di Antonio Bruno
Mio nonno Pietro detto “Petruzzu” li adorava. Li potete raccogliere dopo l’aratura del terreno e sono il frutto di 4 o 5 anni vita di questa pianta che ha il nome Muscari comosum. Ha dell’avventuroso andare alla ricerca del “Pampasciune”, una attività di scavo, di portare fuori dalle rosse terre del Salento leccese un bulbo amaro che viene lasciato nell’acqua per essere poi mangiato. La raccolta del selvatico è praticata ancora oggi diffusamente nel Salento leccese.
Lu Pampasciune detto anche Lampasciune è una pianta erbacea perenne di modeste proporzioni, fornita di un bulbo (organo sotterraneo come quello dei tulipani) formato da scaglie o tuniche carnose, compatte, di colore rosaceo.
Tutte le parti di questa pianta (bulbo, fusto, foglie e fiori) contengono un succo mucillaginoso di sapore amaro un po’ acre.
Nel mondo classico ai bulbi , veniva attribuito un alto potere afrodisiaco, e numerose sono le testimonianze in tal senso. d.C.) dedicò ai bulbi queste parole. “qualora tua moglie sia vecchia, qualora il tuo membro sia morto, niente altro che i bulbi potranno soddisfarti… Chi sa apparire uomo nelle battaglie di Venere, mangi i bulbi e sarà molto forte”.
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Un linguaggio d’altri tempi, una parola che indica una cipolla selvatica che cresce spontanea nei terreni incolti del Salento leccese, il sapore è amarognolo. Mio nonno Pietro detto “Petruzzu” li adorava. La nonna glieli faceva in tutti i modi possibili ma lui li preferiva fritti.
In quella casa del centro storico a corte dove ho passato la mia infanzia dai nonni, dalle cucine delle famiglie che si affacciavano in quello spazio interno provenivano profumi di ogni tipo e tra questi quello del “pampasciuni”.
Così li chiamavano tutti ai tempi della mia infanzia nel mio paesello San Cesario di Lecce, in quella “Curte” alle spalle della farmacia che appartiene a un luogo dal nome inquietante “a rretu allu ‘nfiernu” ovvero indietro verso l’inferno. Per la verità anche se quella stretta viuzza è ancora li a fare bella mostra di se, di infernale in quel posto non c’era proprio nulla visto che ci ho passato quasi tutta per intero la mia infanzia, accudito, coccolato e amato da due splendidi nonni di nome Pietro e Domenica, a cui va il mio ricordo e il mio affetto. In questo momento che mi sono venuti in mente grazie al piatto che preferiva mio nonno e in fondo a questo articolo forse le notizie contenute mia hanno fatto capire quale fosse la ragione per cui il mio simpatico vegliardo ne faceva abbondante uso.
Li potete raccogliere dopo l’aratura del terreno e sono il frutto di 4 o 5 anni vita di questa pianta che ha il nome Muscari comosum (L.) Mill., 1768. E’ una pianta erbacea della famiglia delle Liliaceae o Hyacinthaceae secondo la classificazione APG (The Angiosperm Phylogeny Group. An update of the Angiosperm Phylogeny Group classification for the orders and families of flowering plants: APG II . Botanical Journal of the Linnean Society 2003; 141: 399–436.).
I “pampasciuni” crescono a 10 – 15 centimetri circa nel sottosuolo, si presentano simili a piccole cipolle dal sapore amarognolo e sono ricchi di sali minerali.
C’è anche una tradizione che vede persone in giro per campi, che scavano in corrispondenza dell’infiorescenza della pianta, per cercarli. Non so se vi è capitato di vederli, in genere è in febbraio, prendono la zappetta e cercano i “Pampasciuni” .
Il cercatore di “pampasciuni” sa perfettamente che è meglio zappare dopo una pioggia in maniera da trovare il terreno morbido. Eccolo che vaga nei campi incolti alla ricerca di quella pianta; se la vede ecco che vibra una bel colpo di zappa, stando attento ad individuare la giusta profondità.
