di Giuseppe Resta
L’amico Francesco Potenza ha avuto la gentilezza di farmi leggere in anteprima la sua ultima fatica da storico:
“Il convento dei domenicani e la chiesa di san Sebastiano a Galatone (1805-1876)”, edita nel 2010 da Congedo a Galatina, non ancora ufficialmente presentata.
Il dott. Francesco Potenza è un autentico storico d’archivio, uno che i documenti sa trovarli, leggerli, interpretarli. E l’archivio storico del Comune di Galatone, che egli stesso ha sistemato, è una fonte di sorprese.
Il Potenza ha il metodo della ricerca che si apprende non “ ab intuitu personae”, ma nelle università, con disciplina, con basi salde e ben fondate. Lo “storico” deve essere allevato, non si improvvisa. Non basta mettere in giro rabberciate notizie in ordine sparso per fare “storia”. Si vede, eccome, la differenza tra il topo di archivio – confuso, slegato, impreciso, inconcludente e, spesso, ahimè, sconcludente nonché supponente – e quello che è avvezzo alla ricerca, che ha maturato padronanza metodologica, rigore documentario e attinenza ai dati repertati ed alla loro stesura e conseguenza logica.
Quello che in questa particolare fatica, però, viene fuori con nitidezza è che Francesco Potenza, mai come questa volta, i documenti sa anche divulgarli e contestualizzarli con piacevole maestria.
Il libro è diviso in tre parti. La prima ci narra, anche se con rigorosa attinenza storico-documentaristica, delle peripezie affrontate dal Municipio di Galatone per riuscire ad entrare in possesso del convento dei Domenicani, attuale sede degli uffici comunali.
Un ritratto che ci restituisce quale fosse lo spirito, la socialità e l’economia di Galatone tra il periodo Napoleonico, la seguente restaurazione borbonica e la finale unità dell’ Italia sabauda.
La seconda entra nello specifico della storia della chiesa di S. Sebastiano incentrata sempre in quel periodo, finalmente svelando che la proprietà legale di quell’importante monumento è del Comune e non di altri.
La terza è una raccolta documentaria interessantissima, specie nell’epistolario tra il sindaco di Galatone e l’onorevole gallipolino Bonaventura Mazzarella, referente locale a Roma. Brani che spesso Francesco Potenza non espone per intero durante l’excursus per non appesantire la lettura, ma mette in nota per stralci e, nella appendice, estende per intero.
Una sapiente alternanza tra successione documentarie e sintetici approfondimenti storici nazionali, molto incentrati sulle situazioni contingenti del nostro meridione salentino, permette a chiunque di calarsi in un’epoca solitamente poco o male (fin’ora) indagata e/o diffusa a livello locale.
La scelta dei brevi riassunti storici atti alla contestualizzazione ha il pregio di mettere il lettore, anche quello estraneo alle dinamiche storiche locali, a proprio agio, favorendone la comprensione degli eventi e della situazione politico-burocratica di contorno.
Tutto diventa, anche se nel più rigoroso metodo storico, facilmente leggibile, quasi come un romanzo. In alcuni tratti il dipanarsi del brogliaccio dei documenti mi è sembrato assimilabile ai grandi romanzi “per documenti”, a “dossier”, di Andrea Camilleri, come gli spassosissimi “la scomparsa di Patò” o “La concessione del telefono”.
Immergersi in errori, omissioni, battibecchi e pastoie burocratiche dui un paio di secoli fa non ci farà sentire estranei: allora come ora, politica e burocrazia, sono state disseminate sempre dagli stessi trabocchetti, dalle stesse trappole, dalla stessa incompetenza e lungaggine.
Francesco Potenza in questa rigorosa opera si dimostra storico maturo, sia per la caparbia e puntuale ricerca (quella era già nei suoi canoni culturali e metodologici e ne aveva già data compiuta prova), ma, soprattutto, lo scopriamo apprezzabile divulgatore riuscendo a costruire nella sequenza, nell’intreccio, nella lettura della varia umanità e nella pregevole contestualizzazione intrigante trama narrativa che predispone e favorisce la lettura.
Libro da storico “puro”, tutto basato su documenti inoppugnabili, ma così bene svolto che mi sentirei di consigliare a tutti. Specie a quei burocrati o amministratori che ogni giorno di più scopro che governano senza conoscere i dati, la storia, l’origine delle cose. Guidano – per usare una metafora – senza avere né la patente né la cognizione del funzionamento dei comandi della autovettura, quindi pericolosamente.
Chi lo leggerà potrà, forse, capire finalmente perché è assurdo parlare di una più volte ventilata stonacatura della facciata del complesso monumentale che prospetta la piazza Crocifisso: la maggior parte di quella facciata è della fine dell’ottocento, si deve all’ing. Quintino Tarantino (omonimo neretino del più famoso regista “pulp” statunitense) e non può e non deve, se vogliamo mantenere un rigore storico, filologico e formale, essere uniformata con il resto del convento cinquecentesco, o di quello che di quel convento ci è pervenuto rimaneggiato e modificato alla bisogna.
Ora il dott. Francesco Potenza lo dimostra con sfarzosa documentazione alla mano. Anche chi non conosce potrà conoscere.
La riproduzione della pianta del Tarantino, allegata con altre belle foto all’interno e riportata anche nel retrocopertina, è un documento di insuperabile valore, necessario per la comprensione delle trasformazioni che il convento ha sopportato per diventare caserma e sede comunale. Solo la riproposizione divulgativa di quella pianta può, senz’altro, da sola valere il prezzo del libro.
Se non si conosce da dove si viene non si potrà capire mai dove andare. Teniamolo chiaro in mente. Tutto il resto è vanità.