Nacquero contadini, morirono briganti
di Valentino Romano (Capone editore). Postfazione di Monica Mazzitelli
Così umano. Così piccolo, meschino, speranzoso, maleodorante,
accaldato o raffreddato, rassegnato, misero, lacero e inumano il mondo
che emerge dalle pagine informate di Valentino Romano. La storia di
carta che fruscia non è qui; i generali impettiti, la lista degli
armamenti, il computo dei morti e dei vivi, gli accordi a palazzo, i
tradimenti regali, le convenzioni, i trattati, le alleanze, le
dichiarazioni in parlamento: carta che fruscia senza odore. Qui invece
c’è l’odore della storia, rimasto impigliato nelle pieghe dei suoi
protagonisti piccoli, quelli che fino a più di un secolo fa erano contadini abbracciati alla propria terra – quelli che non sono dovuti scappare via in cerca di fortuna oltreoceano – coloro che non lasciano traccia del loro passaggio, di cui non ci sono neanche più le tombe.
La Storia è di queste braccia, mani, piedi macinati dal tempo e
riassorbiti nel suolo di cui noi ci nutriamo senza sapere, conoscere.
Ma che magari giudichiamo.
“Briganti” li chiamiamo, come oggi chiamiamo altra gente
“clandestini”: nomi comodi per allontanare da noi, di uno o cento
passi, il desiderio disperato di sopravvivenza, o se possibile di una
vita dignitosa, una vita senza troppe paure, a cui ci si possa un
pochino aggrappare.
In queste pagine ci sono dolore e leggerezza insieme, crudeltà e
amore: c’è umanità e disumanità come antinomia della stessa essenza:
quella della realtà fatta di carne, delle sue pulsioni. C’è la
sottomissione delle donne, spesso vendute, il sopruso sul povero, la
vendetta sul ricco, la furbizia che si ritorce contro chi crede di
poter strappare un salvacondotto alla fortuna, non capendo che vale
quanto un biglietto perdente della lotteria. Ci sono le guardie e i
ladri, al lettore stabilire chi guardi cosa, chi protegga cosa, chi
rubi cosa. C’è la giustizia e la Giustizia, al lettore stabilire chi
amministri cosa, chi difenda cosa. E c’è tutta l’anima splendente,
empatica e affettuosa di uno storico del talento, l’energia e la
passione di Valentino Romano, che riesce sempre a andare oltre ai
fatti, oltre le infinite ore trascorse nella polvere di un archivio.
Lo riesce a guardare come uno scultore contempla il suo blocco di
marmo e sa cosa tirarne fuori, come inclinare il suo scalpello per far
venire alla luce ciò che va detto, ciò che sarebbe ingiusto obliare.
C’è un atto di amorosa restituzione di dignità ai torti della storia
in queste pagine, e un render conto della speranza, di tutta quella
speranza a volte rabbiosa che ha mosso nel bene e nel male persone che
avevano davvero troppo poco da perdere, persino della loro stessa
vita. Grazie per questo.
(dalla postfazione di Monica Mazzitelli)
Grazie ;o)