di Rocco Boccadamo
Nato nel lontano 1941, i miei primi ricordi risalgono, più o meno, a quando avevo tre anni. All’epoca, nelle famiglie del Salento, era in vigore la tradizione di preparare il corredo per le figlie femmine un po’ alla volta, nel corso di lunghe stagioni di paziente e faticosa tessitura a mano.
Per approvvigionarsi della principale materia prima, vale a dire il filato di cotone, la gente del mio paese ricorreva ad un venditore ambulante, in gergo “cuttunaro”, il quale girava attraverso i vari centri abitati a bordo di un calesse trainato da un cavallo bianco e carico di “ballette” – grossi gomitoli – giustappunto di cotone.
Il bravo commerciante era solito annunciare la sua presenza e richiamare l’attenzione della potenziale clientela suonando una trombetta d’ottone luccicante, con cadenzato, prolungato e accentuato rigonfiamento delle gote, una smorfia facciale che restava in me impressa assai più che il resto della scena.
Allora, i bambini non venivano alla luce nelle cliniche o in ospedale come adesso, ma direttamente nelle case dei genitori, nel lettone: le partorienti si avvalevano solo dell’assistenza della levatrice e dell’aiuto delle altre donne, già mamme, della famiglia.
Così accadde nel 1944 per la nascita di mia sorella.
La mattina successiva a tale lieto evento, la nonna e le zie, con le quali ero rimasto a dormire per l’occasione, mi condussero a salutare mia madre e a conoscere la nuova arrivata.
Fu per me un attimo davvero importante sollevare il lenzuolo sulla piccola culla di legno e scorgere il visetto della neonata: un faccino particolarmente paffuto e rubicondo, al punto da farmi esclamare fra la meravigliata ilarità dei presenti :”Ma questa bimba assomiglia proprio ad una “cuttunara” (accezione dialettale al femminile di venditore di cotone)!”
Evidentemente, l’immagine del venditore con tromba, sul calesse tirato dal cavallo bianco, si stagliava dominante nella mia infantile memoria.