Se lo stelo che si collega al bulbo si rompe diventa difficile individuare il bulbo prezioso e gustoso di cui siamo alla ricerca e con ogni probabilità dovremo attendere l’anno successivo, quando verrà fuori l’altra pianta dal bulbo per poterlo raccogliere. Ha dell’avventuroso andare alla ricerca del “pampasciune”, una attività di scavo, di portare fuori dalle rosse terre del Salento leccese una bulbo amaro che viene lasciato nell’acqua per essere poi mangiato. La raccolta del selvatico è praticata ancora oggi diffusamente nel Salento leccese.
Le piante e l’uomo, un rapporto che affonda nel tempo, come quando è stata scoperta nel 1960 una tomba di un uomo di Neanderthal vissuto 6.00 anni fa e sepolto con otto specie di piante, sette delle quali sono ancora usate oggi a fini curativi.
Lu pampasciune detto anche lampasciune è una pianta erbacea perenne di modeste proporzioni, fornita di un Bulbo (Organo sotterraneo come quello dei tulipani) formato da scaglie o tuniche carnose, compatte, di colore rosaceo. Lu pampasciune ha foglie basali, lineari, acuminate, concave, grassette, di colore verde, verde-pallido, tendenti ad afflosciarsi; ha piccoli fiori poco appariscenti, poco profumati, raccolti in denso racemo dalla forma tubolosa-campanulata con apicali sterili di colore azzurro-violaceo.
Cresce spontaneamente alle pendici dei monti e sporadicamente un po’ dappertutto. E’ difficile quantificare quante specie di muscari esistano al mondo, si suppone ve ne siano circa 50 con caratteristiche ben diverse. E’ un bulbo molto apprezzato per i suoi fiori primaverili, essendo una pianta che si adatta a qualsiasi terreno e clima. In Italia ne sono state catalogate 7 specie, e facile incontrarli tra marzo e giugno ai bordi di prati e dei terreni incolti.
I più pregiati come bulbi floreali sono il Muscari Armeniacum, soprattutto negli USA, mentre il Muscari Blue River è tipico dell’ Olanda.
Di muscari commestibili più conosciuti in commercio ne esistono tre specie. La più pregiata è la Muscari Recemosum, la si distingue dalle altre dal suo deciso sapore amarognolo. Le altre due specie, la Muscari Comosum e la Muscari Romanus sono, seppur buone, poco sapidi e più indicate ad essere conservate sott’aceto.
Inutile dirvi che ai fini medicinali e preferibile usare la Recemosum perché più ricca di costituenti amari utili per attivare le funzioni gastriche e la secrezione biliare.
L’autore Antonio Narciso riporta un vago studio eseguito nel lontano 1888 dal dott. Antonio Curci, in cui si può leggere:
“Il Muscari comosum o Hyacinthus comosus è una gigliacea a bulbo tunicato, con fiori violetti ed anche blu. E’ una pianta molto comune nei campi ed in tutti i luoghi dove il terreno è coltivato o per altra ragione smosso, sicché rinunciamo a descriverla. Tutte le parti di questa pianta (Bulbo, fusto, foglie e fiori) contengono un succo mucillaginoso di sapore amaro un po’ acre. Non pertanto nelle Puglie i bulbi sotto il nome di lampascioni sono molto ricercati ed usati come alimento gradito. La bollitura toglie quasi tutto l’amaro e li rende molto digeribili…”.
La ricerca del Dott. Antonio Curci nell’anno anno 1888 prosegue menzionando uno dei componenti della pianta, una saponina chiamata per l’occasione acido comosico che in misura molto concentrata viene somministrata per endovena su animali cavia con il risultato finale del decesso di quest’ultimi.
La ricerca conclude con questo messaggio.
“Terapeudicamente mi pare che la decozione del muscari comosum sia adatta ad essere usata come espettorante nei catarri di petto, come si suol fare coll’ipecacuana, la poligola, la squillaja, ecc.. Io mi sono proposto di farne uso in pratica.”
