di Daniele Chiffi
Ė molto frequente leggere vuote disquisizioni sul mancato sviluppo della città di Taranto, sulle sue bellezze naturali poco conosciute e sull’idea che seppure sia vero che Taranto è sede del centro siderurgico più grande d’Europa, ciononostante esisterebbero cose buone da salvare ed è un problema dei tarantini non saper valorizzare la propria città. Penso che sia sbagliato scrivere cose simili in riferimento alla città di Taranto.
A Taranto esistono problemi veri e il semplice fatto di cercare la pagliuzza d’oro nel mare di problemi della città è un atteggiamento non sufficiente a smuovere il corso delle recenti vicende (per lo più nefaste) del territorio jonico. Le percentuali di morti per tumore – tra le più alte in Italia – non sono dovute a deficienze nella rappresentazione soggettiva della città di Taranto da parte dei tarantini: queste morti sono un dato di fatto. “Non abbiamo superato l’acciaio, stiamo morendo dentro di esso” potrebbe essere uno slogan che rende bene l’idea della situazione tarantina.
Solo un analista disincantato può ritenere che la riscossa di Taranto possa arrivare dal nulla dalla comunità tarantina attuale. Una città dove la parola “cultura” è quasi cancellata da ogni dizionario non ha molte speranze di migliorare. Taranto e la sua provincia, inoltre, vorrebbero ergersi a meta turistica, dimenticando che mancano tante infrastrutture essenziali e che, ad esempio, parte dei liquami finisce in mare senza essere depurata come ne danno notizia i giornali dei giorni scorsi. I problemi di Taranto dipendono solo in minima parte dall’auto-rappresentazione dei tarantini; tali problemi non sono una mera costruzione sociale, poiché hanno un’esistenza indipendente dall’immagine che i tarantini hanno di se stessi.
Da un punto di vista politico-amministrativo, la gestione della cosa pubblica comunale è sensibilmente migliorata ed è vero che si sono mossi importanti passi degli enti locali e regionali per favorire, in particolar modo, lo stato sociale. Ma il problema tarantino è solo un problema politico? Secondo me non solo. Ribadisco: è soprattutto un problema di cultura e di rispetto dei livelli minimi di legalità e di mancata salvaguardia del patrimonio ambientale. Ogni tarantino onesto ha dovuto fare i conti con lo stile criminale di una parte, seppur minima, dei suoi concittadini. Lo stile criminale comincia spesso durante l’infanzia (ricordo compagni di giochi finiti appena maggiorenni in cella), nelle scuole, dove ricordo il modo quasi mafioso di composizione delle classi e di attribuzione di voti, e poi continua nella società con fenomeni come le estorsioni ai commercianti, ecc. Ė triste dirlo, ma un’analisi culturale dei nostri territori del Mezzogiorno non può prescindere dal ruolo che le mafie hanno rivestito in passato e che rivestono attualmente nella costruzione della nostra realtà sociale.
La salvaguardia del territorio è l’altro punto delicato. Quante seconde case abusive costruite sul litorale tarantino hanno contribuito a deturpare le coste? Per non parlare dell’inciviltà di chi sporca pinete e spiagge pubbliche. Inoltre, esiste un forte rischio di eventi catastrofici a Taranto che non viene fatto conoscere adeguatamente: si pensi ai sottomarini militari che viaggiano nelle nostre acque, ai pericoli di catastrofi connesse alle raffinerie, solo per fare alcuni esempi.
Per concludere, ritengo che per Taranto sia necessario smarcarsi dalla moda relativa all’appartenenza al cosiddetto “Grande Salento” e finire di scimmiottare i capoluoghi vicini. Taranto deve saper ritrovare quella sua specificità all’interno del sistema pugliese, anche perché la Puglia non è un’entità omogenea e univoca. Faccio mia una felice affermazione del maestro Carmelo Bene: “Non esiste la Puglia, esistono le Puglie”.