di Giuseppe Resta
“…Intentio vero nostra est manifestare ea quae sunt, sicut sunt…”
L’imponderabile può essere di segno positivo o negativo. Lo sappiamo bene noi “umani” che spesso confidiamo nella “fortuna” per avere successo e felicità nella vita, o imprechiamo la “sfortuna” quando gli avvenimenti non succedono a nostro vantaggio. Ma ci sono casi in cui la “fortuna” pare abbandonare anche le “cose”. Si dovrebbe pensare, se la razionalità non lo inibisse, che sia proprio frutto della sfortuna l’amara sorte del Castello di Fulcignano: possente maniero da prima abbandonato da una popolazione in fuga, poi, nonostante sopravvissuto per almeno 600 anni alle ingiurie del tempo e della natura, – per dirla col Galateo Antonio De Ferrariis “Ne han fatto crollare le costruzioni il tempo e il contadino, che ogni traccia dell’antichità distrugge” – oggi negletto dagli uomini che da anni non sanno, o non vogliono, valorizzare e riportare alla fruibilità ed al giusto interesse, anche turistico oltre che culturale, una così unica, interessante e ancora inesplorata struttura castellare. Decisamente un destino non comune a tanti altri castelli che, anche ridotti a ruderi più scalcinati, riescono ad attrarre turismo e cultura, e a dare identità e connotare positivamente il territorio. Invece sarà anche difficile rintracciare Fulcignano senza una mappa o una guida: mancano le segnalazioni stradali, per non parlare di quelle turistiche, ed anche la viabilità rurale a contorno non è del tutto agevolmente transitabile. Galatone lo ha enucleato dal proprio vivere. E, fino a oggi, è ancora di proprietà privata.
I ruderi del castello di Fulcignano si trovano a sud est del centro urbano di Galatone, in provincia di Lecce, proprio nella periferia urbana della cittadina, verso la fine di Via S. Luca e l’inizio della vicinale Vorelle, a pochi metri dalla sede ferroviaria verso Neviano. In catasto lo rintracciamo al foglio 26, Comune di Galatone, particelle 390-391. Coordinate 40°08’25 N; 18°04’36 E. Il castello si trova in posizione leggermente più rialzata rispetto alla campagna immediatamente circostante, ma un più in basso rispetto all’altura delle Serre Salentine, che lo costeggia sul versante est. Il sito è lambito da un antico corso d’acqua stagionale che scende dalla collina dei Campilatini e si spande nella piccola pianura disperdendosi in alcune vore carsiche poste a nord del castello.
Ciò che è rimasto del castello è quasi solamente la cinta quadrilatera fortificata. Ma anche da questi resti, ancora generalmente ben conservati, chiara emerge la tipologia del castrum romano come mutuata dagli svevi.
Paul Arthur, professore di Archeologia Medievale presso l’Università del Salento, nel 1997 scrive di Fulcignano in una relazione indirizzata al Sindaco Roberto Maglio del Comune di Galatone “La forma planimetrica, e i dettagli architettonici, suggeriscono che l’edificio non sia anteriore all’età sveva, quando una serie di fortificazioni in Italia, note specialmente attraverso i castelli in Sicilia, risentono di influssi architettonici orientali trasmessi dalle Crociate. La forma quasi quadrata, con quattro torri angolari (le due posteriori scomparse: una circolare, l’altra forse circolare in una prima fase e quadrata in una seconda), trova confronti nell’architettura castellare islamica, che sembra aver, a sua volta, mantenuto vivo le tradizioni tardo romane di architettura castrense.”
La forma della cinta muraria è quadrangolare con i lati lunghi circa una cinquantina di metri: il più lungo, quello dell’ingresso a sud-est, misura, torri comprese, poco più di 75 metri ed il più corto, a nord-ovest, 49 metri senza torri. L’altezza delle mura è di circa 8 metri e lo spessore è di circa 2,6. Le torri angolari hanno i lati di misure variabili tra gli 8,40 ed i 7,55 metri. Tutta la cinta insiste su di una zona di 8800 metri quadri, racchiude una superficie di 2930 metri quadri di cui 220 coperti e 2100 scoperti. Da notare come gli spigoli del quadrilatero sono posti approssimativamente secondo i punti cardinali. Dalla facciata nord-est si accede ad un ingresso voltato a botte con forno laterale; il primo vano è costituito da una sala d’ingresso con volta a crociera a sesto acuto e costoloni sporgenti a sezione trilobata che si intersecano al vertice con una rosetta. Sulla destra rispetto all’ingresso si trovano due vani laterali con volta a botte. Proteggono l’ingresso arretrato delle solide torri angolari poste sul lato est ed allo spigolo nord, la torre a est non si distingue dall’esterno perché è inglobata dalla muratura. Le torri accanto all’ingresso sono cilindriche internamente e quadrate esternamente. Un’altra grossa torre quadrangolare è posta all’angolo est. Altre due torri sono poste a sud ed a ovest e sono quasi dirute: una, quella a sud, cilindrica e di manifattura costruttiva più rozza, è ammalorata da crolli, sembrerebbe essere appartenuta ad un nucleo fortificato più antico ed essere stata inglobata in quello attuale; della quarta, quella ad ovest, vi sono rimaste solo tracce murarie, le intersezioni con le mura e il passetto d’entrata con volta a sesto acuto; da quello che vediamo oggi sembrerebbe essere stata con l’interno cilindrico.
