Luigi Giuseppe De Simone e le lettere casulane
di Paolo Vincenti
Un imponente lavoro, questo di Mario Muci, che ha deciso di pubblicare il carteggio di un grande intellettuale salentino dell’Ottocento: Luigi Giuseppe De Simone. Non avevamo finito di apprezzare il lavoro certosino svolto con la pubblicazione del carteggio di un altro gigante della cultura salentina dell’Ottocento, Cosimo De Giorgi, che ecco ci capita fra le mani, grazie alla gentilezza di Alessandro Laporta che ce ne fa dono, questo nuovo libro: “Guida al carteggio di L.G. De Simone (con le Lettere Casulane di G.Cozza-Luzi)”, di Mario Muci, pubblicato dalla Provincia di Lecce, nell’ambito della Collana “Quaderni della Biblioteca N. Bernardini” (Amaltea Editore 2006).
Particolare curioso: Mario Muci in questa pubblicazione non si sofferma molto sulle Lettere Casulane come fa, invece, in un’altra sua pubblicazione, di poco anteriore a quest’ultima, dedicata a Girolamo Marciano1 (stravaganza dello studioso, pensiamo), dove dà ampia testimonianza del carteggio intercorso fra il Cozza- Luzi e il De Simone, non mancando di sottolineare la grande importanza di questa documentazione.
Nella rosa di lettere scelte da Muci per questo libro, troviamo, corrispondenti del grande De Simone, altrettanto grandi intellettuali salentini e non solo, come il Canonico Paolo De Giorgi, Giacomo Arditi, Pietro Siciliani, Giovanni Flechia, Cesare Cantù, il sacerdote Giuseppe Candido, Luigi Settembrini, Antonio Salandra, Cosimo De Giorgi, Domenico Briganti, Ettore Pais ed altri; ma la lista completa dei personaggi con cui De Simone fu in corrispondenza epistolare annovera moltissimi nomi , come Gaetano Brunetti, Oronzo Gabriele Costa, il Gregorovius, De Sassenay, Lenormant, Yriarte, il Diehl, l’Omont, ecc. Questa fitta corrispondenza è stata sviscerata in diverse pubblicazioni da parte dei nostri storici locali, a partire da Nicola Vacca, che curò nel 1964 una nuova edizione dell’opera desimoniana “Lecce e i suoi monumenti” (Centro di Studi Salentini), fino ad Alessandro Laporta con il suo saggio Luigi Giuseppe De Simone tra Europa e altra Europa, contenuto in “ L.G.De Simone cent’anni dopo”, a cura di Eugenio Imbriani (Amaltea Edizioni 2004).
Ma veniamo a quello che rappresenta il cuore della nostra trattazione. Oltre alle lettere già citate, Muci pubblica anche l’intero corpus delle Lettere Casulane di Giuseppe Cozza -Luzi e questo costituisce certamente il valore aggiunto del libro. Preziosissimo, infatti, appare questo carteggio, conosciuto da tutti gli studiosi che si sono occupati del De Simone, o di storia di Otranto e del monachesimo bizantino, ma che non era fino ad oggi mai stato pubblicato nella sua versione integrale, come fa meritoriamente, in quest’opera, Mario Muci. L’autore rende in riproduzione anastatica la versione originale dell’opera, che il religioso Cozza -Luzi pubblicò a Reggio Calabria nel 1900. Ma procediamo con ordine.
L’autore di questo famoso epistolario è Giuseppe Cozza -Luzi (1837-1905), raffinatissimo intellettuale, abate di Grottaferrata e bibliotecario della Apostolica Vaticana, sulla cui figura, nel 1998, è stato pubblicato il libro L’Abate Giuseppe Cozza -Luzi archeologo liturgista filologo (Grottaferrata) a cura di Enrica Follieri. Oggetto della trattazione delle Lettere Casulane è il famoso Typicon Casulano, un prezioso codice che ci restituisce una importante verità storica su quello che fu l’antico monastero di San Nicola di Casole, in Otranto, da tutti definito come fondamentale centro di cultura del Medioevo salentino, crogiolo d’intelletti, nonché prima Casa dello Studente della storia.
