Indovinello salentino: “Autu, autu e lu miu palazzu, erde suntu e niura me fazzu, casciu anterra e nnu me scrafazzu, au alla chesa e luce fazzu”.
Asciula, cafareddhra, mureddrha, saracina, cilina nchiastra, licitima, fimmina e masculara, cillina te Lecce, te Nardò o te Scurranu sono solo alcuni dei sinonimi utilizzati per indicare o meglio identificare la tipica oliva coltivata nel Salento.
Di essa non si sa con esattezza per opera di quale popolo sia iniziata la sua diffusione; sarà sicuramente un affascinante racconto dissolto tra secoli di memoria e segrete leggende. Di certo c’è invece, che il valore attribuito alla coltivazione di questa varietà che oggi classifichiamo come Cellina di Nardò, è equivalente all’empatico desiderio di proteggerla. Si accendono i riflettori su questo albero.
In un modo o nell’altro il principio dell’estrazione del suo olio (uegghiu) pare sia quasi simile a quella di un tempo ma le caratteristiche fisiologiche del suo frutto non sono affatto cambiate.
Le sue drupe (ulie) riunite fitte sui rami vigorosi e assurgenti (inchi e calaturi) sono piccole ellissi, come visi bruni, in pietosa attesa di ruzzolare per essere poi raccolte e frantumate (rispicu e macinatura). L’operosità della sua raccolta scandisce due stagioni di tradizionale raccolta su quasi 60.000 ettari di meridione pugliese dove si aggira. Ogni visitatore che abbia varcato la soglia messapica ha ammirato la sua imponente meraviglia e qualcuno poi, ha chiesto addirittura di promuoverlo come patrimonio dell’umanità.
Da sempre, questa varietà, è presente nella storia dei salentini, nei loro riti, nella vita di ogni giorno e a volte ci si può meravigliare come dai suoi tronchi curvi e corrucciati (rape sturtigghiate) riescano a ricavarne un essenza così morbida e armonica al palato. L’intensità di retrogusti piacevoli di amaro e un po’piccante (pizzica alli cannaliri) con evidenti percezioni di mandorla, di pomodoro o di erba fresca sarebbero i suoi migliori requisiti.
Qualità inaspettate dall’olivo trasmesse da millenni, incantano le nostre abitudini, specialmente quando si parla di chimica che non troviamo solo nel suo olio, non di quella sintetica per intenderci, ma di quella che riguarda le sostanze naturalmente contenute nelle sue cellule.
Cellule ricche di oleuropeina, droga amara, contenuta nelle sue cellule, e di un cospicuo elenco di acidi, chinoni, flavoni, glucosidi, enzimi, tannini, zuccheri, oli essenziali e antiossidanti di natura non identificata.
Ma come ogni alimento, senza fare discriminazioni farmacologiche, il suo olio extravergine di oliva è conosciuto da sempre per le sue proprietà, per la sua composizione in acidi grassi come l’acido oleico, linoleico, linolenico e di quella benamate antiossidante e protettive vitamina.
Chi l’avrebbe mai detto che da una piccola drupa dall’insolito nome orientale potessero scaturire tante ricerche? Se ne parla da anni! Pare che l’olio estratto (10-17%) contenuto nel suo frutto aiutasse quindi a vivere meglio.
Ma come identificare la vera qualità di un olio d’oliva? Non è il caso di quantificare un valore nutrizionale di un olio mal conservato o immoralmente prodotto.
L’albero d’olivo è sacro come il suo olio, il suo produttore e la sua terra. Allora perché questa pianta così decantata diventa spesso un indistinto oggetto alla mercé di un agricoltura intensiva?
Alberi come schiavi, forzati a vegetare e produrre in fretta, drupe avvelenate da insetticidi, radici bruciate da diserbanti per semplificare la raccolta. Dovremmo chiederci spesso che fine fanno le volpi e gli uccelli che si rintanano tra i sui vetusti tronchi “benedetti”.
Può questo atteggiamento essere un incivile trasgressione per sciagurati o insani principi? Soprattutto, può questo alimento pregiato diventare mezzo di sostanze sicuramente dannose per la nostra salute? L’agricoltura salentina non sa più che olio vendere; su di essa si riabbassa la scure dei prezzi, il lavoro non si ripaga e l’albero s’abbandona. Allora, solo favorendo il consumo dell’olio da Cellina di Nardò con un scelta sana e consapevole che il Salento può ritrovare la ruralità del suo volto e a maggior ragione, prima di ogni sciagurata decisione, il diritto di ammirarne la sua bellezza.
