di Gianni Ferraris
“Pomeriggio da solo, in un po’ troppa Toscana…” così cantava un Vecchioni d’epoca. Il professore della canzone italiana, oltre che di greco e latino. “Due giornate fiorentine” era il titolo, non era una canzone allegra, come spesso accade agli introspettivi. Già, erano i cantautori degli anni in cui tutto si metteva in discussione.
Però De Andrè era pur sempre un poeta. Jannacci resta, comunque, un grande: “…faceva il palo nella banda dell’ortica, ma era guercio, non ci vedeva quasi più…”.
Beh, a costo di essere tacciato di plagio anch’io dico: “due giornate salentine”. Novembre tutti i santi e subito dopo i morti. Ricorrenze. Il primo novembre, uscendo dal bar, mi sento dire “auguri”, contraccambio e mi chiedo perché diamine mi fanno gli auguri? Ognissanti, perbacco. E si che io non sono rappresentato. Solo Giovanni, Gianni è una riduzione impropria.
Perché mai ricordare i defunti il 2 novembre? Ho sempre pensato che una persona si porta dentro le altre persone importanti, anche se sono andate via, a prescindere dalle giornate. Forse per questo non ho mai capito fino in fondo questa ricorrenza. Ad Alessandria, comunque, si mangiano ceci nel giorno dei morti. Messi in ammollo con il giusto anticipo. Mi piacciono i ceci, però ogni volta, memoria antica come tutti gli anziani, li abbino con il giorno del cimitero, dei crisantemi, e di una ricorrente, penetrante nebbiolina piemontese che mette malinconia… saudaji. Però è festa, diamine, quindi ben vengano due giornate salentine. Domenica 31 a Locorotondo, poi a passeggiare fra i trulli.
Il paese rotondo è stupendamente appoggiato in cima a un’altura, sopra di noi nuvole grigie, sotto la valle d’Itria. Viuzze nel centro storico, case bianche, nella miglior tradizione pugliese. “La Puglia è bianca…” pensavo un tempo guardando le fotografie. Poi ho scoperto che è colorata come una tavolozza.
Un ragazzino scivolava leggero con il suo scooter nei vicoli, era l’ora di pranzo, in giro eravamo in pochi, qualche turista instancabile e poco più. Tutti in religioso silenzio. Si parla a bassa voce nei vicoli deserti. Ogni tanto uno squarcio di sole fra le nuvole grigie, la chiesa era chiusa. Il vento impudente ci schiaffeggiava e fischiava nei meandri dei vicoletti. Mignani si affacciano sulla strada, porte basse, porte alte. E i tombini, come in buona parte del Salento, portano un fascio littorio fuso per essere immortale. Uno aveva solo lo stemma Sabaudo. A prescindere dalla simbologia che, incolpevolmente, pubblicizzano, pensavo che certi manufatti sono veramente eterni. Soprattutto se paragonati ai tre o quattro cellulari che mi si sono fusi dopo un utilizzo neppure troppo esigente. Non si ripara più nulla. E ripensavo alle montagne di rifiuti che incombono ovunque. E si che ne parla bene anche Luigi Viale della necessità di tornare al recupero anziché alla rottamazione. Si producono merci per creare nuove ricchezze. Si brucia la natura per creare merci. “Quando morirà l’ultimo animale e l’ultimo albero, mangeranno i soldi” diceva un saggio pellerossa americano.
Pensieri incombenti girando attorno alle mura antiche della città.
E manifesti di ogni genere appesi. Uno mi ha colpito. Era la riproduzione di un De Pero, stupendo futurista. Bello, peccato quello che, incolpevolmente, la carta portava scritto: “22 ottobre 1921 – 22 ottobre 2010, la marcia continua”. Chissà perché un abbinamento sibillino mi è venuto in mente: un telefono che squilla nella notte, quello della questura di Milano: “liberate l’egiziana”. Attualità, non c’entra con le giornate salentine. All’ingresso del centro storico di Locorotondo ci sono molte lapidi in ricordo di Garibaldi, dell’Unità d’Italia, di Vittorio Emanuele, dei caduti. Accoglienza salentina, anche verso i ricordi. Dell’invasione piemontese parleremo forse in altra sede.