Questo documento è noto come “Codice Torinese C III17” e giaceva sconosciuto nella Biblioteca di Torino fino a quando non venne scoperto dal De Simone, il quale chiese nel 1890 al Ministero della Pubblica Istruzione di potere disporre del Codice per ragioni di studio e di poterlo depositare, per tutto il tempo sufficiente ad analizzarlo, presso la Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma. In questa biblioteca, l’abate Cozza-Luzi lo tradusse in latino e lo trascrisse in greco; dopo, il Codice ritornò nella sua sede naturale. Le lettere che compongono il carteggio sono in tutto ventuno e sono state scritte dal Cozza-Luzi dal luglio 1886 al novembre 1888.
Il Cozza Luzi, in pratica, informava l’amico De Simone dei risultati ottenuti nella esegesi della fonte che l’illustre studioso leccese gli aveva messo a disposizione. Alla fine di questo lavoro, fu lo stesso De Simone a consigliare il Cozza-Luzi di pubblicare i suoi risultati in volume, cosa che puntualmente avvenne, nel 1900, con il libro di cui ci stiamo occupando, stampato a Reggio Calabria dall’editore Francesco Morello 2.
Nel 1904, purtroppo, a causa di un incendio, il Codice fu seriamente danneggiato ed oggi è disponibile compromesso in più parti 3. Questo Typicon risale al 1173. Dell’esistenza del Codice casolano, dice il Cozza-Luzi nella Lettera Seconda, molti studiosi avevano parlato ma nessuno era a conoscenza della ubicazione del Codice stesso presso la Biblioteca di Torino, tranne il De Simone (“Ill.mo Sig.Cavaliere”: così gli si rivolge sempre il Cozza-Luzi nel carteggio).Questo Codice è in pergamena, secondo la descrizione del religioso, conta 183 fogli, ossia 266 pagine, misura mm 225 x 188 , ma in più momenti successivi sono stati aggiunti degli altri fogli all’inizio e alla fine. Nella Lettera Terza, Cozza-Luzi dà notizia di un altro Codice del Typicon Casulanum, conservato nella Biblioteca dei Barberini a Roma. Oggi, noi sappiamo che questa è la copia più antica del prezioso documento ed è quella fatta da Ieroteo, monaco casolano, per volere dell’abate Nicola, e conosciuta come “Barberianus gr.350, anno 1205”, perché dedicata al Cardinale Barberini (e infatti il codice reca l’arme dei Barberini sulla copertina in pelle rossa) da Francesco Arcudi, arcipresbiterio di Soleto, appunto in quell’anno.
Questo Codice, come spiega Cozza-Luzi nella Lettera Quarta, pervenne all’arciprete di Soleto Pietro Arcudi, il cui successore Francesco Arcudi, lo portò a Roma e ne fece omaggio ai suoi mecenati, i Barberini.
Del Codice Torinese si sono interessati, oltre al De Simone nei suoi “Studi storici in Terra D’Otranto” (Firenze 1888), firmato con lo pseudonimo Ermanno Aar, e al Cozza-Luzi, nel Settecento, il Pasini4 , nell’Ottocento, Diehl5 e Omont6 , e,nel Novecento, fra gli altri, i Parlangeli7 , Cezzi8 e Apostolidis9 .
Un’altra copia del Codice è il “Barberinus gr.383”, di cui riferisce Cozza-Luzi nella Lettera Quinta, allora conservato nella Biblioteca Barberiana ed oggi nella Vaticana, copiato da Stefano Ripa, arciprete di Soleto nel 1583, un codice cartaceo che si compone di 148 pagine. Ancora, un altro Codice è conservato nella Biblioteca Vallicelliana di Roma; come riferisce Mons.Grazio Gianfreda10 , questo Codice venne regalato alla biblioteca romana da Pietro Polidori che lo acquistò sul mercato di Nardò all’inizio del XVIII sec., ma questo documento, noto come “D 61”, di cui non si conosce l’autore, è molto diverso dalle altre copie del manoscritto.