La tipologia architettonica, secondo la definizione che è stata introdotta dal prof. Architetto Carlo Perogalli, è assimilabile perfettamente a quella di “castello-recinto”, simile a quella di numerosi esempi di fortificazione medievale che attualmente si presentano con la sola cinta, solitamente rinforzata da torri perimetrali, ed eventualmente una torre maestra.
A Fulcignano il paramento esterno della muratura a sacco è costruito in arenaria locale del tipo “tufo carparino” perfettamente squadrata e allettata con buona precisione. Molti sono gli aggressori vegetali che allignano sulla parte superiore delle mura o ne minano le basi. In alcuni tratti si nota ben evidente lo strato di muratura di fondazione. All’interno, eccettuati i vani dell’ingresso e i due laterali anzidetti, non vi è altra superstite struttura. Si nota solo la muratura a pietre informi ed opera incerta sino all’altezza di circa cinque metri – nella quale sono ricavati dei nicchioni ad arco – che lascia posto per la restante altezza ad una muratura ben rifinita anche all’interno. Si potrebbe ipotizzare che la muratura a opera incerta facesse parte della prima costruzione e quella a conci regolari sia stata frutto di un successivo ampliamento ed irrobustimento. In corrispondenza del cambio di tipologia muraria interna si notano numerose buche pontaie. Ciò fa presumere – la specifica tipologia, come s’è anzidetto, lo autorizza con buona plausibilità – che le strutture interne del castello fossero in legno ed erano addossate alle murature esterne secondo una tipologia medievale consolidata.
Quindi il castello, di tipologia simile ai castelli d’oltremare, è di fogge sveve; è tipico l’arco ogivale, che denota l’ingresso, realizzato con conci di arenaria regolari e perfettamente squadrati. Bisogna dire, però, che la finitura a falde rettilinee che sormonta l’arco ogivale, con una decorazione a foglie, palmette e intrecci viminei, rimanda a stilemi decorativi bizantino–normanni di datazione ascrivibile tra l’ XII e il XIV secolo. E’ certamente questo particolare che fece maturare al De Giorgi la convinzione che la rocca fosse del periodo angioino e che fossero diretti i collegamenti con la tipologia decorativa del Tempio dedicato a S. Caterina d’Alessandria nella vicina Galatina. Ma questa tipologia decorativa in Puglia ha una diffusione temporale molto più ampia. Basterà confrontarla con quella esistente nel portale della Cattedrale di S. Nicola di Bari, o nel portale romanico dei santi Nicolò e Cataldo a Lecce, o nel complesso di S. Benedetto a Brindisi per averne una retrodatazione. Certo è che il fregio decorato è proveniente dallo spoglio di una precedente struttura: gli angoli presentano una evidente soluzione di continuità decorativa e il pezzo della falda a destra è completamente privo si decorazione, proprio come se fosse stato aggiunto per completare un elemento mancante. Questo ci farebbe supporre con buona certezza che comunque il fregio è precedente all’apparato murario che attualmente lo ingloba.
Tra l’arco a sesto acuto ed il decoro cuspidato a falde piane, nel vuoto che si crea, è inserito un concio di leccese molto corroso. Alcuni sostengono riportasse delle insegne nobiliari, sembra ipotizzabile, ma allo stato non è possibile desumere alcunché. Le mura e le torri sono completamente senza aperture di passaggio o di affaccio, se si eccettua una postierla, accanto alla torre in rovina sullo spigolo a sud, e delle feritoie arciere sulle facciate delle torri. La predetta postierla è coronata da un arco svevo a sesto acuto e doppia ogiva, i conci sono in studiata alternanza di pietra leccese e di tufo carparino e creano un motivo bicromatico. Le feritoie arciere sono realizzate con la strombatura interna più accentuata verso il lato di tiro più favorevole. Vi sono anche delle aperture strombate verso il basso, molto ben costruite, per l’allontanamento delle acque e dei liquami poste su vari livelli d’altezza. Altri scarichi di forma semplice si rintracciano sulle murature sud ed ovest. All’esterno, sul lato nord, si nota un residuo del fossato originario. Attualmente l’accesso all’ingresso della cinta muraria avviene proprio tramite un viale ottenuto col riempimento di parte di questo residuo fossato.
