di Armando Polito
Credo sia legittimo ogni tanto uscire dal seminato salentino, anche se qualcuno potrebbe obiettarmi: “E così, come spigoleremo?”. Obiezione respinta: la cultura non è fatta di compartimenti che all’occorrenza possono diventare stagni impedendo (o consentendo…si tratta di punti di vista) agli occupanti di uscire e a chi è fuori di entrare, ma di celle perennemente intercomunicanti e fruibili da chiunque, per depositare qualcosa o per prelevarla. Solo pochi giorni fa nella miriade di argomenti oggetto di una conversazione telefonica con l’amico Marcello venne fuori, non ricordo più come, una riflessione sulla capacità diagnostica dei clinici di un tempo e su come la semeiotica, complice una sempre più spinta (forse troppo…) frantumazione della conoscenza (si chiama specializzazione…) e una fiducia (forse eccessiva…) nelle nuove tecnologie (ma indietro, questo è sicuro, non si torna), tenda nei casi peggiori a ridursi ad una passiva serie di dati su cui la macchina esprimerà il giudizio assumendosene, magari (mi auguro che a questo non si arrivi mai…), pure la responsabilità. Sono convinto anche che i casi peggiori di cui parlavo prima costituiscono un’esigua minoranza e che, nonostante tutto, i medici italiani sono forse i migliori interpreti di quel felice convivere di creatività, fantasia, preparazione ed abnegazione (le quattro cose non sono in contraddizione, anzi vicendevolmente rendono possibile l’una l’incremento dell’altra non solo nella poesia che è, forse, la forma più alta di conoscenza, ma in ogni attività umana, anche in quella apparentemente più insignificante) che, in fondo, non rendono inutile questo nostro passaggio sulla terra. Nel secondo capitolo dei Promessi sposi il Manzoni scriveva: “I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi”. Questa massima si può tranquillamente applicare, secondo me, all’esigua minoranza di cui parlavo prima. Intrepretando, infatti, in quel modo la loro professione, essi sono anche responsabili, forse inconsapevoli, di tutta una serie di conseguenze legate fondamentalmente al progressivo venir meno del contatto umano e preparano il terreno su cui tanti imbroglioni criminalmente sguazzano. Sta emergendo, infatti, in tutta la sue estensione e gravità, il fenomeno di coloro che esercitano l’attività medica senza averne titolo. Sul piano giuridico sono del parere che è della massima urgenza un provvedimento legislativo, che, almeno questo, sia chiaro e non suscettibile di interpretazioni difformi, che comporti sanzioni certe e pesantissime, che, anzitutto, non preveda in casi come questi che l’indagine sia legata essenzialmente a qualche provvidenziale querela di parte (ho il sospetto che pochissime siano state quelle di cittadini resisi conto della situazione e che la maggior parte siano strumentali, cioè “soffiate” o indotte da desiderio di semplice vendetta). Mi ha fatto piacere che un clinico, intervistato in occasione dell’ennesimo scandalo, abbia stigmatizzato proprio il fatto che a monte del fenomeno ci sia il distacco umano di cui parlavo prima, tant’è che metteva in rilievo come i pazienti turlupinati manifestassero, scoperto l’inganno, la loro grande meraviglia non tanto per l’avveniristico arredo dello studio e per la serie di titoli che ne tappezzavano le pareti (la forma e l’immagine prima di tutto…) o per l’avvenenza di svettanti infermiere e atletici infermieri, quanto piuttosto per la gentilezza e affabilità, insomma, “umanità” del sedicente medico, nonché per la sua bravura. Delle due, una: o siamo in presenza di tanti novelli Leonardo (non mi riferisco all’allenatore di calcio… può anche darsi, poi, che qualche “autodidatta” sia veramente bravo, ma bisognerebbe, dopo l’esemplare condanna, somministrargli, comunque, un adeguato corso di formazione…tenuto da medici autentici), oppure siamo in presenza di individui in possesso di un culo gigantesco (sarebbe interessante indagare se mai, proprio mai c’è scappato il morto…). Voglio chiudere con una piccola incursione in casa mia. Non è un caso se oggi non si incontrano più filologi del calibro del Rohlfs, dal momento che pure la filologia si è frantumata in una serie infinita di specializzazioni minori e lo studio sicuro di un lemma richiede che esso sia aggredito da una caterva di specialisti (storici della lingua, glottologi, etc. etc.). Non è un caso se, a tal proposito, parecchi si improvvisano etimologhi, magari senza ombra di preparazione, nemmeno autodidatta, specifica, sputando verità inesistenti: io farò pure la stessa cosa, ma almeno, per stare in pace con la mia coscienza e per rispetto mio e del lettore, infarcisco le mie scemenze di “probabilmente” e “forse”. Mi auguro che, pur essendo uscito dal campo salentino, la spigolatura non ne abbia risentito…