Sapori e profumi mai tramontati: le conserve
le melanzane sott’olio
di Daniela Lucaselli
Gustare nuove e vecchie pietanze. Rivivere i momenti nei quali si sente autenticamente il calore del focolare domestico è riscoprire il valore genuino della terra e i sapori veri del cibo.
Sulla tavola ogni giorno si schiude una vera opera d’arte. Le forme originali presentano svariati colori che prendono corpo in suggestivi, armoniosi ed accattivanti sapori e profumi.
La natura in estate con la sua luce, il caldo, il sole appaga il lavoro duro e faticoso del contadino offrendogli copiosamente i suoi frutti nella loro genuinità. Ma l’estate è anche il tempo delle conserve. L’uomo, come la formica, prudentemente e saggiamente, in questo caso anche golosamente, pensa all’inverno arido e gelido.
Si rivive per incanto la gestualità domestica del passato quando la massaia sceglieva al momento giusto le melanzane, uno degli alimenti più sani e nutritivi della dieta mediterranea, da mettere sott’olio. Già questa prima operazione richiedeva oculatezza, in quanto l’ortaggio doveva essere maturo e al suo interno non doveva avere il seme. Dopo di ciò le mondava, le asciugava delicatamente con un panno bianco, le sbucciava e le affettava tonde o le tagliava a listelli. Accuratamente le poneva strato su strato, cospargendole con abbondante sale grosso ed arricchendole con ciuffetti di menta profumata, spicchi d’aglio e peperoncino tagliato a pezzetti, in una capasa. Su di esse veniva adagiato un tagliere di legno della forma e della dimensione della bocca della capasa sul quale si poneva il capapisasale, cioè una grossa pietra, che aveva la funzione di far espellere tutta l’acqua amara che l’ortaggio conteneva. Le melanzane rimanevano così “a riposo” per 24 ore. Trascorso tale tempo, con sorprendente abilità, senza scomporre il tutto, la donna rivoltava la capasa facendo fuoriuscire, premendo se necessario il composto, tutta l’acqua nerastra che le melanzane avevano cacciato. A questo punto vi aggiungeva un buon aceto di vino bianco e lasciava riposare il tutto per altre 4-5 ore. Passato tale periodo la donna ripeteva il rituale della capasa rivoltata. L’ultima operazione consisteva nel versare del profumatissimo olio extravergine d’oliva che copriva il prelibato ortaggio come un mantello, pronto per essere gustato dopo una mesata come contorno vegetariano, con una croccante frisella col pomodoro, con dei crostini di pane o, più semplicemente, per farcire un panino.
Ma cerchiamo di saperne di più su questo ortaggio.
Caratteristiche:
La melanzana, in vernacolo pugliese marangiana o melangiàne, è la bacca di una pianta annua, (Solanum melongena), con fusto eretto e ramificato alto fino a 80 cm, tipica dell’estate, appartenente alla famiglia delle solanaceae. I suoi fiori grandi e solitari sono di colore violaceo, rossastro o bianco, secondo la varietà. E’ di forma spesso allungata e arrotondata all’estremità con la parte superiore avvolta nel calice. La polpa è carnosa, di colore in genere bianco-verdastro, e va consumata assolutamente cotta, perché cruda è sgradevole e può essere anche tossica dato che contiene solanina, un glicoalcaloide presente appunto nelle solanacee. Questa sostanza scompare quando l’ortaggio è ben maturo e cotto. Per ovviare al problema solanina è comunque sempre meglio privare la verdura di tutte le parti verdi sbucciandola un po’ in profondità, in quanto l’alcaloide si concentra nelle parti superficiali; è conveniente anche tagliare le melanzane a fette, salarle leggermente per togliere l’amaro, tenerle a riposare per almeno un paio d’ore e sciacquarle prima della cottura. Questo ortaggio ha numerose proprietà: è ricco di acqua, potassio, vitamina A e C, fosforo, calcio, tannino e contiene pochi zuccheri. Il valore nutritivo delle melanzane e’ poco elevato: poche calorie, basso contenuto di grassi, proteine e glucidi, quantità ridotte di sali minerali.