Dalla forma dell’arco d’ingresso e dall’assenza di specifiche tracce murarie si ritiene che il castello non doveva avere un ponte levatoio direttamente sull’ingresso. E’ invece ipotizzabile l’esistenza di un corpo avanzato munito di ponte mobile. Il forno posto sul lato sinistro della nicchia d’ingresso farebbe presupporre un adattamento utilitaristico dello spessore murario della torre in epoca recente. Si potrebbe ipotizzare anche un uso pubblico e controllato del forno dietro pagamento di gabella. Però il forno è una struttura ricavata molto posteriormente: se fosse stato usato contemporaneamente all’esistenza della pesante anta del portone non vi si sarebbe potuto accedere ad anta aperta perché questa ne avrebbe chiuso il fornice. Bisogna notare che il secondo arco di scarico ogivale, posto sul muro che porta al primo ambiente con la volta a crociera e costoloni, oggi tamponato di muratura, non sia tanto alto (misura al vertice poco più di due metri e mezzo) e largo. La ridotta dimensione del vano d’accesso rende veramente difficile immaginare un comodo accesso per dei carri stipati di merce essendo già difficoltoso il passaggio di un uomo a cavallo.
Sempre il professore Arthur, nella sopracitata lettera al Sindaco di Galatone afferma come “Senza dubbio il castello rappresenta una delle testimonianze più singolari del Medioevo salentino, per una serie di motivi. La sua forma è localmente inconsueta, ed è probabilmente una delle fortificazioni medievali più antiche sopravvissute nella provincia, e gode di un rimarchevole stato di conservazione, senza cospicui rimaneggiamenti. Inoltre, non essendo stato inglobato dall’attuale centro di Galatone, offre la possibilità di indagine e di un eventuale sistemazione che tenga conto non solo delle sue strutture, ma anche del suo contesto storico-ambientale”.
Ancora Paul Arthur ci ricorda che “è metodologicamente scorretto porre l’attenzione esclusivamente sul castello, senza considerare che era intimamente legato al territorio, alla viabilità e al casale di Fulcignano, attestato sin dal XII secolo, ma probabilmente ancor più antico. Si ricordi che una moneta dell’imperatore Basilio I è stata rinvenuta nell’area, e che molti casali della Puglia meridionale sono di origine bizantina. Perciò, un qualsiasi progetto scientifico di valorizzazione e tutela del castello deve necessariamente prendere in considerazione le testimonianze archeologiche almeno nel territorio immediatamente circostante il monumento.”
Come ogni castello, infatti, anche quello di Fulcignano dominava un borgo abitato: il Casale di Fulcignano, quasi certamente posto ad est della residua struttura castellare, sul lato della porta ma che oggi è completamente scomparso. Le ipotesi sull’origine del Casale si perdono in fantasie mai accertate. Il De Ferrariis attribuiva al casale origini greche. Si vuol fare risalire l’etimo del toponimo al greco fulacà, cosa nascosta, mentre non si valuta abbastanza il latino fulcire, puntellare, ergere su cavalletti; etimologia che potrebbe pure avere buona attinenza con le strutture lignee che costituivano originalmente i piani altri delle fortificazioni. Nei documenti troviamo il sito censito come Furcignano (1192 e 1335); Zurfiniani (fine del 1200) o Furciniani (1426); nel dialetto locale è sempre Furcignanu, null’altro.
Ma anche l’effettiva localizzazione dell’abitato è stata fonte di congetture e supposizioni.
Di sicuro, al di là di ogni altra fantasiosa congettura, era lì, proprio di fronte alla porta del Castello, che si è andato a costituire il nucleo abitato del casale vissuto fino alla metà XV secolo quando fu completamente abbandonato. E comunque bene ricordare come nel Salento non esiste continuità storica e culturale tra i periodi Fenicio–Greco–Romano e la ricolonizzazione bizantina successiva alle così dette Guerre Gotiche. La caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C., portò la penisola Italica ad essere oggetto di saccheggi e distruzioni ad opera delle popolazioni barbare.
