La ragazza sulla terrazza dirimpetto. Una storia d’altri tempi nel Seminario Vescovile di Nardò
(decima parte)
di Alfredo Romano
Per lunghi quattro anni, sotto lo studio del Seminario in Corso Giuseppe Garibaldi, avevamo visto sfilare quasi soltanto funerali. L’ora era del primo pomeriggio. Il corteo proveniva dalla vicina Cattedrale ed era accompagnato dalla banda locale che insistentemente suonava la marcia funebre di Chopin (http://www.youtube.com/watch?v=3E-U4NtGpDs). Della banda faceva parte anche il nostro barbiere, famoso per tosare ogni seminarista in soli tre minuti e poi sotto a chi tocca. Si chiamava Antonio Stìfani, fratello del più famoso Luigi (anche lui barbiere) che suonava il violino nella pizzica tarantata registrata a Nardò da Diego Carpitella e Roberto Leydi nel 1966. Giusto in tempo di carnevale, oltre ai cortei funebri, captavamo in tarda serata il vociare allegro e sguaiato della gente mascherata giù nel Corso, mentre noi eravamo affaccendati a edificare lo spirito e la mente nel “silenzio del chiostro”.
Ma l’ultimo anno accadde una fatto a dir poco insolito, di meraviglia nel ricordo. Era un giorno di maggio del 1964, avevo da poco compiuto 15 anni. Lo studio dei seminaristi era situato al primo piano e prendeva luce da quattro finestroni. Sulla tarda primavera, con i primi caldi, le imposte erano sempre aperte per arieggiare l’ambiente. La mia scrivania si trovava nella fila di destra, vicino a uno dei finestroni, la qual cosa mi permetteva di leggere i manifesti cittadini e i numerosi annunci funebri affissi sulla parete di fronte. Ma un pomeriggio inoltrato, quando l’aria s’era fatta più tiepida e tutto indulgeva all’ozio e all’oblio del fare, ecco che sulla terrazza dirimpetto al primo piano, apparve, come per miracolo, una inaspettata fanciulla… a miracol mostrare. Nei cinque anni precedenti, nessun inquilino vi aveva mai fatto capolino. Casa disabitata s’immaginava. La fanciulla avanzava sulla terrazza avendo una sdraio in carico sulla mano destra e un mangiadischi sulla sinistra. Quindi aprì la sdraio e si distese tutta a prendere il sole in uno stato d’abbandono tale da far pensare a una Venere dormiente. Dopodiché azionò il mangianastri: una voce maschia e calda si levò per l’aria tutta fino a sfociare in un assolo di tromba, motivo dominante della canzone e di bella malinconia. Fu così che nello studio quello sfogliar di pagine in sottofondo non s’udì più; smise anche il cigolio continuo delle sedie mortificate da generazioni di seminaristi; smise il tossire fortuito dell’uno o dell’altro che sempre s’accompagna in una comunità; smisero le penne persino, o matite che fossero, di cadere incidentalmente dalle scrivanie: un silenzio surreale, presago di quali eventi chissà. Ma solo i seminaristi che occupavano le scrivanie della fila di destra potevano, oltre che ascoltare la tromba, godersi la vista della Venere fanciulla sulla sdraio… tutta china te làssame stare, sicché gli altri erano costretti a levarsi in piedi per godersi l’inusitata scena che creava, ovviamente, un irrituale trambusto. I seminaristi, ricordo bene, erano tutti sbabbati, come se improvvisamente fossero stati catapultati su di un altro pianeta, una specie di paradiso musulmano dove abbondavano fiumi di donne e di latte per tutti, dove era possibile affacciarsi a una finestra e a turno invitare una fanciulla a un qualche ballo aereo, magari su Corso Garibaldi. La Venere era come scesa dal cielo per far prendere il volo al povero immaginario dei seminaristi ridotti ai soliti mantra quotidiani per quell’unica via di salvezza che portava al cielo e niente di niente su questa arida e materiale terra.
Fummo fortunati, perché si diede il caso che il vice rettore, che faceva su e giù tra le file di scrivanie per controllare che studiassimo, s’era allontanato per un qualche motivo, sicché noi seminaristi avemmo tutto il tempo di assaporare la vista della ragazza in sdraio e ascoltare quel motivo di tromba che, negli anni a venire, avrei scoperto essere La ballata della tromba di Ninì Rosso.
Ma poi il vice rettore rientrò e lui non si appassionò alla vista della fanciulla dirimpetto, né si fermò ad ascoltare quel motivo di tromba che faceva tàra-ttàra-tàra-ttàra tàra-ttàra-tàra-ttàra (http://www.youtube.com/watch#!v=z0UnppqPqM0&feature=related) e continuava in un crescendo fino a smorzarsi pian piano, come in un meraviglioso atto d’amore. Entrava la luce dai finestroni, entrava l’aria, la vita entrava. Fu così che il vice rettore, lui stesso, proprio lui, corse ai ripari chiudendo i finestroni e perfino i lustri. D’un tratto ci trovammo al buio e d’improvviso s’accesero le luci elettriche.
Il vice rettore non disse una parola, non ci disse: Ragazzi questa cosa non s’ha da fare, dovete studiare, quella donna è il diavolo in persona, non potete restare così a bocca aperta di fronte al demonio, questa è una prova che Dio vi manda per saggiare la vostra vocazione… Quante volte questi discorsi, ma quella volta il vice rettore non proferì parola. E alla luce delle lampadine e con i finestroni chiusi, pur sottratti alla vista della Venere dormiente, come in lontananza continuava ad ammaliarci la tromba di Ninì Rosso. E il giorno dopo, la ragazza di Ninì Rosso ritornò sulla terrazza e di nuovo i finestroni chiusi e di nuovo ad ascoltare quel motivo di tromba quasi canto silente proveniente da un oscuro anfratto marino. E così fino alla fine del mese, quando, lasciato il Seminario, si andava tutti a Villa Tabor delle Cenate per 20 gg. di soggiorno estivo. L’anno dopo entrammo nel Seminario nuovo in Via dell’Incoronata e non sapemmo mai più di quella ragazza. A volte, dopo così tanti anni, mi chiedo dove sia adesso. Talvolta, girando per Nardò, osservando una donna di una certa età, mi chiedo se non possa essere lei la fanciulla della terrazza: oh, l’abbraccerei di cuore. In quel nostro vivere senza colore, senza luce e senza amore, lei aveva d’un colpo risvegliato la gioia pura dei nostri sensi, regalato le prime avvisaglie dell’amore. Fu tentazione del demonio? Mi piace pensare che fu proprio il dio dei preti, mosso a compassione, a propiziare il miracolo della terrazza. Chi l’ha detto che i miracoli si riducono solo a quell’àlzati e cammina?
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