di Marcello Gaballo
Le grandi piogge di questo periodo, inusuali per la stagione e per i nostri luoghi (ma ricordate che in altri anni avevamo già cominciato a fare il bagno al mare?), dal nostro popolo erano considerate una vera manna dal cielo.
L’acqua avrebbe giovato alle piante del grano in piena maturazione, agli ortaggi, agli ulivi, oltre a riempire le cisterne e rifornire le falde da cui attingere l’acqua tramite i pozzi.
Accadevano raramente e per questi graditi eventi il nostro popolo pensò di coniare due bellissimi proverbi, che propongo in vernacolo e con la traduzione più vicina in lingua italiana:
‘ale cchiù ‘n’acqua ti marzu e ddoi ti ‘bbrile cca ‘na carrozza cu totte li tire
(vale tanto una pioggia in marzo e ancor più due in aprile, più del valore di una carrozza con tutti i suoi armamenti).
Ci ‘uei cu bbiti la massara pumposa, Natale ‘ssuttu e Pasca muttulosa
(l’autentica felicità della contadina la vedrai quando piove poco d’inverno e molto in primavera. Troppa acqua in inverno farebbe imputridire le sementi, che invece se ne giovano con le piogge di primavera).
Saggezza popolare forse desueta, ma sempre saggia… o no? a patto che Giove pluvio non esageri!
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