di Giorgio Cretì
… Spensero la lucerna e uscirono sulla strada. Pioveva ancora molto forte e Antonio aprì il suo grosso ombrello. Rosa gli stette molto vicina fino alla piazza, poi si staccò lentamente. Antonio che scrutava l’espressione del suo volto, notò che si stava rabbuiando. Le strinse leggermente una spalla con la sua grossa mano per rassicurarla e lei lo ricambiò con un sorriso velato di tristezza.
Giunti che furono alla locanda, Rosa scomparve subito. Antonio andò dal suo cavallo che stava tranquillo nella stalla, poi sedette su una panchina di tufo sotto l’androne e si arrotolò una sigaretta.
Il tabacco era umido e la sigaretta ogni tanto si spegneva. L’acqua delle gronde gli scorreva vicino ai piedi portandosi via i fiammiferi bruciati e si riversava sulla via per unirsi ai ruscelli che correvano verso la campagna.
Antonio pensò a Rosa felice e sorrise contento, poi pensò ancora a lei triste e sorrise ancora, ma in modo diverso questa volta.
Buttò via il mozzicone spento e attese che l’acqua lo portasse via, poi si alzò.
Andò a mangiare, ma non vide Rosa, né la sentì dietro la tenda. Era contento e si rendeva conto di esserlo. Mentre mangiava pensò al tempo e al viaggio, percorrendo lentamente, com’era abituato a fare, la strada e traversando tanti paesi molto simili al suo e dove anche la gente era la stessa. Se li attraversava di domenica, trovava gli uomini in piazza a crocchi o li intravvedeva nelle botteghe affollate, se passava durante la settimana, trovava i paesi deserti. Vedeva poi la gente nelle campagne, curva sulla terra che lavorava. Lungo le strade alcuni lo conoscevano e quando passava si alzavano a salutarlo da lontano ed egli rispondeva sempre. Andava, andava sempre avanti, per un viaggio senza fine, assieme al cavallo che forse non poteva pensare, ma era sicuramente contento del suo padrone.
Finì di mangiare senza accorgersene e usci senza nemmeno guardare verso la cucina. Andò a sedersi ancora sotto l’androne e mentre fumava ripassò a memoria le commissioni che gli erano state affidate. Ricordò anche ciò che doveva dire a Pasquale Cozza e pensò che Concetta era proprio una brava donna.
Intanto aveva smesso di piovere. Si alzò e andò sulla via per guardare il cielo che, verso Brindisi, si era completamente schiarito; dalla parte di Lecce era ancora nero come la pece, ma era girata tramontana. Andò a consultare il cavallo che trovò d’accordo e poco dopo partirono, con il carro che sobbalzava sulla via scavata dalla pioggia.
I campi che la strada traversava erano allagati e Antonio pensò che al Cozza sarebbero sembrati risaie; egli invece li vedeva stendersi lontano, coperti d’acqua, come uno strano mare dal quale qua e là emergevano gli alberi. Stormi di anatre e folaghe erano subito immigrati nella zona in cerca di nuova pastura e qualche contadino, di tanto in tanto, faceva esplodere un colpo di avancarica.
Ai frantoi Antonio si fermò pochissimo: il tempo necessario ver scambiare cose e messaggi.
Il Cozza in particolare gli disse che presto sarebbero tornati a casa e lo incaricò di far sapere a Concetta che il figlio del Ricchia era meglio farlo venire in casa, in modo da far sapere a tutti che i ragazzi erano fidanzati.
Poi, dovendosi fermare a Nardò, tornò a casa dalla strada dell’Avetrana.
Solo i carrettieri come lui, che non avevano paura di nulla, passavano per quella strada che era tutta dritta e lunghissima e si viaggiava, a sali e scendi, per ore senza mai incontrare un paese. A tratti, dalla cima dei dossi, si scorgeva il mare non molto lontano, ma questo era diverso dal mare ad Antonio più familiare, perché non aveva la stessa voce profonda, nemmeno quando era molto agitato: le sue onde si sfasciavano sulla spiaggia, ribollendo e lasciando pesci morti e oggetti provenienti da molto lontano, ma la sua spuma non saliva alta nel cielo.
D’inverno la gente aveva paura di passare per l’Avetrana, perché era una strada da briganti, dove non potevi chiedere aiuto a nessuno.
Antonio, però, l’aveva percorsa molte volte, ma nessuno l’aveva mai molestato e aveva incontrato solo la gente delle masserie, che lavorava le vigne. Anzi, una volta si era anche fermato alla Masseria Salmenta per ripararsi da un temporale e vi aveva trovato gente come la sua, che lo aveva ospitato e gli aveva anche dato da mangiare e bere.
Questa volta non incontrò proprio nessuno. Man mano che andava avanti pensava che assieme a Rosa stava bene e che Rosa stava bene con lui, ma pensò anche che certe volte non la capiva. Il pensiero di lei felice gli procurava una grande contentezza, così come il pensiero di lei triste dava anche a lui un gran senso di tristezza.
Poi giunse a Nardò.
(dal VI capitolo di L’Eroe antico, di Giorgio Cretì)
Ciò che racconta è molto bello sopratutto se il racconto parla del tuo paese ,di persone che si sono incontrate di vicoli vissuti e memorizzati .Questo per me ha un sapore diverso rispetto ad altri racconti perchè leggendolo lo vedo , come per immagini che si muovono ,propio come in un film , ci si sente parte di esso ,nelle vesti però di comparsa data la mia più giovane età rispetto alla sua . Un grazie di cuore per questo suo racconto, che non ho e che spero quanto prima di continuare a vedere.