di Armando Polito
1 Leva di mezzo tutte queste cianfruaglie, cominciando da te…
2 Fa’ conto che me ne sono già andato; alle altre cianfrusaglie pensaci tu!
3 È diabolico! Pure oggi ha trovato il sistema per non pulire lo studio…e per voi devo pure far finta di ridere.
Stracuènzi nel dialetto neretino è usato nel senso di cianfrusaglie, attrezzi inutili e ingombranti. Al lemma straquènzi (dopo dirò perchè la grafia più esatta per me è con la c e non con la q) il Rohlfs si limita a rinviare a strafìzi. In realtà questa voce non è registrata, al contrario di strafìzie, ove rinvia a strafìzzu1 e a sarvìzie. A strafizzu1 non compare etimologia, mentre a sarvìzie rimanda a servìzzie ove rinvia da capo a strafizie. Al di là di questa estenuante serie di rinvii probabilmente per il Rohlfs sarvìzie/servìzzie corrisponde all’italiano servizi, mentre strafìzie per lui è deformazione di sarvìzie o frutto di incrocio tra quest’ultimo e strafìzzu1.
Meno male che stracuenzi è al di fuori di questa battaglia perché nemmeno un ammutinamento spinto e folle alla fonologia potrebbe portare a dire che stracuènzi è deformazione di strafìzi (tra l’altro, in neretino, strafìzzu significa rovina, distruzione e il Rohlfs, senza etimologia, lo registra come strafìzzu2). In altra occasione proporrò la mia etimologia di strafìzzu, ora mi interessa stracuènzi.
La voce è usata pure al singolare con riferimento a qualcosa di ingombrante ma anche a persona che impaccia. Per me è da extra (dalla voce latina che significa fuori)+cuènzu. Da solo cuènzu indica uno strumento per pescare (si tratta di una lenza lunghissima con molti ami e galleggianti che richiede molta cura nella sua fabbricazione e ancora più esperienza nel suo uso, ad evitare che a partire dal momento della sua calata in acqua tutto si riduca ad un groviglio inutilizzabile). Per il Rohlfs, e condivido pienamente, corrisponde all’italiano concio nel suo valore di participio passato sostantivato di conciare che nel basso uso significa sistemare, aggiustare, mettere in sesto e che è da un latino *comptiare, dal classico comptus, participio passato di còmere=unire, acconciare, adornare. Stracuènzu, perciò, è sematicamente l’esatto contrario di acconcio e va scritto, rispettando il consonantismo di origine, con la c e non con la q.
Correggimi se sbaglio, a volte (almeno a Copertino) si usa anche mmucamienti (da mmucatu, ossia sporco) per indicare li stracuenzi, con la seguente differenza di sfumatura semantica tra i due termini: con l’ultimo si vuole sottolineare l’inutilità e il disordine dato dalle cianfrusaglie (come ben sa la signora Polito!), con l’altro lo sporco conseguente al disordine che le cianfrusaglie creano per casa. Sbaglio?
Non sapevo che mmucamienti (non usato a Nardò, ma che ho sentito spesso da alcune persone del Brindisino) fosse usato a Copertino. Per lo sporco a Nardò usiamo llurdarià (da llurdàre, corrispondente all’italiano lordare, dal latino lurdus=sporco) mentre, come saprai, mmucàtu è da muco (alla lettera=sporco di muco).
e sempre da muco deriva quel “muccaturu”, fazzoletto per il naso. A proposito di sporco mi piace anche ricordare quel bellissimo “nziatu” (nzivatu a Gallipoli), generalmente riferito allo sporco determinato da sostanze grasse (olio o sego-sìu). Ma altrettanto belli “mputtanutu”, per indicare l’ingiallimento del bucato, evidentemente non candeggiato, e “ngalunutu”, tipico delle stoffe bianche riposte negli armadi e non utilizzate da molto tempo.
