Un buon vino? Si cominci dalla cantina!

di Antonio Bruno*

Una delle raccomandazioni che i colleghi Dottori Agronomi del 1939, e tra questi il collega Palmieri, era quella di avere la massima cura nell’osservare nella cantina la più scrupolosa pulizia. Naturalmente il citato collega sottolineava che per ottenere questo risultato c’era la necessità per il viticoltore di fare delle piccole spese affinché la pulizia fosse garantita.

Il Palmieri riferisce che in certe cantine gli capitava di vedere oltre alle botti che contengono il vino e agli attrezzi enologici, diversi altri recipienti. Inoltre nei locali destinati alla cantina gli era capitato di vedere depositi di altra natura, tanto da trasformare la cantina in una vera e propria dispensa. In una delle sue visite in una di queste cantine del Salento leccese il collega Palmieri aveva potuto vedervi custodito ogni ben di Dio, l’olio, lo strutto, il salame, il formaggio, l’aceto e persino il petrolio, il concime ed anche il solfato di rame.

Come tutti possiamo immaginare questo tipo di comportamento costituiva allora e costituisce ancora oggi, laddove qualcuno lo praticasse, un gravissimo errore perchè il vino è un alimento liquido che con molta facilità contrae cattivi odori; ed è necessario perciò tenerlo, quanto più è possibile, lontano dalle sostanze che possano inquinarlo.

Ma la sostanza più pericolosa è l’aceto, che se tenuto in cantina, passerà lo spunto al vino proprio perchè gli acetobacter, ovvero i batteri responsabili dell’ossidazione dell’alcol in acido acetico, contenuto nell’aceto vengono disseminati nelle cantine da certi moscerini, che vengono appunto detti moscerini dell’aceto, che tutti conosciamo.

Nel 1939 era frequente vedere delle muffe che nelle cantine umide ricoprivano le pareti, le volte, il pavimento e anche le botti, diffondendo nell’ambiente quell’odore cosiddetto di muffa che è a tutti noto.

Per fare in modo di distruggere le muffe nelle cantine umide c’era allora un rimedio energico ed alla portata di tutti rappresentato dal fumo di zolfo. Ma c’era anche un altro mezzo efficace per impedire lo sviluppo di muffe nelle cantine che consiste nel fare una miscela formata da cento litri di latte di calce e cinque chili di solfato di rame e con questa imbiancare le pareti.

Naturalmente la soluzione più efficiente sarebbe quella di prendere tutte le misure necessarie per impedire di avere l’umidità nelle cantine rimuovendo direttamente le cause che la determinano.

Se dovessimo constatare, come nel 1935, che i vini dell’anno precedente seppure di gusto eccellente, di corpo robusto, di colore intenso e di sanità soddisfacente avessero una leggera tendenza ad imbrunire il colore e a formare anche un deposito quando venivano a contatto con l’aria cosa potremmo fare?

Intanto il collega Palmieri affermava che i vini andavano aiutati e sostenuti per poterli conservare fino alle vendite. Il consiglio principale per conservare il vino è quello di effettuare i travasi e le colmature. Un primo travaso è da eseguire nel dicembre e un secondo va eseguito a marzo. Questo travaso di marzo sarà tanto più urgente se il vino è ancora sulle fecce, che costituiscono il deposito più pericoloso essendo costituito in prevalenza da fermenti di facile decomposizione.

L’altro suggerimento del collega Palmieri era relativo a un saggio del comportamento del vino all’aria da farsi prima del travaso, questo saggio si fa prendendo il vino e mettendone due dita in un bicchiere e osservando per tre quattro giorni cosa accade nei vari tratti.

Constato che si abbia, che il vino non resiste al colore suo proprio ecco che il collega Palmieri suggerisce il rimedio facendo modesto uso dei composti solforosi ed esattamente metabisolfito di potassio in quantità di grammi 8 – 10 per ogni ettolitro di vino o solfito di calcio in quantità di grammi 15 per ogni ettolitro. Inoltre il collega Palmieri suggeriva di aggiungere simultaneamente 40 – 50 grammi per ettolitro di vino, di acido citrico che, oltre a ravvivare la tinta del vino, ne migliora il gusto.

Durante i travasi si deve evitare di sbattere inutilmente il vino all’aria e soprattutto che i vini siano poi travasati in botti ben pulite e solforate in maniera forte o leggera a seconda del bisogno.

La perfetta conservazione del vino dopo il travaso saranno assicurate dalle colmatuire ripetute una volta a settimana.

In questa situazione è interessante vedere cosa si diceva in una trasmissione radiofonica per gli agricoltori del 26 maggio 1935 riportata in un numero de “L’Agricoltura Salentina” su quello che oggi è invece uno dei capisaldi della viticoltura del Salento leccese ovvero l’imbottigliamento.

In quella trasmissione alla radio si sosteneva che i piccoli produttori, i proprietari di vigneti ed anche i modesti cantinieri, avevano un po’ tutti la mania dell’invecchiamento dei vini, e molto spesso si riscontrava che tali soggetti erano certi che qualunque vino si presti ad essere invecchiato. In quella trasmissione si affermava che era un bene per tutti che di sapesse che “l’onore della bottiglia” spetta solo a quei vini che hanno origine da uve di pregio che sono capaci di sviluppare particolari caratteri per effetto dell’invecchiamento.

Nella trasmissione si affermava che un vino da destinarsi alla bottiglia deve essere oggetto di cure particolari che devono attuarsi sin dalla vendemmia.

In primo luogo le uve devono essere raccolte quando raggiungono la perfetta maturazione, devono essere rigorosamente scelte, inoltre l’ammostatura deve farsi con il diraspamento; l’accortezza è da porsi nell’effettuare moderate aggiunte di metabisolfito, poi il torchiato non deve essere mescolato al mosto fiore, i travasi devono essere eseguiti sempre tempestivamente e non si debbono trascurare mai le colmature.

Il vino, sin dal primo momento, deve essere conservato in fusti di legno non troppo grandi e mai in recipienti di cemento armato.

Sempre in questa trasmissione radiofonica del 26 maggio 1935 si avvisa dell’errore che si fa in maniera frequente di imbottigliare i vini troppo presto e ciò comporta la presenza delle fecce in cui si trovano i microrganismi che sono la causa di gravi malattie del vino tra cui l’aceto, il girato e l’amaro.

Ecco che è del tutto evidente che per conservare il vino è necessario che questi microrganismi siano presenti in minima quantità e tale risultato è facilmente ottenibile se si ha la pazienza di attendere che il vino lasci la maggior parte di questi microrganismi nelle fecce delle botti.

Quindi il consiglio per ottenere un buon invecchiamento è togliere il vino dalle botti grandi dopo un anno e travasarlo in fusticini più piccoli sempre di legno. Durante l’invecchiamento che può avere la durata di uno come di tre anni, si deve travasare una volta l’anno ed era consigliabile praticare qualche chiarificazione con gelatina o con bianco d’uovo senza dimenticare di effettuare le colmature periodiche.

 

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