Il Monastero di Casole, con il suo Scriptorium, la scuola e la Biblioteca, divenne un centro culturale importantissimo, cuore del Salento bizantino. Su di esso moltissimi studiosi hanno scritto, non solo storici, filologi, studiosi del monachesimo italo-greco e del Salento biazantino, ma anche narratori e poeti: pensiamo soltanto a due casi, negli ultimi anni, di romanzi di grande successo, vale a dire Otranto di Roberto Cotroneo11 e Lo scriba di Càsole di Raffaele Gorgoni12.
Ma tornando al nostro Codice, i Typica erano quel complesso di regole che ogni monastero si dava e che doveva scrupolosamente seguire. Il manoscritto casolano fa parte dei Typica Ktetorica, vale a dire gli “Statuti di fondazione”. Nelle carte dall’1 al 5 vi sono annotazioni varie di cronologia e di amministrazione del convento negli anni 1125-1267; nelle carte dalla 6 alla 14, vi è la regola monastica; nelle carte 15-172, è contenuto il Rituale del Convento, vale a dire il Typicon vero e proprio; nelle carte 173-181, è esposta l’Hypotyposis, cioè le prescrizioni a cui i monaci dovevano attenersi; nelle carte 182-183, varie preghiere.
Grazie a questo Codice, si è potuto prima di tutto ricostruire la storia del Monastero di San Nicola di Casole. Sappiamo infatti che fu il normanno Boemondo I, principe di Taranto e di Antiochia, a volere il monastero, che fu eretto nel 1098 o nel 1099, su una preesistente costruzione, per una precisa volontà politica, ossia quella, da parte dei nuovi governanti di queste terre, di accaparrarsi la benevolenza del popolo, ancora legato al rito greco. Nella Lettera Nona di Cozza-Luzi, “Di una congettura sull’origine di Casole”, apprendiamo che venne conservato il vecchio nome di “San Nicola”, o meglio “San Nicolò”, come riportano il Gregorovius13 e il Rodotà14, a cui fu aggiunto “Casole”, che voleva dire “tenda, capanna”.
Il primo reggitore del neonato monastero fu Giuseppe, ma determinante nella costituzione e nella organizzazione interna del Convento fu l’opera dei Normanni, vincitori sui Greci e desiderosi di non inimicarsi la popolazione locale, ancora fedele ai costumi orientali, avendo in ciò anche l’appoggio di Roma che non voleva certo sopprimere la chiesa greca ma, quanto meno, cercare di controllarla e, se possibile, farla ritornare sotto la propria giurisdizione, dalla quale si era staccata al tempo delle lotte iconoclaste.
Casole divenne quel che oggi tutti gli studiosi ricordano, cioè un punto di riferimento preponderante per la Terra D’Otranto, fucina di talenti che estrinsecavano il loro genio nella poesia, nella prosa, nell’arte; testa di ponte fra la cultura greca e quella latina.
Casole fu il luogo in cui si realizzò una mirabile fusione fra Oriente ed Occidente, nel segno della cultura, dell’accoglienza, della preghiera e del lavoro. I monaci casolani, grazie a quella straordinaria tranquillità di cui si godeva nel cenobio otrantino e grazie a quella superiore serenità d’animo che essi raggiungevano attraverso l’ hesychia, il loro ideale di vita, potevano astrarsi dalle noie e dagli affanni terreni e dedicarsi al loro lavoro e all’attività intellettuale, copiando quei preziosi manoscritti che oggi sono sparsi in molte biblioteche italiane e non solo. Essi non si dedicavano soltanto allo studio dei testi sacri, liturgici, ascetici, spirituali, ma anche ai testi profani, soprattutto i classici greci e latini. I monaci bizantini divennero così molto dotti e il loro monastero, depositario di una cultura che definiremmo sincretica, straordinaria, divenne mèta sempre più ambita di studenti che da più parti confluivano nel convento otrantino, assettati di conoscenza. Si venne a creare una vera e propria scuola, di cui leader indiscusso fu Nettario, settimo abate del cenobio otrantino, sicuramente il nome più prestigioso e altisonante della scuola poetica idruntina e sulla cui figura il Cozza-Luzi si intrattiene a lungo nel suo carteggio.