Alberobello l’avevo visitata moltissimi anni fa, talmente tanti che quasi i ricordi sbiadiscono, risucchiati nel nero antro delle streghe (ecco fatto, anche halloween è servito, il sacro e il blasfemo).
Ora è più ordinata. Ora i parcheggi costano 2 euro l’ora, oppure 4,50 per tutto il giorno. È bello passeggiare fin su, alla chiesa/trullo. Anche a novembre è pieno di turisti, moltissimi i francesi, forse un tour organizzato. “Trullo con giardino panoramico. Ingresso libero” dice il cartello. Per arrivare al giardino si deve passare fra cascate di trullini “artigianali”, bottiglie di liquori dai colori bizzarri, fischietti e altro. Impossibile non guardare. Vabbè, il giardino è a due piazze, nel senso che ci stanno due persone alla volta. Sul concetto di “panoramico” potrei eccepire che, forse maldestramente, pensavo a qualcosa di diverso dalla visione dei muri di cinta, a meno che non si sia alti 2 metri circa. Comunque sono veramente belli i trulli. “Caldi in inverno e freschi in estate”, mi si dice. Poi si prosegue la salita dolce, sirene suadenti cantano i loro ritornelli: “entri ad assaggiare i prodotti tipici” “ingresso libero”, “liquori di Alberobello”, “fischietti”. È vero, comunque, di turismo si deve vivere. E lo deve fare anche quella ragazzina dall’aria annoiata che vende scialli e presine a forma di trullo. Infine siamo arrivati alla chiesa, recente, trullesca. Nulla più. Poi siamo ridiscesi e risaliti verso il “trullo sovrano”, tutelato dalle belle arti e dall’UNESCO. Attraversando il paese una piazzettina deliziosa, non si può passarci accanto senza rimanerne ammaliati. È incastrata fra due vie, ed è a pianta triangolare. In mezzo ha una piccola fontana rotonda. Gli alberi che la incoronano sono incredibilmente potati in forma quadrata, e tutti assieme formano un grande rettangolo. L’apoteosi delle figure geometriche. Pitagora ed Euclide sarebbero commossi.
Peccato che qualche sciagurato ha deciso di togliere una delle pochissime cose legali rimaste in questa mesta Italia, l’ora. Infatti imbrunisce esageratamente presto per passare nella selva di Fasano. Al buio non si vede nulla. Lo so, ho appena scritto un’ovvietà, però la lascio.
Il giorno dopo è nuovamente festa, si parte al mattino sul presto. “Dove andiamo?” “Boh, andiamo verso Taranto, poi decideremo”. Se ti trovi ad Alessandria, puoi muoverti nei 4 punti cardinali. Qui siamo in una penisola stretta e lunga, o vai a nord o a sud. Al massimo puoi andare negli intermedi nordest, sudovest ecc. Manduria, “ma si, vediamola”. Stupendo centro storico. Balconate in ferro o muratura. Molti stemmi che, mi si insegna, “dicono di una città importante”. E’ l’ora di pranzo, chiediamo informazioni ad un signore che, ci dice, “devo far passare il tempo”, così ci accompagna nel ghetto ebraico. Viuzze strette, una ex sinagoga che ora è casa privata “però hanno lasciato l’altarino”. E le vie, ribattezzate, portano anche il vecchio nome. Così leggi “Corte Modeo – già Sotto la fica” , oppure “Vico Messapico – già Vicolo cieco” , questo mi ha lasciato titubante, sarà pure messapico, però rimane cieco a prescindere.
Nel pomeriggio e fino all’imbrunire in riva al mare. Torre Colimena, bellissima, affacciata su un mare turbolento. Poi il tramonto. Vento sul mare, sabbia e acqua nebulizzata nell’aria. Sembra nebbia. Sembra il giorno dei morti.