Le stoppie del Salento leccese devono essere bruciate oppure è meglio interrarle?
di Antonio Bruno*
I campi hanno dato il grano, la trebbia è passata per raccogliere le cariossidi che forniranno la farina e la paglia. Restano le stoppie, come ogni estate, da cui giungono notizie che riferiscono di vittime, come quella del cinque luglio 2010 riguardante un uomo di 86 anni, Giovanni Gurrieri, morto carbonizzato in un terreno di sua proprietà nei pressi della Provinciale Ragusa-Chiaramonte Gulfi. L’anziano, titolare di un’azienda agricola, stava bruciando delle stoppie ma, a causa del vento, non è riuscito a controllare le fiamme, rimanendone intrappolato.
Il problema di rimanere uccisi per le ustioni di incendi incontrollati delle stoppie è già presente nella Bibbia “Poiché, ecco, il giorno viene, ardente come una fornace; allora tutti i superbi e tutti i malfattori saranno come stoppie” (Ml 4,1) “Ecco, essi sono come stoppia; il fuoco li consuma” (Is 47, 14).
Sono i seguaci della pratica del “Debbio”, metodo arcaico di concimazione delle terre attraverso la cenere prodotta dall’incendio degli steli e delle foglie (le stoppie) dei cereali rimasti sui campi dopo la mietitura.
Il Debbio è una delle operazioni tradizionali che ha radici nel periodo neolitico e che in passato coinvolgeva tutta la comunità agricola del Salento leccese per il controllo del fuoco in modo che non causasse incendi coinvolgendo boschi o altri coltivi e soprattutto per evitare le vittime.
E non è difficile avventurarsi in descrizioni suggestive della pratica del Debbio: “Il sud…..dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie” (Salvatore Quasimodo: Lamento per il sud).
Le stoppie presenti a Roma, la città di Romolo con povere capanne di canne e terra, col tetto di rami e stoppie; tombe dai corredi modesti: questo è tutto ciò che l’archeologia documenta delle origini di Roma.
Per eliminare le stoppie oggi sono disponibili in commercio macchine tritura stoppie che permettono il loro interramento con benefici effetti per il suolo e per l’ ambiente in genere. Ma c’è anche Virgilio che parla della pratica del Debbio:
A volte poi è bene dare fuoco
ai campi isteriliti
e bruciare al crepitio delle fiamme
ogni minima stoppia:
sia che così il terreno acquisti
forze misteriose e nuovo alimento
o che nel fuoco si dissolva ogni suo guasto
e trasudi l’umidità superflua,
sia che il calore schiuda nella terra
altri passaggi e spiragli invisibili
da cui gli umori giungono ai germogli
o che indurisca e restringa le vene aperte
impedendo all’insidia della pioggia,
alla violenza troppo forte e impetuosa del sole
e al gelo penetrante della bora
di procurarle danno.
(VIRGILIO – OPERE BUCOLICHE EGLOGA PRIMA MELIBEO, TITIRO).
Nel Salento leccese la pratica di bruciare le stoppie è antichissima. Maria D’Enghien in “Banni e Capitoli” della metà del XV secolo così scrive: “chi incendia le stoppie prima della metà di agosto de fore la cità de Lese sopra lo tienimento de la dicta cità” (avanti la festa de Sancta Maria de mezzo augusto) fosse punito con la pena di once quattro e che dopo tale epoca bisognasse “chiedere licentia del Capitanio e portare persone sufficienti a spegnere il fuoco per evitare i grandi danni successi negli anni passati…”.
Se nel Salento leccese sia più conveniente bruciare o sovesciare le stoppie è una questione che è stata affrontata nel XVIII secolo dal medico di Martano Cosimo Moschettini che è anche autore di un trattato di olivicoltura. Cosimo Moschettini dichiara di preferire “l’abbruciamenro delle stoppie… perchè promuove lo sviluppo dei semi delle biade le quali si debbono disporre in quel terreno e li fa germogliare con il maggiore vigore e gagliardia, perchè purga il terreno dai semi e dalle radici di piante infestanti perchè infine distrugge ovaie ed insetti devastatori delle biade”.
La considerazione del Moschettini trova un obiezione nel mancato apporto di sostanza organica nel terreno dovuto al Debbio. Ma se invece si interrassero le stoppie, quanta sostanza organica forniremmo al terreno?
La risposta è che con il sovescio delle stoppie si interrerebbero dai 4,5 ai 5 quintali di sostanza organica per ettaro. Se consideriamo che le stoppie agirebbero nei primi 30 centimetri di terreno esse costituirebbero meno dello 0,1 per mille in peso del terreno.
Il prof. Martelli della Facoltà di Agraria di Bari con la guida del Prof. Baldoni e del allora suo aiuto Prof. Cavazza condusse una ricerca che dimostra l’effetto dannoso dell’interramento delle stoppie nell’ambiente del Salento leccese perchè determina una carenza di azoto determinato dal sovescio delle stoppie e contemporaneamente dall’interramento nel terreno di microorganismi denitrificanti che sottraendo azoto dallo strato attivo generano una forte carenza.