Nella Lettera Settima, Cozza-Luzi si occupa di Giuseppe, primo abate e fondatore del Monastero di Casole. Nella Lettera Ottava, si occupa di Vittore, secondo abate, e di Nicola, terzo reggitore di Casole, anche attraverso i versi di Nettario dedicati a questi personaggi così importanti della storia casolana, poi divenuti santi. Giuseppe, a cui si deve la fondazione del Monastero e della Chiesa di Casole morì nel 1124, al tempo di Boemondo di Antiochia. Vittore morì nel 1142, al tempo di Ruggero il Grande. Successe poi Nicola, che governò per altri 32 anni, e che Cozza-Luzi dice essere stato l’esecutore materiale del Typicon, mentre da altri studiosi ci risulta che fu solo l’ispiratore dell’opera, di cui fu artefice Ieroteo.
Andando avanti nella lettura delle Lettere Casulane, apprendiamo tutta la cronologia degli abati che si sono succeduti nel Monastero di Casole.
A Giuseppe, Vittore e Nicola, i prime tre rettori del Monastero, seguirono Callinico, Ilarione, Nicodemo e Nettario, abate del Monastero dal 1219 al 1235. Quest’ultimo, uomo di grandissima cultura, il cui nome al secolo era Nicola d’Otranto, fu un infaticabile viaggiatore e maestro di lingua e letteratura greca. Dai suoi viaggi riportò sempre dei libri per il Monastero di Casole.
Nella Lettera Decimaprima, Cozza-Luzi si occupa proprio di Nettario e nella Lettera Decimaseconda, della Legazione a Costantinopoli del Cardinale Benedetto con Nettario Casulano.
A Nettario seguì Poimene, abate dal 1235 al 1256, di cui Cozza-Luzi si occupa nella Lettera XIV , insieme al nono abate, Filoteo I, al decimo, Basilio, e all’undicesimo, Giacomo I, abate dal 1266 al 1274.
Seguirono Gregorio, Filoteo II, abate dal 1306 al 1342, Biagio, Giacomo II, sotto il cui igumenato vi fu un attacco dei Corsari a Casole nel 1363. Pietro fu il sedicesimo abate di Casole, poi seguirono Giacomo III, Giorgio, Matteo e Zaccaria, che resse il Monastero fino al 1469.
Dalla XVIII Lettera, apprendiamo di un’attività importantissima del monastero di Casole, vale a dire il prestito dei libri: nelle prime pagine del Typicon infatti, è segnato il nome di chi prendeva in prestito i vari libri dalla cospicua biblioteca casolana.
Evento capitale nella storia di Casole e di Otranto fu il fatale attacco dei Turchi del 1480, una data scritta col sangue nella storia della splendida città adriatica. Il monaco Marco, che riuscì miracolosamente a scampare all’eccidio dei turchi, tornò a Casole un anno dopo al seguito di Alfonso D’Aragona. Pochi libri sopravvissero a quel tragico evento e tutti furono oggetto di una diaspora ed oggi si trovano sparsi in varie biblioteche d’Italia, come la Vaticana di Roma, la Medicea di Firenze, la Marciana di Venezia, ma anche, all’estero, presso la Biblioteca centrale di Parigi, quella di Madrid, di Londra, di Berlino, ecc. Forse fu un danno, quasi una rapina nei confronti della cultura di Terra D’Otranto, come ritiene Muci15, ma secondo noi fu, invece, una fortuna l’intervento del Cardinale Bessarione, che portò via da Casole moltissimi libri destinandoli alla costituenda Biblioteca Marciana diVenezia.
