di Luigi Scorrano
“Stazione” vuol dire, letteralmente, “luogo di sosta”. Ogni stazione lo è. Meglio si potrebbe dire “luogo d’attesa”. Ci si fermi in procinto di partire o, al momento del ritorno, il tanto che basta a passare dal predellino d’una locomotiva al marciapiede, il sentimento che si prova è quello non di uno “stare”, come la parola vorrebbe, ma d’un tendere verso qualcosa. Tendere a un luogo perché vi sospingono particolari circostanze della vita; tornare al luogo natale, alle note pareti di casa, alle vie percorse tante volte con disattenzione e che ora sembrano muovere incontro a chi torna mostrando un volto festevole.
La stazione, anche “questa stazione”, è un luogo in cui s’incrociano destini, in cui storie dolorose o liete si appoggiano per un attimo come valige piene di doni inattesi o di misere cianfrusaglie. Non c’è bisogno di grande movimento per evocare tutto questo: basta oggi osservare gli scarsi viaggiatori in attesa che un lenta littorina scivoli in frenata sui binari o riprenda il suo calmo cammino attraverso irti blocchi di case o dolci tratti di campagne. Basta questo, però, a rievocare la “nostra” stazione com’era – per esempio – alla metà degli anni Cinquanta, o poco più oltre?
La memoria talvolta arricchisce un’impressione… Di certo c’era il vocio allegro degli studenti, il professionale incedere del personale, il tentativo di recupero d’un po’ di sonno da parte dei passeggeri le cui facce s’intravedevano dietro i finestrini. In alcuni anni la stazione si è presentata un po’ troppo povera nell’aspetto, un po’ trascurata; in altri, lavori e risistemazioni le hanno conferito la fisionomia dignitosa, non senza un’ombra di civetteria, che oggi ha.
La riguardiamo, qualche volta, con un pizzico di nostalgia. I treni si fermano ancora: partono, arrivano… I viaggiatori sempre più radi. Non per questo la stazione perde di fascino. Rimane un luogo simbolico: un luogo dell’incontro o del distacco, ma pur sempre un luogo stampato nella nostra mente con il film di tante vicende, di tante storie personali.
L’emigrazione ne affollò il marciapiede, ora così agevole e allora un po’ sconnesso. Case crebbero sui due lati della ferrovia; la campagna cedette a qualche insediamento industriale. E in anni remoti una coppia di barbagianni costruì nella stazione il proprio nido famigliare. Ma il canto notturno di quei volatili spaventò creduli e superstiziosi. Per i due sposi alati la stazione divenne il luogo dal quale fuggire in cerca d’un nido più accogliente.
Non sempre le stazioni sono felici luoghi di sosta!
(pubblicato da Felice Campa su www.tuglie.com)
Di una delicata bellezza…