di Sebastiano Cristofani
“Il custode delle reliquie” è un romanzo d’avventura e di mistero.
E’ la storia di un giovane archeologo squattrinato e di un gruppo di suoi amici che, per caso, si ritrovano in Puglia, e precisamente ad Otranto, nell’estate del 1979, e partecipano agli scavi diretti dalla British School at Rome. In quell’occasione si imbattono nel ritrovamento di un reperto apparentemente poco importante che li porta però a scoprire un “qualcosa” di più grande di loro che la Chiesa, per motivi di opportunità e di prudenza, anche comprensibili, preferirebbe non divulgare.
Inizia così una specie di caccia al tesoro.
Vittorio ed i suoi compagni si troveranno a percorrere a ritroso la storia, inoltrandosi lungo i “cammini” del pellegrini medievali e tra le rovine di fortezze sperdute nei deserti della Terra Santa, intuendo di essere sulle tracce di alcune delle reliquie più sacre della Cristianità.
Ed in questa avventura non potevano certo mancare i “cattivi”.
La ricerca dei nostri ragazzi risveglia infatti l’interesse di un gruppo di oscuri personaggi che, dopo secoli di attesa, vuole portare a compimento una vendetta a lungo covata e per questo è disposto anche ad uccidere.
Nel dipanarsi della storia appare chiaro come Vittorio e compagni abbiano una formazione umanistica vera, padroneggino le fonti antiche, le “chroniche medievali”, i manoscritti italo-greci dell’ XI-XII secolo e conoscano la storia e la geografia antiche.
Perrera passa anche in rassegna episodi poco noti della storia della Terra d’Otranto: tra le pagine del libro infatti, i più attenti intuiranno che la vicenda narrata nasconde alcune ipotesi, per esempio, sul periodo “buio” della Sindone che va dal 1205 circa al 1353. Ma non è la Sindone la reliquia sulle cui tracce si sono lanciati i nostri amici, né il Graal né la Lancia di Longino né l’Arca perduta: lo scoprirà il lettore, a poco a poco. E Vittorio Perrera, nella sua storia, ha anche accennato alle tecniche, ancora empiriche e pionieristiche, se le guardiamo “a posteriori”, con cui in quegli anni si affrontavano materie che oggi, dopo il bombardamento mediatico delle fictions televisive, chiameremmo “archeologia ed antropologia forensi”.
Ci sono ovviamente delle forzature e lo storico potrà individuarle facilmente, senza però dimenticare che il “Custode delle reliquie” è un romanzo, non un saggio storico.
Vittorio Perrera è uno “scrittore immaginario”, è infatti il protagonista del romanzo che si è fatto “scrittore”. Dietro di lui si cela l’identità di un antropologo salentino di scuola fiorentina e probabilmente per questo la scrittura di Perrera non solo è essenziale, ma scarna.
Più che un romanzo è infatti una cronaca, le annotazioni di un “Giornale di scavo” riportate in “bella”. Vittorio Perrera è abituato a stendere relazioni, comunicazioni scientifiche, a fare il punto della situazione per mezzo di appunti vergati con grafia impossibile su margini di un qualsiasi foglio di carta. Egli sembra incapace di trasmettere i propri sentimenti più reconditi. Ammutolisce allo spettacolo di un cielo stellato ma non riesce o non vuole descriverne le emozioni. Frappone anzi un muro difensivo tra sé e gli altri, proprio perché non possano accedere ai recessi del suo io
Perrera ha voluto ambientare la sua storia all’inizio degli anni ’80 del secolo ormai trascorso, in quello è stato un periodo di formazione, un laboratorio per la mente e per l’anima del protagonista “vero” del romanzo. Anni politicamente difficili, anni senza cellulari, computer o web. L’Autore ha voluto che i protagonisti andassero in biblioteca a consultare i testi dal vivo, che pagassero a caro prezzo ogni singola fotocopia, così come si faceva prima dell’avvento di internet. Ha voluto che interagissero “fisicamente” tra di loro, usando al massimo un telefono a gettoni…
Non alta letteratura, ma una storia appassionante e di facile lettura.
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