di Alfredo Romano
A 11 anni non si può decidere cosa fare da grande. Ma entrare in Seminario, quel 30 settembre del 1960, lasciando Collemeto per Nardò, era forse un modo di evadere dal paesino e mettersi in viaggio per strade inesplorate e paesi sconosciuti.
Sono stati cinque anni duri: disciplina severa, un silenzio continuo, riti lunghissimi, lo studio costante. Ero bambino ancora e mi mancava tanto il calore di casa mia, di mamma, papà, i miei fratellini. Avevo fatto il chierichetto naturalmente, come tutti allora, e non nascondo di essere stato affascinato dai riti liturgici con tanto di organo e profumo d’incenso che davano solennità ai gesti, alle parole. Era come liberarsi dalla monotonia del quotidiano e volare alto sui mondi e personaggi delle meraviglie che vivevano nei racconti dei nonni.
Ero il primo di quattro fratelli maschi, mia madre era entusiasta del suo “donare” un figlio alla Chiesa, non altrettanto mio padre che si vedeva privato del suo primogenito.
Quando mamma Lucia, la sera di quel 30 settembre, si premurò, come tutte le sere, di bloccare la porta col chiavistello prima di andare a nanna, scoppiò in un pianto dirotto: in fondo le mancava un figlio, era come partito per una guerra senza soldati. Mio padre, anch’esso addolorato, ne approfittò e decise, benché già notte, di montare sulla Seicento e correre a Nardò per riprendermi. Mia madre capì, lo scongiurò e gli promise che mai più avrebbe pianto per il mio distacco (non era vero, ma era per rabbonirlo).
Il Seminario era un vecchio edificio del ‘600 con tanto di chiostro interno. Fui accolto da un vicerettore che mi consegnò a un prefetto che mi condusse in una grande camerata con 20 letti e altrettanti scaffali per la biancheria e gli effetti personali. Smisi i miei panni “borghesi” e indossai un piccolo clergyman col colletto bianco inamidato. Sul girocollo della giacca, invece, due sigle dorate, “SV”, acronimo di Seminario Vescovile. Ero seminarista.
Presi a scendere per le larghe scale, ma, d’improvviso, mi arrestai nel mezzo d’un gradino, mi girai intorno e, come sorpreso: “Devo stare cinque anni qua dentro?” Ma fu un attimo e corsi, curioso, verso i compagni che giocavano in cortile. A guardarli, sembravano più spensierati di me.
non ho esperienze di Seminario Vescovile, ma ho esperienze di gioventù salesiana, che certo è un’altra cosa. Capisco la preoccupazione dell’allora undicenne Alfredo Romano, nel dover vivere 5 anni là dentro. Ma sicuramente era sotto ottima Guida. Il vescovo Ursi era persona eccezionale e di grande cultura e capacità. Posso dire però di ricordarlo bene, il Vecovo Monsignor Corrado ursi, persona di grande volontà, che avevo più volte incontrato, accompagnando il mio papà. Il 31 dicembre del 1959, io avevo poco più di 14 anni, il vescovo Ursi mi impartiva il sacramento della Cresima. Persona di grande eloquenza e capacità anche oratoria (e si diceva che da piccolo era balbuziente, ma con la volontÀ era riuscito a risolvere il problema…!).
Il lettore non giovanissimo sa che Mons. Ursi dopo un periodo ad Acerenza, fu chiamato alla porpora cardinalizia e fu arcivescovo di Napoli, sede non facile, ma affascinante. Morì a 95 anni nell’agosto 2003, lasciando stimato ricordo.
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[…] Il suo amore di mamma quindi, col tempo, aveva prevalso sul vecchio sogno di “donare” un figlio al Signore. Questa volta ero io che avevo un impellente bisogno di uscire in cerca di un bosco dove andare a nascondermi. Ma non c’era il bosco di querce, solo la strada davanti casa col vento che spazzava le foglie dell’autunno alle cinque del pomeriggio, quando il sole di mia madre volgeva al più bel tramonto di nuvole rosse e la Madonna s’apprestava a infornare il buon pane di grano. Per lei stavolta. Solo per lei. FINE http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2010/06/11/piccoli-seminaristi-crescono-i-parte/ […]