voce è attestata solo in Apicio1 ed appare chiaramente come una parola composta, oltre che di origine greca. In greco, infatti, c’è il verbo embrècho=inumidire, bagnare, inzuppare, immergere, dal cui aggettivo verbale embraktòs (=inzuppato) è nato il latino embràctum; per completezza d’informazione va detto che il greco embrècho è composto dalla preposizione en=in+brècho=bagnare. Tutto sembra quadrare sul piano semantico e su quello fonetico ed autorizzarmi a indicare nella voce latina (per Apicio e per i Romani il suo intingolo era una leccornia, poi, si sa, i gusti cambiano; prova ne sia il famoso garum, una salsa di pesce che oggi per noi sarebe orripilante) e ancora prima in quella greca il padre del ligure bratta, dell’italiano imbratto e del neritino ‘mbratta, in cui è da notare la consueta aferesi della vocale iniziale.
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1 Anche nella variante imbràctum nel capitolo 8 del libro VI; imbràctum/embràctum è registrato nel Georges-Calonghi, ove è riportata pure come meno preferibile la variante emphràctum, che in realtà è un’infelice quanto inutile e arbitraria (perché nessun codice la riporta) congettura dell’umanista Gabriel Humelberg nella sua edizione di Apicio del 1542 (pag. 39). La voce di cui ci stiamo interessando è, invece, stranamente assente nel Castiglioni-Mariotti.
Però ce bbe ‘ngrazziatu stu professore, se ddiverte cu lli studenti soi puru dopu anni ca s’ave libberatu de la scola!
“Optime Armande Polite persiste insisteque”