Lu mbile
di Armando Polito
Insieme con la capàsa, il capasòne e il capasièddhu anche lo mbile appartiene alla categoria di contenitori di origine ed uso contadini divenuti, quelli di realizzazione moderna, oggetto di arredamento e, i più antichi, di antiquariato. Si tratta di un recipiente di terracotta per acqua, dalla bocca molto stretta, corredo fondamentale del contadino che si recava al lavoro, perché la creta, trasudando, consentiva all’acqua all’interno di conservare la sua temperatura più bassa rispetto a quella esterna. Sembrerà incredibile, ma il nostro oggetto ha in comune l’etimologia con la voce comparsa in italiano nel XVII secolo ad indicare un vaso per liquidi di vetro o metallo, lungo e senza collo; questa accezione è ormai obsoleta ma la voce in questione, bombola, ha successivamente vissuto una seconda giovinezza ad indicare un contenitore metallico di forma cilindrica per fluidi compressi, dando vita anche all’accrescitivo bombolone. Fra qualche decennio, molto probabilmente, anche questi contenitori saranno obsoleti e a ricordarne l’etimologia sopravviverà, paradossalmente, solo mbile, anche perché bombole e bomboloni non sembrano avere canoni estetici tali da farne oggetto di arredamento o di antiquariato.
Ma chi è il padre delle voci fin qui messe in campo? Altrettanto incredibilmente, si tratta di un insetto. Vero è, infatti, che quelle voci derivano tutte dal greco bombiùle=boccetta, ma quest’ultima deriva da bombos, voce onomatopeica che può significare rumore sordo, rimbombo, sibilo, ronzio delle orecchie, borborigmo (gorgoglio dello stomaco o dell’intestino) e, addirittura, canto. Parallelamente a bombiùle in greco era nato pure bombiùlios=insetto ronzante, calabrone, ape, larva di baco da seta, vaso gorgogliante. Tra i tanti significati solo quello di bozzolo è legato ad un rapporto di somiglianza formale con la boccetta ma è chiaramente posteriore a tutti gli altri (boccetta compresa) legati alla primitiva valenza onomatopeica. Il collo stretto, infatti, quando si versa il liquido, crea un gorgoglio, che nel caso dello mbile è tutto particolare. Per quanto riguarda la fedeltà alla parola originaria la partita tra l’italiano e il neretino questa volta si chiude in parità: partendo, infatti, da bombiùle, bombola presenta il mantenimento della sillaba iniziale ma la regolarizzazione della desinenza (-e>-a), mbile la perdita di bo– ma la conservazione della desinenza antica. In mbile, infine, la conservazione della m mi fa pensare ad una forma intermedia *ombìle (da *bombìle con aferesi di b-, fenomeno frequentissimo), dalla quale per errata discrezione dell’articolo (*l’ombile>lo mbile>lu mbile), altro fenomeno molto frequente non solo nel dialetto, è nata la nostra voce.
A Spongano è definito MMILE e si usava per tenere fresca l’acqua durante l’estate. Tolto il tappo di sughero, si impugnava con una mano sola, appoggiandolo al dorso di questa e poi si beveva la freschissima acqua di cisterna negli afosi meriggi estivi…
i MMILI di LUCUGNANO erano particolarmente apprezzati per la loro foggia e qualità.
Da ragazzo andavo a gguaglione presso un munazzè dove si costruivano le barche. Mi mandavano a prendere l’acqua dal pozzo, con la mmummara (u ggiarro). Per bere si faceva zampillare l’acqua da un forellino praticato sul dorso del giarro.
La fratellanza storica e culturale tra la mia terra e la tua, caro Salvatore, è confermata (la mia è un’osservazione banale) anche dall’etimologia. Mbile e mmùmmara sembrerebbero due parole diverse ma anche la seconda, come la prima, è figlia del greco bombiùle; ecco la trafila per chi è digiuno di queste cose (mi scuserai se tratto una cosa per te ovvia): bombiùle>*mommiùle (b->m-per influsso della m successiva; assimilazione mb->-mm-)>*mòmmiule (retrazione dell’accento)>*mòmmale (passaggio -u->-a-)> *mùmmara (passaggio -o->-u- e -l->-r-)>mmùmmara (raddoppiamento espressivo di m). Voglio sperare che anche altri amici, non necessariamente meridionali, diano il loro prezioso contributo.
Buon giorno,
a Putignano (BA) questo contenitore per acqua viene chiamato “ciuccenat”, non so perchè. E differisce del tutto da “bombolo” o bummolo” o “mbile”, che riconosco sia un termine più appropriato. Mi farebbe piacere sapere l’origine di “ciuccenat”. Graziq
La parola potrebbe essere collegata nella prima parte a “ciucciare” poiché il collo molto stretto del recipiente obbliga quasi a farlo nel bere direttamente. Rimane il “nat” finale, per il quale, ignorando fra l’altro il dialetto locale, non sono in grado di dire se si tratti di un suffisso o di un vero e proprio componente con un suo significato specifico (nato, piccolo, bambino?).
Anche a Ruvo, si chiamava “ceccenote” e le “e” non accentate sono mute.
A Castellaneta (TA) questo utile oggetto d’altri tempi si chiama “VUZZ” ovvero “U VUZZ”. In effetti non saprei proprio collegarlo a quanto detto e argomentato da voi. Grazie
Credo che “vuzz” corrisponda ad “ozzu” (da notare l’aferesi di v- fenomeno normalissimo), voce con cui questo recipiente è chiamato nel Leccese a S. Cesarea Terme ed a Spongano e che abbia il suo corrispondente foneticamente più fedele, a parte il cambio di genere, in “vozza”, usato in altre zone del Leccese (a Nardò “ozza”) per indicare, però, un contenitore, sempre di creta, molto più grande ed alto. L’etimo è lo stesso del corrispondente italiano “boccia”, che i filologi fanno derivare da una base “bottia” di origine oscura col significato di “gonfiore, protuberanza”, cui potrebbe essere connesso il latino tardo “buttis”, da cui l’italiano “botte”.
Anche mia mamma pugliese di Bisceglie lo chiamava ciuccenat