Zzippu ti pitàccia: è lei l’inventore della zip?

di Armando Polito

Ci accompagna dalla nascita fino alla morte, salvo casi eccezionali in cui, quando è motivo di disagio, può anche, tramite apposita istanza al Tribunale, essere cambiato. Si tratta del cognome, cioè di quella parte dei dati anagrafici che ognuno eredita normalmente dal padre (qualche volta dalla madre) e che indica l’appartenenza ad una famiglia; libera è, invece, come ognun sa, la scelta del nome, anche se spesso essa è condizionata dai fattori più disparati, da quelli politici (quanti Benito nel ventennio!) a quelli, per così dire, canzonettistici (quante Roberta negli anni ’60, quando Peppino di Capri lanciò l’omonima canzone!).

I Romani avevano il praenomen (corrispondente al nostro nome), il nomen (corrispondente al nostro cognome) e l’agnomen (corrispondente al nostro soprannome); per esempio, Marcus (Marco) Tullius (Tullio) Cicero (Cicerone): Tullius indicava l’appartenenza alla gens (famiglia) Tullia, Cicero (da cicer=cece) si riferiva ad un bitorzolo che, secondo le antiche testimonianze, il famoso oratore aveva sul naso. Il soprannome poteva fare riferimento anche ad un difetto fisico, per così dire, acquisito: è il caso di Caius (Caio) Mutius (Muzio) Scaevola (Scevola), in cui Mutius indicava l’appartenenza alla gens Mutia e Scaevola (da scaevus=sinistro) alludeva alla punizione che inferse alla sua mano destra (la bruciò ponendola su un braciere) per aver fallito l’attentato contro Porsenna.
In alcuni casi, addirittura l’originario soprannome (agnomen) diventava nome di famiglia (cognomen) in aggiunta a quello della gens e il personaggio, se era necessario, assumeva un nuovo soprannome: è il caso, per esempio, di Publius (Publio) Cornelius (Cornelio) Scipio (Scipione) Africanus, in cui Cornelius indicava l’appartenenza alla gens Cornelia, Scipio [che originariamente era il soprannome, da scipio=bastone (onestamente non so con riferimento a quale potenza…)] l’appartenenza alla famiglia e Africanus alludeva alla sua vittoria a Zama (in Numidia, regione dell’Africa settentrionale) contro Annibale; va detto che a questo personaggio venne inoltre affibbiato, come se non bastasse, l’ulteriore denominazione di maior (maggiore) per distinguerlo da Publius Cornelius Scipio Aemilianus Africanus minor (Aemilianus perché in realtà era figlio di Lucio Emilio Paolo, anche se adottato dall’Africano maggiore), che distrusse Cartagine e Numanzia. Per completezza va citato pure Lucius Cornelius Scipio Asiaticus, fratello dell’Africano maggiore e vincitore di Antioco a Magnesia.

Tornando a tempi a noi più vicini, va osservato che, soprattutto nei centri minori, fino a qualche anno fa le famiglie erano conosciute più per la ‘ngiùria (nomignolo, alla lettera ingiuria) che per il cognome; essendosi perso nel tempo il ricordo delle ragioni che avevano spinto qualcuno ad  affibbiare al capofamiglia la ‘ngiùria, non sempre risultava agevole, per chi avesse voluto farlo,  la ricostruzione della sua origine; lo stesso non valeva, invece, per la ‘ngiùria meno, per così dire, storicizzata, quella affibbiata al singolo individuo1.

Talora la fama e il nomignolo varcavano i confini ristretti del proprio paese; non a caso, per esempio, mia madre nei suoi aneddoti metteva in campo Zzippu ti pitàccia, di origine leveranese. Il ragazzino che ero io all’epoca considerava quel nesso quasi uno scioglilingua, qualcosa che non suscitava voglia di approfondire. Non avrei mai immaginato allora che a distanza di più di mezzo secolo avrei scritto queste righe.

So che la parte che sto per affrontare sarà noiosa per qualche salentino, ma io sento il dovere di farmi capire anche da chi salentino non è e su questo sito (e non solo su questo) non ha avuto esitazioni nell’esprimere interesse e amore per la nostra cultura.

