a cura di Stefano Donno
Al suo apparire, nel settembre del 2000, il romanzo Capatosta di Beppe
Lopez (Mondadori) si impose subito all’attenzione dei lettori e della
critica per quattro peculiarità: perché scritto in un linguaggio mai
prima di allora usato in letteratura, un idioletto ricavato
dall’autore intrecciando italiano parlato e un materiale dialettale –
quello pugliese – considerato “minore”; perché ambientato in un mondo
mai prima descritto, un Sud né contadino né operaio, né rurale né
cittadino, né magico né metropolitano, come sospeso in una fase
astorica di inconsapevolezza collettiva e individuale; perché dava
voce a una plebe estranea ed estraniata dalla storia e dalla stessa
letteratura; perché incentrato su un personaggio forte, memorabile, in
assoluto – come è stato detto – “uno dei ritratti femminili più belli
della narrativa italiana”.
Il testo di questa edizione – che vede la luce esattamente a dieci
anni dalla prima – è frutto di un’attenta rilettura, di revisioni e di
correzioni alle quali l’autore ha ritenuto necessario e doveroso
sottoporre la stesura “sperimentale” del 2000, restituendoci quello
che può già considerarsi un “classico” della narrativa meridionale a
una più adeguata altezza di coerenza e accuratezza linguistica.
Beppe Lopez, intellettuale a tutto tondo, ha scritto il suo primo
romanzo (Capatosta) nel 2000, dopo un’intera vita dedicata al
giornalismo e ai giornali, come cronista politico, inchiestista,
direttore di quotidiani e di agenzia, polemista e saggista (Il
giornale che non c’è, 1995; Il quotidiano totale, 1998; La casta dei
giornali, 2007; Giornali e democrazia, 2009). Il suo secondo, grande
romanzo è del 2008: La scordanza. Si è dedicato anche al racconto
storico, pubblicando nel 2005 Mascherata Reale (Besa) e nel 2009 Il
principe nel groviglio.