Lu Pampasciune può essere coltivato può essere seminato in primavera. Una buona percentuale del seme germina in genere entro 2 – 3 mesi. E’ buona accortezza seminare il seme sottilmente, in modo che le piante possono essere lasciate indisturbate per il loro primo anno di crescita. Si può intervenire occasionalmente con concime durante la crescita per assicurarsi che non diventano carenti di nutrienti. Le piante diventano dormienti in tarda estate. Farle crescere per tre anni prima di arare per raccogliere i bulbi.
Lu “Pampasciune” non è sempreverde; durante primavera assume una colorazione viola ; gli esemplari adulti sono di taglia piccola e raggiungono i 25 cm di altezza. La pianta necessita di almeno alcune ore al giorno di irradiamento solare.
Nel mondo classico ai bulbi , veniva attribuito un alto potere afrodisiaco, e numerose sono le testimonianze in tal senso.
Marziale (I sec. d.C.) dedicò ai bulbi queste parole. “qualora tua moglie sia vecchia, qualora il tuo membro sia morto, niente altro che i bulbi potranno soddisfarti… Chi sa apparire uomo nelle battaglie di Venere, mangi i bulbi e sarà molto forte”.
Ateneo (II – III sec. d.C.) diceva: “aragoste, bulbi, lumache… se qualcuno amando un’etera trovasse altri farmaci più utili di questi…”.
La fama afrodisiaca dei bulbi era molto diffusa non solo nell’opinione popolare, ma anche presso i medici sia Greci che Latini.
Presenti nel ricettario di Apicio in ben quattro preparazioni, dovevano essere un alimento di facile reperibilità.
Dal Medioevo fino alla meccanizzazione dell’agricoltura, il lampascione ha rappresentato un alimento povero spontaneo, consumato in notevoli quantità durante il periodo delle arature e delle semine autunnali.
C’è sempre un effetto collaterale indesiderato in ogni cosa. In questo caso a coloro che mangiano questo bulbo è riservata un’intensa attività, come dire, di chi si dà delle arie! Solo che l’aria di cui scrivo è rumorosa e comporta un attivo meteorismo dopo l’assunzione di questo alimento. Quindi se ne facciamo un lauto pasto prima di un incontro con una gentile signora nella speranza che lo stesso sia allietato da abbracci amabili, teniamo conto che potrebbe configurarsi un imbarazzante e rumorosa disfatta meteorica che potrebbe decretare l’insuccesso dell’incontro.
Bibliografia
Rocco Boccadamo, I LAMPASCIUNI DI S. GIUSEPPE, in “Spigolature Salentine”
Giuseppe Nacci, Lampascione
Antonio Narciso, Dolce Semidolce Amaro
Antonio Curci, anno 1888 Ricerca http://www.lampascione.it/index.htm
Ken Fern, Notes from observations, tasting etc at Plants For A Future and on field trips.
F. Chittendon. RHS Dictionary of Plants plus Supplement. 1956 Oxford University Press 1951
Comprehensive listing of species and how to grow them. Somewhat outdated, it has been replaces in 1992 by a new dictionary (see [200]).
Chiej. R. Encyclopaedia of Medicinal Plants. MacDonald 1984
Covers plants growing in Europe. Also gives other interesting information on the plants. Good photographs.
Clapham, Tootin and Warburg. Flora of the British Isles. Cambridge University Press 1962
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Huxley. A. The New RHS Dictionary of Gardening. 1992. MacMillan Press 1992
Genders. R. Scented Flora of the World. Robert Hale. London. 1994
Purtroppo, credo sia conoscenza comune che molti dei lampasciuni offerti in vendita nel nostro Salento sono di importaziona (1) dal Marocco e credo anche dalla Tunisia…. (costano meno, ovviamente, e non sono… “salentini”)
Salentini che mi leggete, guardatevene!!!
il link http://www.lampascione.it/index.htm è errato.
Il link corretto è il seguente: http://www.lampascione.it