di Armando Polito
Lascio parlare le fonti (le traduzioni dal testo originale, che qui non si riporta per motivi di spazio, sono mie…il lettore è avvertito), limitandomi solo a qualche intervento di collegamento.
Dioscoride Pedanio (medico greco del I secolo d. C.) (De medicinali materia, II, CLXI): “Il bulbo commestibile. Il bulbo commestibile è noto a tutti come cosa che si può mangiare; salutare per lo stomaco, libera l’intestino, è rossastro e viene importato dalla Libia; è amaro, simile alla scilla, più salutare per lo stomaco, favorisce la digestione. Tutti sono aspri, danno calore e eccitano al rapporto sessuale…”.
Non dissimile opinione anche in ambito romano: Publio Ovidio Nasone (I secolo a. C.-I secolo d. C.) (Remedia amoris, 795-800): “Ecco, ti darò anche, per usare ogni dono della medicina, i cibi da evitare e da seguire. Il bulbo della Daunia o quello mandato a te dalle coste della Libia, o venisse pure da Megara1, ti sarà comunque nocivo. Nondimeno è opportuno evitare le afrodisiache ruchette e tutto ciò che prepara i nostri corpi all’amore. Più utile che tu prenda la ruta che aguzza la vista e tutto ciò che nega i nostri corpi all’amore. ”
Dello stesso tenore è la testimonianza di C. Plinio Secondo (I secolo d. C.) che conferma, sia pure parzialmente, la precedente graduatoria di Ovidio (al primo posto il bulbo di Megara1, poi quello africano e infine quello della Daunia), in due passi della Naturalis historia : XIX, 30: ”…sono apprezzati soprattutto quelli (i bulbi) nati in Africa, poi quelli dell’Apulia.”;XX, 105): ” I bulbi di Megara1 stimolano al massimo grado il desiderio amoroso…”.
Concorde pure la testimonianza di Lucio Giunio Moderato Columella (I secolo d. C.) (De re rustica, X, 105-109): ”…e vengano da Megara1 i fecondatori semi di bulbo che eccitano gli uomini e li armano per le fanciulle e quelli che la Numidia raccoglie coperti dalle zolle getule e la ruchetta che viene seminata vicina al fecondatore Priapo per svegliare all’amore i mariti addormentati.”
Ritorniamo al mondo greco con Ateneo di Naucrati (II-III secolo dopo C.) con le sue numerose citazioni che costituiscono ciò che ci resta di autori antichi: (I deipnosofisti, Difilo2): ”I bulbi sono di difficile cottura ma molto nutrienti e salutari per lo stomaco; inoltre sono purgativi e indeboliscono la vista, ma sono eccitanti nei rapporti sessuali. Il proverbio dice: Per niente ti gioverà il bulbo se non hai vigore. In realtà sono afrodisiaci tra loro quelli chiamati regali, che sono superiori agli altri, tra i quali quelli rossastri. Invece quelli bianchi e quelli della Libia sono simili alla scilla; i peggiori tra tutti, però, sono quelli egiziani”)].
Pur tenendo conto della difficoltà di identificare senza ombra di dubbio il bulbus con il lampascione3, non si può non ricordare che due tipi di bulbus compaiono nell’Edictum de pretiis rerum venalium emanato nel 301 d.C. dall’imperatore Diocleziano, che stabiliva il prezzo massimo per vari tipi di merce. E tra le derrate alimentari nella sezione De oleribus et pomis (Ortaggi e frutti) si legge: bulbi Afri siv[e] Fa[b]riani maximi no. viginti denarii duodecim bulbi minores no. quadraginta denarii duodecim bulbi africani ovvero fabriani grandissimi no. venti dodici denari bulbi più piccoli no. quaranta dodici denari)
Come si nota, i bulbi africani (maximi), allora, sul mercato valevano esattamente il doppio rispetto ai minores (da presumere di produzione italica), nonostante un’altra sezione dello stesso editto mostri (dopo che i Romani avevano riempito di strade tutto l’impero) che il prezzo di trasporto per mare era di due denari per miglio/tonnellata, quello per terra di cinquanta denari: oggi è esattamente l’opposto e i nostri lampascioni si sono presi, a distanza di parecchi secoli, la loro brava rivincita su quelli africani: un raro esempio di ribaltamento di una originaria esterofilia alimentare?
Ma non è finita, perché essi sono riusciti a rendere obsoleti perfino vecchi proverbi. Uno di questi sanciva la fine delle abbuffate carnevalesche e l’inizio del digiuno (o quasi) quaresimale:
È scurùtu lu Carniàle
cu ppurpètte e mmaccarrùni;
mò ndi tocca l’acqua e ssale
e qquattru, cinque lampasciùni
È finito il Carnevale
con polpette e maccheroni;
adesso ci tocca l’acqua e sale4
e quattro, cinque lampascioni.
Anche qui i rapporti si sono invertiti: il lampascione, quello pugliese, in passato cibo povero, oggi, con la sua quotazione di mercato, è tutt’altro che simbolo di frugalità e rinunzia, ruolo che, paradossalmente rischiano di assumere le polpette e i maccheroni, che un tempo erano (soprattutto le prime) il cibo delle grandi occasioni.
E non è detto che il significato traslato di stupido diventi in breve volgere di anni obsoleto: come si può continuare a dare quest’appellativo, che indica oggi qualcosa di pregiato, ad un uomo di poco valore?
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1 Megara è il nome di due città, una in Grecia, l’altra in Sicilia; è più verosimile che quella citata da questo autore e da altri sia la seconda, dal momento che Dioscoride Pedanio accenna solo ai bulbi provenienti dalla Libia e non a quelli, per così dire, nazionali di Megara.
2 Naturalista del III secolo a. C.
3 Lampadio compare per la prima volta in un manoscritto del X secolo (che secondo gli studiosi si rifà ad uno, perduto, di almeno tre secoli prima) contenente la traduzione in latino di un pezzo in greco di Oribasio (erborista e medico bizantino del IV secolo d. C.).
4 Simbolo della frugalità di altri tempi quando una cena consisteva in qualche pomodoro affettato in acqua e sale.