Zzippu, che designa un ramoscello secco, è voce che il Rohlfs registra nel suo vocabolario senza fornire, però, alcuna proposta etimologica. Io non escluderei un collegamento (non derivazione!) col romanesco zeppo, a sua volta da zeppa che, secondo alcuni è dal longobardo *zippa=estremità appuntita, secondo altri dal latino cippu(m)=cippo.

Ti corrisponde alla preposizione semplice di. E passiamo a pitàccia, per la quale il discorso sarà più lungo coinvolgendo altri aspetti della nostra cultura che esulano dal nomignolo del nostro personaggio. La pitàccia è la patta dei pantaloni. La voce è dal latino *pitàccia, plurale neutro collettivo di *pitàccium, dal classico pittàcium=pezzo di cuoio, tela o carta, registro dei conti, dal greco pittàkion=pergamena incerata, tavoletta, elenco di soci, striscia di tela usata per impiastri. Pittàci (italianizzato dagli storici in pittagio o pittaggio) era anche in epoca medioevale un nome comune che significava quartiere, con i nessi relativi fèmmina ti pittàci=pettegola, sta ccumbìni ‘nu pittàci =stai facendo confusione, e cce ggh’è ‘stu pittàci?=che cos’è questo chiasso? Filologicamente parlando pitàccia è la sorella di pittàci, entrambi figli del citato *pitàccium; solo che, mentre pittàci ha subito uno slittamento semantico (da registro, elenco di soci a divisione territoriale e amministrativa; ulteriore slittamento per metonimia nei nessi riportati: dall’ambiente agli effetti comportamentali, naturalmente presunti, di chi ci vive), pitàccia, invece, ha conservato il suo significato originario di pezzo di tela. E’ questo il significato che, con slittamento peggiorativo a straccio, ha visto la variante napoletana petàccia/petàccio trovare la sua nobilitazione nella poesia da Sgruttendio a Viviani. Il salentino in questo campo ben poco può opporre a Napoli, ma Zzippu ti pitàccia contribuisce nel suo piccolo a colmare, almeno in parte il divario, ergendosi quasi a simbolo concorrenziale di quella fantasia ed inventiva che nella città partenopea, piaccia o non piaccia, hanno il loro santuario: il  personaggio sarà stato pure un contadino ma, come dice il noto proverbio, anche un cervello fino, perché, laddove altri rimasero con le brache a terra, lui, invece, ingegnosamente ovviò all’inconveniente facendo passare uno zzippu tra le asole della patta rimasta senza bottoni. Un’occasione persa dalla paretimologia (falsa etimologia, etimologia popolare, senza alcun fondamento o riscontro scientifico) per affermare che la zip trae il nome da (Z)zip(pu ti pitàccia). E a me non resta, a questo punto, che sciogliere negativamente, pur controvoglia, la domanda frizziana (che cosa non deve fare uno per suscitare attenzione!)  contenuta nella seconda parte del titolo.

Centro storico di Nardò (ph Fabio Fiorito)

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1 In passato anche l’intera popolazione di un centro abitato aveva il suo bravo nomignolo affibbiatole, naturalmente, dagli abitanti dei centri vicini. Sull’argomento fondamentali sono i quattro fascicoli del Babbarabbà, lo speciale del Quotidiano, usciti nel dicembre 1990 e riediti in volume nell’agosto 1991: vi sono riportati i nomignoli degli abitanti dei paesi delle provincie di Brindisi, Lecce e Taranto corredati di interessantissime osservazioni sulla loro origine. Solo per quattro paesi su 145 manca il nomignolo degli abitanti e per i rimanenti 141 i nomignoli spesso sono più di uno.

Tra quei quattro paesi c’è Nardò: sento ciò non come motivo di orgoglio per una poco probabile superiorità morale o per un malinteso senso del prestigio, al contrario, come testimonianza di una sorta di vuoto culturale rimasto, stranamente, incolmato, di un’identità collettiva quasi amorfa e, quel che è peggio, senz’anima.

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