di Paolo Vincenti
I bardi, presso i popoli celtici, erano dei poeti cantori che, come gli aedi nella Grecia antica, accompagnandosi con l’arpa, cantavano, in versi, fatti epici e avvenimenti leggendari, inni religiosi e genealogie. Poeti di corte, nei secoli successivi, celebravano nella poesia le gesta dei loro signori. Non sappiamo se Maurizio Leo, nel 1991, si sia ispirato a queste figure semileggendarie di poeti oppure ai canti di guerra degli antichissimi popoli germanici per il titolo della sua creatura editoriale, Il Bardo, appunto, che, partendo da Copertino, è stato pian piano distribuito in tutta la provincia di Lecce. Ne ha fatta di strada, da allora, questo giornale dal titolo così accattivante, che ci evoca le misteriose atmosfere dei “Canti di Ossian” di James Macpherson, il quale, nel XVIII secolo, dall’Inghilterra, con questa sua opera (tradotta in Italia da Melchiorre Cesarotti) diffuse la moda della poesia bardita in tutta Europa. Forse il direttore- editore del Bardo si è ispirato proprio alle storie ossianesche dell’opera di Cesarotti del 1763, oppure è stato ispirato dall’ “Arminio” di Ippolito Pindemonte (1804), o da “Il Bardo della Selva Nera” di Vincenzo Monti (1806). Comunque sia, è proprio una bella avventura quella del Bardo che, partito in sordina e con pochi, pochissimi mezzi finanziari, si è ritagliato uno spazio sempre maggiore nell’ambito della pubblicistica salentina e si è accreditato presso gli addetti ai lavori come un foglio culturale di alto valore, per la serietà dei suoi collaboratori e il rigore scientifico di tutti i loro contributi.Tutto questo mai rinunciando a quell’appeal che la rivista ( come tutti i prodotti della carta stampata, per noi incalliti bibliofili) reca in sè. Probabilmente, Maurizio Leo non sarebbe andato oltre i primi numeri, se non avesse trovato sulla sua strada un gruppo di amici disposti ad aiutarlo, credendo fortemente nella sua iniziativa, e a coadiuvarlo nella redazione del giornale. Al primo gruppo di lavoro, formato essenzialmente da Maurizio Leo e dalla moglie, sua inseparabile e silente compagna d’avventura, si sono poi aggiunti numerosi amici intellettuali, che hanno garantito allo squattrinato editore un supporto morale ed anche economico, ciascuno con i propri mezzi e secondo le proprie possibilità.
Free press, senza una cadenza regolare, ma contando, più o meno, tre uscite l’anno, Il Bardo, Fogli di culture si distingue dalle altre riviste, innanzitutto per il suo formato gigante ( “lenzuolo” nel linguaggio giornalistico), poi per le copertine, sempre molto originali e senza alcuna didascalia, di Caterina Gerardi, e per il bianco e nero al quale il giornale è rimasto caparbiamente fedele (e sia perciò lodato) in tutti questi anni. Anche il numero delle pagine può variare da 6 a 10, a 12, in base alla mole dei materiali che arrivano in redazione per i vari numeri.
Grazie al Bardo, che va a completare la nostra emeroteca ideale, la storia di Copertino è stata riscoperta ed indagata a fondo dai collaboratori di questa rivista. Sono state così scritte pagine nuove ed interessanti della antichissima storia di questo casale centrosalentino, quel Convertino o Conventino patria di San Giuseppe Desa e di Frà Silvestro Calia, di cui si sono occupati, fin dal primo numero, studiosi come Giancarlo Vallone, Giovanni Cosi, Mario Cazzato, Giovanni Greco, Alessandro Laporta, Fernando Verdesca e Vittorio Zacchino. Si aggiungano i nomi di Luigi Manni, Luciano De Rosa, Antonio Edoardo Foscarini, Alvaro Ancora, Antonio Errico, Giuseppe Conte, Pierpaolo De Giorgi, Giovanni Greco, con pezzi di ricerca storica, letteraria, filologica, antropologica, recensioni, segnalazioni e cultura generale, sempre appassionati e originali. Ma addirittura, sul Bardo, hanno scritto Mario Marti, Ennio Bonea, Gino Pisanò, Donato Valli; insomma si è mosso lo stato maggiore della Repubblica delle Lettere salentina. A metà giornale, si trova un inserto, “Allestimento- prove di poesia”, che ospita liriche edite ed inedite di svariati autori. Non si potrebbe dare una definizione unitaria di questo inserto poetico per la eterogeneità dei brani che vi appaiono, anche se tutti, grossomodo, percorsi da una certa vena di sperimentalismo. Scrive Maurizio Leo: “Ho voluto dei fogli dal vivo dove chiunque (poeti scrittori o altri ARTisti, purchè attraversino il valore della scrittura in pura e semplice ricerca) possa esprimere creato e/o rappresentato, il di-segno che è tutta un’esistenza”. Fra gli autori che si sono avvicendati su questo foglio “allestito” da Leo a mo’ di silloge poetica, scorriamo i nomi di Walter Vergallo, Arrigo Colombo, Giuseppe Conte, Carlo Alberto Augeri, Elio Coriano, Antonio Tarsi, Tatàr Sàndor, Pierpaolo De Giorgi, Nicola De Donno, Vincenzo Ampolo, Florio Santini, Mauro Marino, Piero Rapanà, Maurizio Nocera, Kavafis, Marilena Cataldini, Michelangelo Zizzi, ed altri. La poesia di Leo è molto vicina al beat, per il culto che egli ha per autori come Allen Ginsberg e Jack Kerouac, e per una certa ricerca nella scrittura che lo porta, in alcuni casi, ad una forte tensione e ad impennate del senso, mentre, in altri, ad una deriva non sense.