Ma forse esistono altri termini che non mi vengono in mente e che denotano quanta accortezza adoperasse il nostro popolo nell’utilizzo dei termini
A parte la bellezza (che non tutti riescono a cogliere…) e la precisione semantica di queste e altre voci (non a caso il più delle volte sono traducibili solo con circollocuzioni), ngalunùtu in particolare mi dà l’opportunità di sottolineare la minore “esterofilia” (fenomeno in passato dovuto, come oggi, a motivi politici ed economici, un pò meno, rispetto ad oggi, a motivi di moda…) almeno in questa circostanza, del nostro dialetto rispetto all’italiano. Mentre, infatti, l’italiano giallo è dal francese antico jalne, dal latino galbìnus=verde pallido, a sua volta da galbus=verde, proprio il -ga- (e non -gia-) di ngalunùtu denota una derivazione diretta dal latino galbìnus (attraverso i passaggi: galbinus>*galvìnus>*galìnus>*galùnus) con prostesi (aggiunta in testa) della preposizione in. Chieso scuso se posso sembrare pedante, ma alcune parole per me sono come una donna bella e intelligente che non si sottrae a che tu la conosca: difficile resisterle.
Caro Armando, mi offri l’occasione per fare presente che molto spesso (forse troppo spesso perchè possa trattarsi di una semplice casualità) mi sorprendo a scoprire una particolare ed esclusiva (rispetto al territorio leccese circostante) affinità della parlata copertinese con quella brindisina. Quali saranno le ragioni storico-linguistiche? Che ricchezza però questo dialetto, se prendo la battuta che hai scritto nella vignetta in neretino, in copertinese sarebbe un bel po’ differente, diventerebbe: “fanne cuntu ca mi n’aggiu già sciutu, all’auri stracuenzi pensa tune”. Forse la versione brindisina della stessa (benchè geograficamente Copertino e Nardò confinino e Brindisi sia invece molto più distante da entrambi i comuni) sarebbe più familiare a un copertinese di quella neretina!
li stracuenzi nu li canuscu, ma sacciu bonu ci suntu li “sciji”
Ci differenza ncete, professore Politu tra li stracuenzi e li sciji?
Per essere più chiaro gli “sciji” sarebbero tutto ciò che come gli “stracuenzi”, fa disordine.
Nel neritino “scij” sono “scigghi”, di piccola dimensione rispetto agli “stracuenzi”, più ingombranti.
Riguardo al disordine degli oggetti mi pare che il termine più adatto sia “traugghi”, da cui traugghiare=essere sconvolto (riferito sia alla psiche che al corpo). Ma Armando sarà molto più preciso
Mi sovviene anche il termine “fraume”, sempre per indicare il disordine. Ma mi pare sia riferito ai tralci vegetali o alla legna mal riposta, oltre che per indicare un piacevole baccano
Rispondo nell’ordine agli amici esprimendo gratitudine per il loro interesse, gratitudine indotta pure dalla motivazione egoistica che senza interlocutorI, soprattutto in provato contraddittorio, non si impara nulla.
Sull’affinità tra il copertinese ed il brindisino non avevo mai riflettuto (pure a Nardò parecchie voci sono di origine brindisina, ma non emerge certo quell’affinità spinta che Pier Paolo ha messo in rilievo per il copertinese). Se per le voci neretine (riguardanti, a quanto ho notato, quasi esclusivamente, mestieri e strumenti (due rispettivi esempi, trainièri, candilièri) è facile ipotizzare una ragione di carattere economico, per il copertinese, essendo questo influsso molto più esteso, la questione si complica e fa supporre ben più complessi motivi storici nella cui disamina, lo confesso, non so nemmeno da dove cominciare.