La pratica del debbio consente il controllo di due parassiti vegetali che se lasciate comportano gravi danni per il grano. Le due fanerogame sono conosciute nel Salento leccese come “Spurchia del grano” e “Cacalupo” che sono due specie appartenenti alla famiglia delle Scrofulariacee e propriamente ai generi Rinanto (Rinanthus major) e Melampiro (Melampirium pratense ed avrense). Sappiamo tutti che è vietata la vendita dei semi di grano imbrattati da questi semi che danno prodotti di sapore ed odore cattivo.
Riferisce il Dottore Agronomo Attilio Biasco che “In tutta la penisola salentina queste due specie crescono vigorose su terreni di mezzano impasto di colore rossastro; i loro semi, che grosso modo somigliano nella forma a quelli del frumento, ma di color nero carbone, germogliano e sviluppano in un primo stadio senza l’appoggio di piante ospiti. I primi segni di parassitismo si manifestano dopo lo sviluppo della radice primaria dalla quale prendono origine numerosissime radici secondarie he si dirigono in ogni senso e si fissano sulle radici del frumento con succhioni piuttosto grandi, rotondeggianti, che le circondano quasi totalmente.”
I danni causati sono davvero notevoli, nelle piante attaccate alcune volte si salva la spiga principale o se rimangono quelle dei culmi secondari sono svuotate.
Per 25 anni l’allora Ispettorato provinciale dell’agricoltura di Lecce, di cui oggi rimane solo un ufficio, istituì campi di orientamento delle varietà di frumento e campi di concimazione quando l’Italia durante il periodo fascista era impegnata nella “Battaglia del grano” che cominciò quando lo Stato prese coscienza che si importavano dai 15 ai 20 milioni di quintali di frumento. Durante quegli anni nell’Arneo alcuni seminati vennero attaccati dal Rinanto e dal Melampiro così come riferisce il Dottore Agronomo Attilio Biasco che riferisce la circostanza della evidenza della presenza dei due parassiti dopo la mietitura per la presenza nel campo degli scapi fiorali anneriti tanto da far apparire le stoppie picchettate di nero.
Dalle esperienze millenarie riportate pare che nel Salento leccese la pratica del debbio sia necessaria stando attenti a NON BRUCUARE , SENZA LE DOVUTE MISURE DI SICUREZZA, LE STOPPIE, LA PAGLIA E ALTRI RESIDUI AGRICOLI perchè in pochi minuti potrebbe sfuggire il controllo del fuoco. L’accensione delle stoppie, nei territori della Regione Puglia, è regolamentata dalla L.R. n. 15/1997 e all’art. 41 della L.R. 27/97 modificato dall’art. 37 della L.R. n. 9/2000. Secondo questa legge le operazioni di accensione e bruciatura delle stoppie nei campi a coltura cerealicola sono vietate nel periodo compreso tra il 1° giugno e il 31 luglio, tranne che per le superfici irrigabili utilizzate per le colture di secondo raccolto, per le quali le operazioni di bruciatura possono essere anticipate, previa autorizzazione del Sindaco, a partire dal 1° luglio. Le operazioni di accensione e bruciatura devono in ogni caso essere effettuate nei giorni di non eccessivo calore e privi di vento, nelle prime ore del mattino e nelle ore del crepuscolo. La bruciatura delle stoppie può essere praticata a condizione che lungo il perimetro delle superfici interessate sia tracciata, subito dopo le operazioni di mietitrebbiatura e comunque entro il 15 luglio, una “ precesa” o “ fascia protettiva “ per tutta l’estensione direttamente confinante con boschi o foreste, o con altre proprietà per una larghezza non inferiore a dieci metri e comunque, tale da assicurare che il fuoco non si propaghi alle aree circostanti e/o confinanti. Le medesime operazioni praticate su terreni lungo linee ferroviarie o strade devono rispettare una larghezza delle fascia di precese di cinque metri dal confine ferroviario o stradale. L’operazione di bruciatura deve essere effettuata a cura degli interessati , dotati di mezzi idonei al controllo e allo spegnimento delle fiamme, e assistita fino al totale esaurimento della combustione.
Bibliografia
Ragusa, anziano muore carbonizzato mentre brucia stoppie http://www.gds.it/gds/sezioni/cronache/dettaglio/articolo/gdsid/117831/
Stefania Arcara: Messaggere di luce: storia delle quacchere Katherine Evans e Sarah Cheevers
Piero Bevilacqua: Breve storia dell’Italia meridionale: dall’Ottocento a oggi
Chiara Melani,Francesca Fontanella,Giovanni Alberto Cecconi: Storia illustrata di Roma antica: dalle origini alla caduta dell’impero
Angelo Massafra: Problemi di storia delle campagne meridionali nell’età moderna e contemporanea
La bruciatura delle stoppie: http://www.oseap.it/Lupo/La%20bruciatura%20delle%20stoppie.htm
Maria D’Enghien “Banni e Capitoli” XV secolo
Cosimo Moschettini: Trattato di Olivicoltura
Vittorio Villavecchia,Gino Eigenmann: Nuovo dizionario di merceologia e chimica applicata, Volume 2
Attilio Biasco: Un antica pratica che ritorna agli onori della ribalta – Salento Agricolo Agosto 1959
“NORME IN MATERIA DI BRUCIATURA DELLE STOPPIE ” http://www.provincia.foggia.it/files/File/Caccia%20e%20Pesca/stp.pdf