Numerosissimi codici, come informa il Marciano16 , vennero sottratti dal Bessarione a Casole per essere poi pubblicati a Venezia. Ma se questi preziosi documenti fossero rimasti ad Otranto, forse, non avrebbero avuto sorte migliore, perché sarebbero certamente stati distrutti dai Turchi nei successivi loro attacchi (facendo quindi la stessa fine di quelli distrutti nel disastro del 1480) e comunque non sarebbero sopravvissuti all’incuria, al degrado in cui venne abbandonata Casole nei secoli successivi e alla “incessante lima degli anni”.
L’opera dell’abate di Grottaferrata ebbe il merito importantissimo di fare chiarezza in una materia, quella della storia di Casole, in cui c’era stata, fino ad allora, molta confusione, soprattutto a causa di studiosi che, senza ricercare le fonti, avevano ripetuto quanto già era stato scritto da altri, errori o imprecisioni comprese. E’ lo stesso Cozza-Luzi che, nella parte finale della sua ultima lettera, afferma “ ..vari scrittori di cose di Terra di Otranto riportarono di peso le parole ed i giudizii di quelli autori; e, resero per tal modo non raro ad avvenire, ancor più difficile l’estricamento di sì arruffata matassa, di cui ora mi pare così trovato il bandolo”. Quel che accusava il religioso si è verificato anche dopo la pubblicazione della sua opera, peraltro fin da subito dimenticata: ecco perché noi riteniamo, mutatis mutandis, che oggi la ripubblicazione dell’opera da parte di Muci possa contribuire nuovamente a sgomberare il campo dai troppi fraintendimenti sul Monastero otrantino e dai dubbi che nel frattempo si sono addensati sulla storia casolana.
Una storia già scritta secoli e secoli fa, ma ancora attuale e da riproporre all’attenzione dei giovani, i quali, se conoscono Casole solo attraverso i romanzi che hanno letto, potranno accorgersi che la verità storica è ancora più affascinante di qualsiasi finzione.
pubblicato in “Il Bardo”, Copertino, settembre 2007.
1 Mario Muci, Umanesimo e fede nella Descrizione di G.Marciano, in “Girolamo Marciano salentino illustre”, a cura di Giovanna Rosato (Amaltea Edizioni 2006)
2 M.Muci, op.cit., pag.31
3 Grazio Gianfreda, Il monachesimo italo-greco in Otranto, Edizioni Del Grifo 1994, pag. 85
4 G.Pasini, Manuscripti Codices Bibliothecae Athenaei Taurinensis, Tomo I, n.308
5 C.Diehl, Le Monastère de Saint Nicolas de Casole près d’Otrante ecc., Roma 1886, tradotto da L.Maggiuli in “Otranto-Ricordi”, Lecce 1893
6 Omont, Le Typikòn de S.Nicolas de Casole, près d’Otrante, in “Revue des ètudes grecques”, 3, 1890
7 A.e O.Parlangeli, Il Monastero di San Nicola di Casole Centro di cultura bizantina in Terra D’Otranto, in “Bollettino della Badia di Grottaferrata”, Vol.V, 1951
8 F.Cezzi, Il metodo teologico nel dialogo ecumenico, Città Nuova, Roma 1975
9 A.Apostolidis, Il Tipikòn di San Nicola di Casole secondo il Codice Taurinense, Tesi di Dottorato,Università Ecumenica Bari, 1983
10 G.Gianfreda, op.cit. pag.95
11 Roberto Cotroneo, Otranto, Mondatori 1997
12 Raffaele Gorgoni, Lo scriba di Càsole, Il segreto di Otranto, Besa 2005
13 F.Gregorovius, Nelle Puglie, Barbera Editore, Firenze 1882
14 P.P.Rodotà , Dell’ origine del rito greco in Italia, I.G.G. Salomoni, Roma 1758
15 M. Muci, op.cit., pag.33
16 G.Marciano, Descrizione origini e successi della Provincia di Terra D’Otranto, Congedo 1996, pag.377.
Eccezionale. Grazie.