Dobbiamo tenere conto che la frequentazione fittile nell’agro di Fulcignano, riscontrata con esami superficiali, si connota di reperti ceramici bizantini e poi normanno svevi, sino a raggiungere la massima estensione con ceramica rinascimentale. Questi reperti fanno ipotizzare che il casale si sia sviluppato proprio a partire dal VII secolo quando vi fu la intromissione di genti bizantine che si installarono su probabili preesistenze romane. I reperti rinvenuti sono solo frutto di raccolta di superficie in quanto una campagna di scavo scientifica ed approfondita non è stata mai intrapresa. Però, a conferma dell’attendibilità delle ipotesi archeologiche provenienti dalla lettura dei reperti, si può segnalare come nell’ellisse di territorio che prospetta il lato est del castello, e che è interessata dai rinvenimenti, siano riscontrabili cisterne e pozzi di capienza e portata decisamente importanti. Saverio Caputi, medico e uomo di cultura, ancora nell’ottocento, rinveniva “cisterne e trozzi profondi, granai e vie sotterranee, rottami e pezzi di antiche mura”.
Conforta l’ipotesi proveniente dall’archeologia di superficie l’osservazione delle tavole aerofotografiche IGM dove si leggono con sufficiente chiarezza due percorsi viari ortogonali che dividono l’ellisse di territorio in oggetto secondo gli assi della stessa. La zona, inoltre, è caratterizzata da un certo consistente rilievo rispetto ai terreni circostanti e la conformazione ellittica del nucleo del probabile insediamento è ribadita dagli stessi attuali percorsi viari.
Sembrerebbe proprio che il castello sia stato localizzato esternamente ad un chorion bizantino. Probabilmente il castello era dapprima posto su di una motta ed, in seguito, si è espanso in epoca sveva per imporre il controllo dell’incrocio dei percorsi costituiti dall’Augusta Traiana Salentina Ionica, che andava da Taranto a Ugento, e del percorso istimico che andava da Roca Vecchia allo scalo di Nardò, il latino “Portus Nauna”, le attuali S. Maria al Bagno e S. Caterina.
Il Fuzio, autorità indiscussa sull’analisi della tipologia e la struttura dei castelli pugliesi, ritiene che Fulcignano facesse parte di una linea difensiva normanna costituita da dodici castelli costruiti ex novo che andavano da Gallipoli a Castro. Di certo, però, il Castello di Fulcignano è stato sicuramente solo un castello feudale, non castello reale né castello demaniale. Non ve n’è infatti traccia nel federiciano “Statutum de reparatione castrorum”, del 1231, che pure censiva le “domus solaciorum”, le case da svago e i casini di caccia, differenziandoli dai Castra e dalle Domus, ossia dalle fortezze militari e dai castelli per la corte e l’amministrazione. (Confronta : E. Sthamer, L’amministrazione dei castelli nel regno di Sicilia sotto Federico II e Carlo I d’Angiò Ed. M. Adda, 1995.)
L’importanza di Fulcignano come centro di passaggio di carovane e di pellegrini è testimoniata dall’epigrafe di uno xenodochio distrutto, rinvenuta a fianco alla chiesa rurale di Fulcignano, che il Vescovo di Nardò Antonio Sanfelice legge nel 1719 durante una visita pastorale. L’epigrafe è in greco ed in latino. In latino recita: “theodorus protopas famulus sanctae dei genitricis hospitium construxit anno 6657”, corrispondente al 1149 del calendario cristiano.
Bisogna ricordare che proprio la parte degli archivi Angioini che riguardano la Terra D’Otranto si sono persi nell’incendio di mano Nazista che distrusse l’Archivio di Napoli conservato a villa Montesano Questo compromette qualsiasi seria ricerca documentale.
Ci dobbiamo, quindi, accontentare di poche notizie. Una prima notizia si ha riguardo a certo milite Maurizio Falcone, signore di Fulcignano nel 1192, certamente imparentato con la Domina Luisa de Falconi de Furcignano, che nel 1208 era badessa in un convento di Lecce. Dopo incontriamo un Aymarus di Guarnierius Alemannus possessore di Zurfiniani. La famiglia d’Alemagna risulta anche in possesso dello scomparso feudo neretino d’Agnano.