Un buon vino è il risultato di un lavoro di un “dottore agronomo di campo” che sovrintende la produzione per ottenere un’uva di qualità che, una volta vendemmiata e portata in cantina, diviene materia di lavoro per un’altra figura professionale che è l’enologo che cura tutti i processi dalla consegna dell’uva fino a giungere ad ottenere un vino di qualità
Il Dottore Agronomo Carmelo Buttazzo afferma per ottenere un olio d’oliva di qualità ci si deve attenere a figure professionali specifiche che sovrintendono le varie fasi della produzione prima delle olive e poi dell’estrazione e conservazione dell’olio.
Il Dottore Agronomo “di campo” è colui a cui affidarsi per l’ottenimento di olive di qualità; questo professionista stabilisce cosa fare e quando farlo e lo comunica al produttore.
L’albero d’olivo, per esprimere attraverso il suo prodotto, e cioè il frutto delle olive, il massimo della qualità, deve essere ben nutrito. Quale nutrimento e quanto darne è quello che stabilisce il Dottore Agronomo che deve valutare le caratteristiche del terreno su cui c’è l’albero di olivo, quante sostanze nutritive sono state già mangiate dall’albero per la produzione delle olive dell’anno precedente e tante altre cose che sono il frutto della “sapienza” di anni e anni di prove e di tentativi fatti che producono quello che tutti chiamiamo l’esperienza. Lo stesso si deve occupare anche dell’equilibrio vegetativo della pianta di olivo dando disposizioni precise per i tagli da effettuare con le potature e di come farle per ridurre i costi della raccolta. Deve quindi garantire la sanità delle olive perché è lui il medico della terra che cura le piante di olivo, stabilendo quali, in che modo e quanti farmaci dare alle piante, facendo sempre attenzione all’andamento climatico ed al monitoraggio dell’infestazione dei parassiti. E’ il medico della terra, che rileva le malattie da batteri, funghi, insetti che mettono a rischio la sanità delle olive. In funzione di queste osservazioni e con la sua “sapienza” il Dottore Agronomo dell’oliveto decide quali medicine e in che quantità devono essere date agli olivi, decide il giorno in cui le olive devono essere raccolte per garantire la migliore qualità organolettica e salutistica del prodotto olio che si andrà ad estrarre.
Già le olive! Ma quali olive? Sono quelle delle varietà che sono maggiormente presenti nel Salento leccese, prima fra tutte l’Ogliarola di Lecce e poi la Cellina di Nardò. Ma ci sono anche degli alberi di olivo di varietà di nuova introduzione come l’oliva di varietà leccino, la cima di Melfi, frantoio, carolea, nociara, picholine, coratina. Per tutte queste varietà il Dottore Agronomo deve decidere il giorno più opportuno per raccogliere le olive, tenendo a mente che il momento dell’invaiatura che si verifica quando l’oliva cambia di colore dal verde ad una colorazione finale che varia dal rosso porpora al nero è quello in cui vi è la massima concentrazione di sostanze aromatiche ed antiossidanti nel frutto.
In questa fase le olive sono molto ricche di alfa-tocoferolo un nutriente vitaminico essenziale e vitale per l’uomo, un potente antiossidante liposolubile, presente in molti vegetali ma non nelle alte percentuali presenti nell’olio di oliva. Il tocoferolo è la vitamina E, ma poi ci sono altre sostanze aromatiche che insieme all’alfa tocoferolo sono prodotte dal frutto dell’oliva perché servono a difendere l’embrione (oleouropeina, tirosolo, beta carotene ecc.).
Buttazzo spiega la presenza di queste sostanze all’interno della drupa dell’olivo facendo un paragone con la mamma incinta, che protegge e nutre il suo nascituro con il sacco vitellino e la placenta, trasmettendogli tutte quelle sostanze immunitarie. La drupa con il suo mesocarpo, ricco di sostanze nutritive ed antiossidanti, protegge e nutre il suo embrione.
L’ alfa-tocoferolo e gli antiossidanti in genere agiscono come kamikaze ovvero si autodistruggono per difendere le sostanze nutritive facilmente attaccabili dall’ossigeno (ossidabili) e che diventerebbero dei radicali liberi molto pericolosi per la salute dell’embrione ma anche dell’uomo.
Per avere un prodotto di qualità più volte il collega Buttazzo insiste sul concetto della sanità dell’oliva ed è per questo che affronta l’argomento di uno dei peggiori nemici dell’oliva ovvero la Mosca, detta anche mosca delle olive o mosca olearia (Bactrocera oleae Gmelin, 1790). Dovete sapere che è un insetto appartenente alla sottofamiglia dei Dacinae Munro, 1984 (Diptera BrachyceraSchizophora Acalyptratae Tephritidae). È una specie carpofaga, che significa che si nutre dei frutti di olivo, ovvero delle olive; la larva della Mosca è una minatrice, infatti fa delle gallerie nella drupa dell’olivo. È l’avversità più grave a carico dell’olivo.
