di Rocco Boccadamo
Di S. Maria di Leuca, per le sue peculiari connotazioni di incomparabile attrattiva paesaggistica all’estrema punta dell’italico tacco, esiste una diffusa conoscenza ormai a tutto campo, non solo in Italia, ma anche all’estero. Dell’ascesa qualitativa di detta località, da sempre particolarmente cara ed amata come poche altre, i salentini non possono che sentirsi orgogliosi, anzi felici. Nello stesso tempo, si rende però opportuno che, da parte di tutti, vengano «difese» con sano spirito di gelosia le naturali e preziose bellezze del piccolo centro e dei relativi dintorni: l’accostamento di un sito della propria terra e delle proprie radici ai più rinomati posti del turismo di élite deve costituire senza dubbio motivo di soddisfazione e di gratificazione, ma non indurre a trascurare eventuali eccessi e spinte all’iperattivismo di qualche operatore senza scrupoli (col rischio di deturpazioni e scempi ambientali), allettato dal miraggio di speculazioni a portata di mano e di facili profitti. Ad ogni modo, a parte la doverosa cornice di approccio, qui si vorrebbe soprattutto porre in evidenza una particolare inquadratura di osservazione, che, forse, ai più sfugge. All’interno dell’antico Santuario di S. Maria de Finibus Terrae, ora elevato al rango di Basilica, dominante un ampissimo orizzonte a fianco dell’imponente faro che svetta sul promontorio a punta e terminale della penisola salentina, alla sommità dell’altare trovasi collocato un quadro, assai venerato, con l’effige della Vergine. Il volto della Madonna, difformemente dalle sfumature di colori cui si è tradizionalmente abituati osservando analoghe riproduzioni classiche o attuali, in questo caso reca un colorito non chiaro o roseo, ma decisamente bruno. Al che, viene da pensare che l’estro e il pennello dell’autore si siano con precisa volontà ispirati fedelmente all’incarnato tipico delle donne del sud in genere, e delle donne di queste plaghe in particolare, incarnato che si presenta spesso bruno o olivastro: dunque, la Madre di Dio che si pone allo sguardo della gente giustappunto con l’identico volto di molte, di tutte le madri comuni. Quanta profonda espressività in tale volto e in tali tratti! Quanta aderenza alla vita e ai suoi travagli, turbamenti e sogni! In chi scrive, l’effige della Madonna di Leuca ha determinato un’emozione forte e intensa sin da epoca lontana, a partire cioè dalla prima opportunità di ammirarla in occasione del pellegrinaggio itinerante del quadro per tutti i paesi del Capo, svoltosi nell’anno 1949, e dalla visita di devozione al Santuario, effettuata insieme con la famiglia, nel maggio del medesimo anno.Nel gruppo, era presente anche una giovane mamma di trentadue anni (la quale portava in grembo il sesto figlio), una mamma che, ancora giovane, nell’estate 1966 se ne è volata lassù a raggiungere la sua Madonna bruna.