Se pensiamo al Bardo, ai tantissimi contributi su San Giuseppe Desa, il santo dei voli, amatissimo protettore della città, e ai tanti interventi sul patrimonio artistico, archeologico, paesaggistico di Copertino, Conventio Populorum, come recita lo stemma civico del paese, subito ci vengono incontro nella mente il suo magnifico Castello con il Torrione medievale e la Porta di San Giuseppe, L’Arco dei Pappi e la Cripta di San Michele con l’epigrafe dedicatoria del Cavaliere Sourè, la Colonna di San Sebastiano e la Chiesa di Santa Chiara, il magnifico complesso della Grottella, che ci accoglie all’entrata del paese, e la Chiesa di Santa Maria di Casole, la ecc. Maurizio Leo, questo “piccolo Barone di Munchausen del suo paese”, come è stato definito da Stefano Donno, che per vivere fa il pizzaiolo e rincorre i suoi sogni letterari, è anche il fondatore di una indipendente casa editrice, “I quaderni del Bardo”, con la quale, da molti anni, porta avanti il suo discorso culturale. Sotto questa etichetta, Maurizio Leo ha pubblicato Dogmaginazione(1992), L’albergo di latta (1994), Fobia ( 1995), Non suona più il jukebox nell’appartamento di allen (1998), Il bazar delle parole scomposte (2002), per citare solo alcuni titoli comunque rappresentativi del suo “agire poetico”. Ma sono stati pubblicati anche affermati autori, come Vittorio Zacchino, con Religiosità e tradizione nelle poesie di S.Giuseppe da Copertino (1993), Paolo Valesio, con Anniversari (1999), Vittore Fiore, con Nicola a Copertino (2003), Giovanni Cosi, con Sette lustri di vita lequilese (2003), Maurizio Nocera, con Figli vostro padre uccidete! (2004), Elio Coriano, con Dolorosa impotenza il mestiere delle parole (2004), ed altri.
Sfogliando le pagine del Bardo, ancora, incontriamo i nomi di Lucio Romano, Ermanno Inguscio, Marcello Gaballo, Salvatore Muci, Giovanni Giancreco, grazie ai quali approfondiamo la nostra conoscenza della antica Terra Hydrunti. Ma un foglio di cultura è sempre solo un foglio di cultura. Non può fare rivoluzioni, non può spostare le opinioni della gente, non dà notizie di cronaca o di attualità, può essere del tutto ignorato dal grande pubblico dei lettori. Chi si approccia a questo foglio, magari attirato dal grande formato o dal fatto che non costi nulla, però, sia avvisato: può ritrovarsi rapito dagli approfondimenti che offre questa miscellanea e
e può magari appassionarsi a tal punto da scoprire una sensibilità nuova, nei confronti della cultura, che non sapeva di avere. Il gusto di scoprire cose nuove ed interessanti della nostra storia patria può portare anche il semplice amatore a misurarsi con la ricerca, dapprima da neofita, in maniera discontinua ed inesperta, e poi sempre più accuratamente, mano a mano che acquisisce un metodo di analisi, fino a diventare anch’egli un roditore di vecchie carte, al pari di quegli affermati studiosi che lo avevano primieramente entusiasmato. La conoscenza del passato, infatti, non siamo i primi a dirlo, porta consapevolezza del presente, ci rende più forti e fieri della nostra identità, ci aiuta a comprendere meglio quel patrimonio culturale di cui è depositario il nostro territorio, e , naturaliter, a diventarne promoters, ossia divulgatori, cosicchè tutti possiamo intraprendere un affascinante percorso a rebòurs, all’indietro nella nostra storia, e, grazie a questa appassionata riscoperta delle nostre radici, farci infine anche noi bardi della salentinità.
PAOLO VINCENTI
Pubblicato su “Espresso Sud”, Giugno 2007 e poi in “A volo d’arsapo. Note bio-bibliografiche su Maurizio Nocera”, Il Raggio Verde Editore, Lecce 2008