In periodo Svevo il feudo, assieme a quello di Galatone e Nardò, passa ai Gentile: nel 1212 a Simone, poi a Bernardo, quindi a Tommaso intorno al 1239. Nel 1266 tocca all’ultimo Gentile, Simone, che viene giustiziato a Nardò nel 1269 e il feudo di Fulcignano passa all’ammiraglio angioino Filippo de Toucy. Con questo feudatario Fulcignano distacca definitivamente le sue sorti feudali da Galatone. Questi nel 1273 scambierà il feudo con Guglielmo Brunello. L’esosità delle pretese fiscali del Brunello farà fuggire gli abitanti di Fulcignano. Il feudatario li rintraccerà e li farà ritornare forzatamente nella sua proprietà. Il feudo si trasmetterà ai successori del Brunello sino alla primi decenni del XIV secolo. Dopo c’è una svariata moltitudine di feudatari. Si rintracciano i de Caniano tra il 1314 ed il 1319, i Capitignano, i Palmieri nel 1348, poi i De Mistretta, fino a Gualtieri di Brienne, conte di Lecce e duca di Atene, nel 1352.
Negli anni angioini Fulcignano risulta avere una buona consistenza demografica, nel 1378 è ipotizzabile raggiungesse un migliaio di persone (come e più di Otranto o di Gallipoli). Raggiunto questo apice dobbiamo annotare una veloce decimazione dei fuochi. Nel 1412 i suoi abitanti non dovevano essere più di 170. Appena trent’anni dopo un focolario aragonese non ne conta più di una trentina. La rapida discesa ed il declino di Fulcignano deve essere fatto risalire alle lotte tra il capitano di ventura Ottino Malacarne che usurpa dei possedimenti alla Chiesa di Taranto e Giovanni Del Balzo Orsini che si incarica di spodestarlo e rimettere la Chiesa nel legittimo possesso. Nel 1426 la Regina Giovanna II concede l’assenso alla donazione di Fulcignano ed altri feudi al Principe di Taranto del Balzo Orsini precisando che la “Terra Furciniani cum castro et pertinentiis suisi omnibus sita similiter in d.a Provincia Terrae Hydronti iuxta territorium d. ae terrae Galatulae (Galatone), et iuxta territorium rettae Sfilichij (Seclì) et iuxta territorium castri Naviani (Neviano) et alios confines”.
Probabilmente la riedificazione con l’espansione delle mura di Galatone in periodo aragonese, intorno all’inizio del XVI secolo, favoriranno la completa desertificazione del casale aperto di Fulcignano e la fagocitazione dei suoi ultimi abitanti. Comunque nel XVI secolo i fossati e le terre intorno al castello di Fulcignano risultano già messi a coltura. Nello stesso periodo nella sola Puglia scompaiono circa sessanta borghi e casali. Solo in Capitanata ne scompaiono ben trenta. Possiamo dire che le situazioni storiche, economiche e sanitarie del periodo sono diffusamente volte ad una inurbazione verso centri più sicuri.
Come causa dell’improvvisa scomparsa di Fulcignano appare veramente fantasticata la contesa con la vicina Galatone che è riportata da Antonio De Ferrariis. Tanto meno pare ipotizzabile ascrivere la guerra al predominio della chiesa latina su quella greca. Una guerra con Galatone vittoriosa pare, invece, fosse veramente accaduta nel 1335. Fulcignano sarebbe stata rasa al suolo e molti degli scampati sarebbero confluiti nella stessa Galatone o avrebbero contribuito a popolare piccoli paesi vicini. Questa notizia è desumibile dal Chronicon Neretinum, fonte dimostratasi però non perfettamente attendibile.
Attualmente il Castello, dichiarato monumento nazionale con D.M. 6/11/1967, è ancora di proprietà privata. I timidi e mai convinti tentativi di acquisizione fatti dalle amministrazioni comunali di Galatone non hanno mai avuto efficaci risultati. Eppure l’unicità di un castello “fossile” giunto sino a noi dal passato, senza essere stato manomesso nelle epoche successive, avrebbe spinto chiunque dotato di buon giudizio, non dico di amore per la propria Terra ma almeno di spirito imprenditoriale, a cercare di fare l’impossibile per assumerlo ai beni comunali, ai beni pubblici. Come dice sempre Paul Arthur “sarebbe opportuno acquisire il castello o eventualmente alcune aree limitrofe come bene pubblico.” Perché solo così si potrebbe studiarlo e valorizzarlo, cercando di decifrare i suoi messaggi nascosti e rendendo fruibili i suoi spazi emozionanti.
Il Castello, insomma, è sopravvissuto al tempo, alle guerre, alle radici degli alberi ed al sacco dei contadini; resisterà anche alla scarsa lungimiranza degli amministratori?
Non resta che sperare.
L’articolo integrale è stato pubblicato in Spicilegia Sallentina n°6
E bravo Pinuccio… :-)