di Armando Polito
Tra i tanti giochi di abilità di un tempo c’era anche quello dei tuddhi.
Il gioco era praticato soprattutto dalle bambine ed era basato sulla destrezza della mano: occorreva munirsi, anzitutto, di cinque tuddhi, cioè sassolini arrotondati; dopo la conta (lu tuèccu=il tocco) la prescelta dalla sorte prendeva i cinque sassolini e, dopo averli lanciati in alto, a circa 50 cm., li lasciava cadere su un piano che poteva essere la soglia di casa (lu limbitàru1) o il marciapiede; subito dopo ne prendeva uno, lo lanciava in alto e quasi contemporaneamente, presone un altro da terra, afferrava al volo il primo ricadente; quindi lanciava in alto entrambi e, presone un altro da terra, li prendeva al volo mentre ricadevano e così via finchè nelle sue mani restavano tutti e cinque; vincitrice era colei che non commetteva alcun errore.
Si tratta di un gioco antichissimo (quello degli aliossi o astragali) e che lo praticassero pure gli adulti lo testimoniano le due foto di testa. La prima mostra una terracotta proveniente da Capua, risalente alla seconda metà del IV secolo a. C., custodita nel British Museum di Londra; la seconda una pittura monocroma proveniente da Ercolano, anteriore al 79 d. C., custodita nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Nel suo vocabolario il Rohlfs fa derivare tuddhu, non senza dubbio, da un “latino *cutùllus, diminutivo di cutis, cfr. il calabrese cutìcchiu=ciottolino, cute=ciottolo”2.
Ora cutis in latino significa pelle; è evidente che l’illustre studioso, probabilmente condizionato dalla prima u di *cutùllus o per aver citato a memoria, ha confuso cutis (=pelle)3 con cos/cotis [forma secondaria cotis (=pietra)]4, voce della quale esistono anche le varianti cotes e cautes, ma non cutis.
Un errore banale5, uno di quelli nei quali, più spesso di quanto non si creda, incorrono i grandi, il che in fondo li rende simpatici ai nostri occhi di uomini comuni.
E non è male ricordare i versi di Orazio (Ars poetica, 359-360): Indignor quandoque bonus dormitat Homerus;/verum operi longo fas est obrepere somnum (Mi scandalizzo ogni qual volta il buon Omero sonnecchia; in realtà è lecito che il sonno si insinui di nascosto in una lunga opera)6.
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1 Il corrispondente italiano è limitare, dal latino limitàre(m)=dei confini, da limes=confine. Etimologia: da limitare, con raddoppiamento espressivo –m->-mm– (*limmitàre), dissimilazione –mm->-mb– e regolarizzazione della desinenza.
2 Io ci aggiungerei il siciliano cutìcchia che ha mantenuto il genere della voce primitiva. È ovvio, anche se il Rohlfs non lo dice, che tuddhu sarebbe da cutullus attraverso la trafila cutùllu(m)>tullu (aferesi di cu-) >tuddhu.
3 Da cui l’italiano cute.
4 Da cui l’italiano cote.
5 La trafila della nota 1, perciò, andrebbe così rivista: cotùllu(m)>tullu (aferesi di cu-)>tuddhu.
6 E quella del Rohlfs, in particolare il suo Vocabolario dei dialetti salentini, non solo è lunga, ma è ancora oggi fondamentale e unica, dal momento che nessuno studioso, salentino (e sottolineo salentino…) e non, ha tentato, a tutt’oggi, di partorire qualcosa di simile.
Anzitutto un grazie all’amico Armando, per avere riportato alla memoria l’antico gioco degli astragali, a me, che da piccolo ammiravo (ma parliamo del 1950-52), i ragazzi e le ragazzine di Gallipoli, “ssettati allu pazzulu” giocare con gli astragali, lanciarli in aria per brevi attimi e quindi riprenderli, e poi di nuovo lanciarli con rapida maestria, prima uno, poi due, quindi tre, e così via fino a completare il ciclo per tutti e cinque gli ossi.
Ma a chi non aveva la fortuna di avere gli astragali, bastavano cinque “petruddi” più o meno cuboidi e di peso similare…
L’autore del bel post, elegantemente e riccamente illustrato, sullo scritto di Gerard Rohlfs non poteva non attendersi una mia nota.
E a chi volesse approfondire la lettura circa la bellissima trattazione del Rohlfs sulle diverse denominazioni del gioco in alcuni paesi del bacino del Mediterraneo suggerisco la lettura di alcune pagine (169-180) del saggio Calabria e Salento. Saggi di storia linguistica. Studi e ricerche, editato da Longo a Ravenna nel 1980.
In realtà Gerhard Rohfs pubblicò l’articolo in tedesco nel 1963 presso l’Editore Max Niemeger-Verlag, di Tubingen, dove allora egli insegnava, dal titolo Antikes Knöchelspiel im einstigen Großgriechenland. Fu un salentino, l’avv. Americo Marsano di San Pietro Vernotico, a curarne la traduzione, che fu rivista dallo stesso Rohlfs e fu pubblicata per i tipi di Olscki a Firenze nel 1964, nei “Quaderni del Museo Francesco Ribezzo” di Brindisi, curato dallo stesso Marsano.