Per quanto riguarda sciji/scigghi, dopo che l’amico Marcello ha splendidamente illustrato la differenza semantica rispetto a stracuènzi, a me non resta che ricordarne l’etimologia proposta dal Rohlfs: dal latino auxìlia=strumenti. Io aggiungerei che la connotazione negativa della voce dialettale ha in sè forse il ricordo del padre di auxìlia, il verbo augère=aumentare. Cos’è, in fondo, qualsiasi strumento se non l’aumento della nostra capacità di fare qualcosa? Solo che in scigghi è prevalso il recupero dell’idea di aumento intesa negativamente, quale cosa in più e che, dunque, è inutile e, per giunta, crea confusione. Scigghiàtu, inoltre, in dialetto neretino significa disordinato, ma, a un livello più profondo e grave, chi conduce una vita al di fuori delle regole (e non mi riferisco certo al Superuomo di D’Annunzio…).
Traùgghi (al singolare può significare anche subbuglio): il Rohlfs alla voce traùju non dà direttamente l’etimo ma si limita ad invitare ad un confronto con il siciliano travùgghiu=rimescolamento. Tuttavia al lemma traujàre leggo: “da un *transvoliàre, nato da transvòlvere”.
Fraùme: al lemma corrispondente, col significato di “miscuglio di residui” (ma confermo tutti i significati riportati da Marcello) il Rohfs rinvia a fracàme (Otranto)=”miscuglio di piccoli pesci”, senza alcuna proposta etimologica e inviando da capo a fraùme. Io credo che il padre di fraùme sia il latino medioevale ( Du Cange, Glossarium mediae et infimae Latinitatis, tomo III, Favre, Niort, 1884, pag. 586) fragùmen=chiasso, fragore. Fragùmen è dal classico fràngere=fare a pezzi, il che spiega tutti i significati delle voci dialettali fin qui riportate (dai piccoli pesci, ai tralci, al rumore e alla confusione).
Mi son ricordato, poi, anche della voce scèrcule, direi identica, per il significato, a scigghi. Per il Rohlfs è da incrocio tra scèrpule (“cfr. il longobardo scirpa o scherpa=masserizie e biancherie del corredo, da un germanico *skerpa=corredo) e il verbo scerculàre=frugare (“dal latino circulàre”).
Grazie a tutti per questo prezioso giro dialettale salentino!
[…] 1 Per cuenzu: https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/09/21/11025/ […]
Ringrazio, anche se si fa una faticaccia immane a leggere questa lingua. Me ne farò una ragione, come dice il premier ultimamente. Ora mi rigiro fra straquenzi, mputtanutu, mucciamenti e varie. Saluti a tutti .
p.s. in realtà stavo pensando a come certi termini dialettali non trovino una traduzione in italiano. PEr quanto riguarda lassù, almeno al mio paese, esiste “scarnebbia” (verbo) si stratta di una nebbia spessa, che bagna, con gocce più grandi della nebbiolina e della nebbia in genere… non ha riscontri nella lingua italiana. Non è pioggerellina, è qualcosa di diverso, appunto, dalla nebbia, una situazione a metà fra le due cose.
Nel vocabolario piacentino-italiano di Lorenzo Foresti, Del Maino, Piacenza, 1836 al lemma “scarnebbià” leggo: “lo stesso che spiosinà”. A “spiosinà”: “Piovigginare, pioviscolare, spruzzolare, lamicare. Leggermente piovere”.
Il Catalogo di voci moderne piacentino-italiane di Francesco Nicolli, Tedeschi, Piacenza, 1832 registra, insieme con “scarnebbià”, anche la variante “scarnabbià”.
Questo a conferma di quanto da lei detto in generale sulla inesistenza di un perfetto sinonimo italiano per moltissime voci dialettali (oltre, come nel nostro caso, alle differenze di significato, per quanto non spinte, a seconda del territorio d’uso).
Quanto all’etimo di scarnebbià, osservo che, mentre sembrerebbe chiaro il secondo componente che mette in campo “nebbia”, lo stesso non vale per il primo che, però, potrebbe aver coinvolto “scarso”; l’ipotesi mi pare plausibile sul piano fonetico e su quello semantico (nebbia scarsa sarebbe quella che sembra virare verso la pioggerellina). In piemontese: scars+nebia>scarnebbia>scarnebbià.