Anche in cosmesi viene utilizzato per preparare maschere nutrienti per la pelle. Si schiaccia con una forchetta la polpa di melanzana e la si applica, da sola o mescolata a yogurt, per una ventina di minuti sul viso.
Origini:
Il termine italiano melanzana si può ricondurre al sanscrito vatingana che è diventato in persiano batingan. Gli Arabi chiamano la melanzana badingian a cui si è aggiunto in Italia il prefisso melo, divenendo così melo-badingian, quindi melangian, da cui l’attuale nome. La diffusione in Europa di nomi derivati dall’arabo e la mancanza di nomi latini e greci ci porta a supporre che l’ortaggio fosse sconosciuto ai Greci e ai Romani. Solo quattro secoli fa, studiosi sostenevano l’ipotesi che faceva derivare il nome melanzana dal latino malum insanum, cioè frutto insalubre, mela non sana, appunto perché non commestibile se non cotto Insomma tanti appellativi per lo stesso prodotto. Si riteneva anche che le melanzane provocassero la pazzia e, durante la seconda guerra mondiale, i contadini e i pastori usavano le sue foglie essiccate al sole per confezionare sigari o sigarette in sostituzione dell’introvabile e costoso tabacco.
E’ una pianta originaria delle zone calde dell’India, dove nasceva spontaneamente gia’ quattromila anni fa. Potrebbe essere derivata dal Solanum incanum o dal Solanum insanum, entrambi nativi di quelle regioni. Fin da quell’epoca veniva conservata in salamoia e insaporita con spezie piccanti. Durante la preistoria era coltivata in Cina e in altri paesi dell’Asia centrale. Giungono notizie dall’Africa del nord dove era stata importata dalle carovane arabe. Nell’area mediterranea viene introdotta dagli Arabi all’inizio del Medioevo ( IV Secolo), i nordafricani la portarono con loro nell’invasione della Spagna. La prima regione che ha conosciuto la melanzana pare sia stata proprio l’Andalusia. In Italia si registra la sua presenza, in particolare in Sicilia, intorno al 1300 ad opera sempre degli arabi, mentre documentazioni culinarie risalgono al Quattrocento.
Ancora una volta la nostra tradizionale cucina contadina vanta significative radici legate ai prodotti, costumi e profumi d’oriente. I segni di quella realtà hanno inciso profondamente nella nostra storia anche gastronomica.
Bibliografia
J. Seymour, I Piaceri dell’Orto, Idea Libri (1983).
Quanti ricordi mi hai fatto affiorare alla mente leggendo questo articolo, ho rivalutato nuovamente i momenti in cui, in un tempo non lontano, per me, erano una rutine estiva, attesa con gioia e divertimento, quando i miei genitori, formichine per eccellenza, spendevano il loro tempo a fare conserve, di pomodori, di peperoni,di melenzane, per gustarli poi nel periodo invernale. Complimenti per la esauriente esposizione culturale, storica ma soprattutto stuzzicante e accattivante!( Mi è già venuta l’acquolina in bocca!)
Rispolverare queste tradizioni (che poi piacciono a tutti) spiegate in maniera chiarissima, è un invito a riconsiderare le nostre tradizion che sono legate indiscutibilemente ad una realtà di prodotti e profumi di oriente!
Daniela, tu sei, a dir poco, una miniera con tante idee che stimolano un interesse a 360° e l’orgoglio di riappropriarci delle nostre tradizioni sapendo le origini storico-culturali
il ricordo delle cose sott’olio che ci portavamo in città e con le quali si organizzavano festini notturni coi panini fregati alla mensa… e poi una volte finite….panini con l’olio di melanzane sott’olio, di pomodori secchi e gli spicchi d’aglio erano un boccone ricercato…
Grazie a Daniela per avere risuscitato questi stimolanti ricordi
Grazie Nora, grazie Luigi. Io mi diletto ancora a fare le conserve e riscuotono sempre un gran successo a tavola. Grazie ancora