di Pier Paolo Tarsi
È tanto piccolo questo Salento, eppure è troppo vasto. Sembra strano a dirlo, ma è così. Ci sono giorni che, per caso, si incontrano i tanti fili di una ragnatela che senza alcun senso si tesse col vivere. Quanti paradossi si creano o si sciolgono ai nodi, là, dove i sentieri si intersecano. Alcune strade si sono intrecciate pure oggi. E nessuna di queste ha una direzione precisa presa a sé.
Mi sono alzato tardi, ho l’amaro in bocca e nell’anima. È uno strano periodo questo. Sarà pure primavera, si, ma il mio è stato un risveglio nel più cupo autunno. Sarà che ho alzato un po’ il gomito ieri sera, sarà che c’è troppo disordine in casa, in me, intorno. È terminato ieri il corso di formazione che mi ha impedito qualunque altra attività per due mesi e più. Dovrei ordinare e pulire casa, pertanto decido di uscire. È da un po’ che non vedo Nino, il mio amico poeta. Non ho voglia di vedere nessuno in realtà e dunque lo chiamo, gli dico che passo a prenderlo per fare due passi: sembra strano detto così, eppure è così. Prima di arrivare da lui mi fermo a prendere un caffè e mi passano accanto uomini e donne su biciclette adornate di bandierine gialle con stampata una sigla: FIAB. So cos’è questa FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta), tre, quattro, forse cinque anni fa, in qualche modo venni in contatto attraverso la rete con “I Cicloamici”, il gruppo FIAB che se ne va pedalando per il Salento qua e là. Ricordo che scrivendo nel loro gruppo proposi persino di organizzare un itinerario per loro nei pressi di Torre Lapillo. A qualcuno però piacque per davvero l’idea e così pensai bene di non scrivere più in quel gruppo pedalante. “I CICLOAMICIIII???” grido a uno di loro mentre scendo dalla mia auto per andare al bar, questi rallenta, sorridente, “SIIIIII!” mi urla dapprima, e poi, avvicinandosi e frenando, aggiunge fiero e orgoglioso “Hai visto? Anche con questo tempo incerto siamo usciti!”. Mi piace assai questo tipo, vivo come non mi sento oggi io, frizzante come non so essere oggi io. Ci presentiamo, ma non ricordo il suo nome, forse si chiama Giulio.
Gli chiedo dove vanno e mi risponde che pedalano verso Leverano per visitare qualcosa, ma non capisco cosa.
Ci salutiamo e il forse-Giulio riparte con una bella ed energica pedalata. Io invece pigramente mi rimetto in auto, vado a prendere Nino, senza neanche prendere più il caffè, mi tengo l’amaro in bocca, nel cuore, dappertutto.
Quando Nino monta in auto, senza neanche veramente volerlo, guido verso Leverano, sono solo tre/quattro chilometri da noi. L’amico poeta mi fa notare che sono tre mesi che non ci vediamo, da quando l’avevo accompagnato ad acquistare una macchina fotografica digitale che non ha mai neanche acceso. Aspettava me perché gli mostrassi come si fa. Gli avevo promesso che lo avrei fatto e poi lo avevo un po’ dimenticato. L’ha portata dietro con sé. Scendiamo dall’auto.
A Leverano è tutto un tripudio di fiori che colorano le vie del centro storico, le cantine delle case, le chiesette, gli angoli delle corti. Ecco dove andavano difilati i Cicloamici, alla “festa dei fiori”. La festa ci viene incontro, proprio come l’occasione giusta per imparare ad usare una digitale. Qualche volta i paradossi si sciolgono. Allora è tutto un fotografare, un affacciarsi nelle chiese mai visitate, negli anfratti mai visti. Quante volte sarò venuto qui? Cento? Mille? Diecimila? Eppure non ho mai incontrato questo paesino. È tanto piccolo questo Salento, deve essere piccolo se, uscendo da casa, incontri i Cicloamici che avevi conosciuto in rete, e tuttavia deve essere immenso se a soli tre chilometri da casa c’è tanta bellezza che ti è sempre sfuggita. Un paradosso emerge, e poi un altro si scioglie. Viaggiare forse non ha niente a che vedere con il movimento, è semplicemente stare, saper stare fermo, per prendere quanto ti viene incontro. Ecco, sembra strano a dirsi, eppure deve essere così.