Per il lettore più curioso e con più tempo a disposizione cito anche il link sottostante che permetterà di gustare la traduzione del Marsano e le interessanti immagini che la completano.
http://emeroteca.provincia.brindisi.it/Ricerche%20e%20Studi/1964/Annata/Fascicolo%20intero%202.pdf
Rileggendo le note del saggio di Armando, mi permetto di ricordare , a proposito del citato “cutis” (non pelle, ovviamente) che le rocce nelle campagne, cito tra i miei ricordi, erano chiamate “cuti”, quindi pietre…
Sono io a ringraziare l’amico Luigi per il prezioso link che mi ha consentito di archiviare un saggio del Rohlfs che conoscevo, ma del quale non avevo avuto l’opportunità di farmi una copia. Approfitto poi, dell’ultima osservazione (cuti) per confermare (ma non ce n’era certamente bisogno…) l’assoluta venialità della svista del Rohlfs che nel suo vocabolario così tratta il lemma cute: “roccia, scoglio affiorante…sasso; mieru te cute=vino di terreno sassoso [cfr. il latino cotes=rocce]”; aggiungo, infine, che nonostante “cuti” entri nella composizione di moltissimi toponimi, Li Cuti , in agro di Sannicola, non traggono il nome, come in un primo momento ipotizzabile, dal terreno sassoso, ma dalla proprietaria Laura Cuti che nel 1489 portò in dote il podere al marito Orsino Coppola (che poi l’onomastico sia legato alle pietre, è impresa titanica documentarlo…)
Il gioco de “li tuddhri” proponeva diverse difficili prove. Superate quelle iniziali dell'”uno”, del “due”, del “tre”, del “quattro” e del “cinque” (i tuddhri erano lanciati in aria e poi ripresi), seguivano lu “thrabballante”, la “manu china”, lu “lassa e pija”, lu “portarone”, la “furceddhra”, l'”anellu” e un’altra prova finale molto difficile, chiamata “li punti”, che consisteva nel lanciare in aria tutti “li tuddhri”, per poi riprenderli con il dorso della mano. Era molto difficile che il giocatore li mantenesse tutti e cinque sul dorso, per cui qualcuno finiva per terra. I “tuddhri” rimanenti, cioè quelli mantenuti sul dorso, rappresentavano i punti finali da assegnare al giocatore. Colui che arrivava a superare le tante prove e realizzava cinque punti era considerato molto abile e bravo.
Rino Duma
devo cercare qualcuno che mi ricordi le diverse fasi del gioco a Nardò, anche se per molti aspetti mi pare in comune con quanto hai evidenziato. Per esempio c’era “tutti a manu” (la manu china?) e “tutti a nterra”. “Nieddhu” mi pare seguisse al “cinque”. “Purtone” e “furceddha” corrispondono alla tua descrizione. Ricordo che l’avversario, forse per l’ultima prova, doveva “cumandare”, stabilendo quale fosse “papa” e “figghiu”, ovvero quale dovesse essere il primo e l’ultimo dei sassolini da far passare sotto la “furceddha”.
Qualcuno dovrebbe schiarirci le idee e colmare i dubbi. Un fatto è certo: trascorrevamo pomeriggi interi a gareggiare e l’unica preoccupazione era di trovare una soglia adatta su cui sedersi, senza subire i rimproveri della padrona di casa, e di scegliersi sassolini piccoli e con le adeguate esperità che ne impedivano lo scivolamento in alcune fasi del gioco.
Il sassolino, pur se irregolare nella forma, doveva però essere levigato, per consentirne lo scivolamento sul piano di gioco in “purtone” e “furceddha”. Grazie Rino per avercene ricordato, confidando nella bontà dei lettori nel ricostruire tutte le fasi
Ho trovato interessante quanto riportato e ho cercato di restituire qualcosa a mia volta
Complimenti per il bellissimo post, e per il sito in generale., veramente valido. Se può interessare, a Cirò Marina (provincia di Crotone), luogo delle mie origini, il gioco si chiama ‘i putri’, con la ‘t’ retroflessa. Grazie.
Scusate l’insistenza, ma posso attestare, contrariamente a quanto riportato dal Pitrè (forse si tratta anche qui di una svista, come per l’immenso Rohlfs), che il gioco in questione si praticava di sicuro in provincia di Messina, e anche, per inciso, in zone meno ‘sospette’, some la provincia di Piacenza.
Ringrazio per le buone parole ma soprattutto per le informazioni integrative, tra cui spicca “putri”. Se, come credo, la voce, presente anche nel dialetto siciliano (per sincope da “pudditru”), corrisponde, condividendone l’etimo, all’italiano “puledro”, siamo in presenza di uno dei tanti slittamenti metaforici (questa volta per similitudine, perché i sassolini sarebbero come tanti puledri da domare) di questa o di quella voce dialettale (questa volta sarebbe toccato al suo paese d’origine). Se non è così, vuol dire che pure io sono inciampato sul sassolino, ma, tra Rohlfs e Pitrè, sono in buona compagnia …