Prendiamo finalmente il caffè. Paga Nino, ci tiene veramente a pagare lui, gli fa piacere e lo lascio fare, così ogni volta. Faccio un po’ di foto pure ai Cicloamici, qualcuno di loro mi guarda un po’ sospettoso. Fa nulla, vallo a spiegare che sono un quasi-cicloamico senza nessuna voglia di mettermi su una bicicletta per andare a Torre Lapillo o chissà dove. “Come hai detto? I ciclamini??” mi chiede Nino. Beh, comprensibile che abbia capito male quanto da me farfugliato, contornati come siamo da miliardi di fiori. “Cicloamici Nino, cicloa-m-i-c-i!” scandisco stavolta. Intanto continuo a fotografare artistiche composizioni floreali sparse per il centro storico, i fiori attorcigliati sui lampioni, negli angoli, nei cortili delle vecchie abitazioni, sulle scalinate, ed anche Nino prova a fotografare: “Non devi infilare l’occhio nello schermo, non è un obiettivo Nino!” Si deve liberare dell’automatismo del maneggiare una qualunque vecchia macchina fotografica che lo porta a ficcarsi col naso sulla digitale. Credo che presto ce la farà. Intanto s’è fatta ora, ce ne andiamo. Ci salutiamo, promettendoci di vederci molto presto.
L’amaro in bocca è ancora intenso, non ho fame, ma voglio andare a mangiare lo stesso. Sembra strano a dirlo, ma è così.
Ed è altrettanto strano continuare a ripetermi che non sono affatto innamorato di lei, perché l’avrei voluta accanto a me, sempre, da quando l’ho lasciata, ieri sera, e l’avrei voluta accanto a me prima, tra tutti quei fiori, ed ora, mentre scrivo, oggi, il giorno dopo la fine di un corso nel quale l’ho conosciuta, il giorno in cui mi accorgo che un altro sentiero della ragnatela è appena terminato. Sembra strano a dirlo, ma è così?
Quanto ti invidio, Paolo, questa tua semplicità di scrittura narrativa! E’ una vera pagina di diario, scritta con la bellezza di un’interiorità giovanile che in me, purtroppo è stata risucchiata dal tempo e dagli eventi che lo stesso ha impresso nei mie percorsi interiori e non.
A volte il mio mettermi a scrivere è come se venisse soverchiato da un’ansia di prestazione, quasi una deformazione professionale generata da certi periodi negativi, protagonisti della rottura con la penna.
Tu ti metti a scrivere come se stessi a prenderti un caffè, e si avvera allora quella genuinità comunicativa che staccandosi dall’orribile parola “letteratura”, automaticamente diviene letteratura.
Slancio, spontaneità, entusiasmo: realtà della giovinezza.
Leggerti è come vederti: sempre una boccata d’ossigeno.
Però mi era sembrato che ieri, tornando da Leverano, fossi più disteso, sembrava avessi riacquistato una certa fiducia, non so in che… ma c’era in te una luce spirituale diversa, come di rinascita, una luce che io avevo attribuito al contatto rassicurante con i fiori, testimoni di quanta prorompente bellezza c’è in noi, natura magico-primordiale come quella, appunto, appartenente o che viene dalla terra e dall’infinito.
Ditemi voi, lettori, come si fa a non voler bene a uno così?
Le tue parole fanno fiorire i miei pensieri!
La primavera è la più bella stagione: pervade i sensi, stuzzica l’olfatto e fa vivere l’estate al nostro cuore!
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Straordinari i ragazzi di Cicloamici, a gennaio come da calendario con qualsiasi tempo si recano a Novoli per assistere alla costruzione della Fòcara in devozione a San’Antonio Abate del fuoco.
Ersilio Teifreto http://www.torinovoli.it