Quando la larva mangia la polpa per nutrirsi, produce un enzima liposolubile che è la lipasi. Questo enzima le serve per “digerire” i grassi producendo energia quindi questo enzima è pericolosissimo per il processo di acidificazione dell’olio contenuto nelle olive.
Sai cos’è l’enzima? E’ una proteina che accelera le velocità delle reazioni chimiche, dal composto A al composto B e viceversa.
Quindi se un’oliva ha dentro la larva della mosca, ha dentro anche la LIPASI, che è capace di effettuare l’idrolisi dei lipidi, trasformando i trigliceridi in glicerolo e in acidi grassi (acidità dell’olio).
Buttazzo afferma senza paura di smentita che se un’oliva non è sana, quando effettueremo la spremitura per ottenere l’olio, noi ci porteremo nell’olio una acidità conclamata. Ma anche se così non fosse c’è sempre la possibilità di introdurre nell’olio la lipasi che attiverà il processo di acidificazione dell’olio nella fase di conservazione dello stesso.
Il collega Buttazzo infine evidenzia che questa carica lipasica è detta esogena, che significa che proviene dall’esterno dell’oliva, mentre non è da sottovalutare una piccola percentuale di lipasi che proviene dall’embrione dell’oliva e che viene detta endogena e serve all’embrione dell’oliva, per digerire i grassi che madre natura gli ha fornito nella polpa. Quindi, quando l’oliva è sana avremo sempre presente la lipasi endogena. Verso fine novembre – inizio dicembre abbiamo una percentuale di lipasi nell’oliva maggiore del 2% e si può stare certi che già l’olio che è all’interno dell’oliva è acido.
Se si vuole fare un oliva di qualità, ovvero sana, non si può raccogliere in questo periodo, bisogna farlo certamente prima. Ma quando? Quando lo stabilisce il Dottore Agronomo di oliveto!
Un altro pericolo per l’oliva e l’olio sono i processi ossidativi, protetti dagli antiossidanti descritti in precedenza, ma anche dalla clorofilla, un pigmento che colora l’olio di verde ma che poi come abbiamo visto all’invaiatura vira al rossastro.
La clorofilla rappresenta un antiossidante al buio, mentre è un pro ossidante in presenza di luce. Capite ora perché l’olio si conserva in bottiglie scure e in luoghi protetti dalla luce? Buttazzo ci rivela che lui protegge le sue bottiglie con la stagnola per impedire alla luce di entrare. Quindi puoi farlo anche tu, prendi la tua bottiglia e avvolgila nella stagnola.
Salvo che non si avesse il titolo di assaggiatore ufficiale, riconoscere al palato senza tecniche di conoscenza di base la provenienza di un olio d’oliva non è per nulla semplice.
Percepire pregi e difetti, e aver poi la facoltà di descriverne differenze o sensazioni, è un dono di pochi; è quasi come avere un buon orecchio musicale. L’armonia del gusto di un olio extravergine d’oliva, si potrebbe descrivere quando si riesce a risolvere con decisione l’amaro, il dolce, il piccante o rilevare tutti gli aromi possibili. La qualità di un olio, in ogni caso, giunge proprio dalla sua terra, dal suo produttore oltre che da una moltitudine di elementi che lo caratterizzano. Con le moderne tecniche produttive e una sana dose di passione, la capacità di estrarre buoni requisiti da una normale oliva è universale ma è di solito condizionata dall’andamento stagionale.
La razionalità e le misurazioni tecniche nel campo olivicolo sono ormai una prassi consolidata che riesce a estrarre dall’obbligo delle buone regole un motivo di sostentamento per migliaia di aziende. Un tappeto di varietà, quindi, disteso su migliaia di ettari, disciplinate da diverse denominazioni d’origine protetta tra cui due importanti: la Dop “Terra d’Otranto” diffusa nel Salento e la Dop “Terra di Bari” con le sue diverse menzioni geografiche.
Sono territori a forte esperienza produttiva in cui singoli produttori e le decine di associazioni olivicole spesso competono tra loro per aggiudicarsi il premio per la migliore produzione.
Allora, se i propositi sono gli stessi, cosa restituisce la diversità di questi territori? Che cosa dovrebbe preferire un olio rispetto a un altro se non per la soggettività del gusto o per un semplice campanilismo.
Le varietà che nel Salento sono caratterizzate prevalentemente da Ogliarola Leccese e Cellina di Nardò, e nel Barese da Coratina, Cima di Bitonto o Ogliarola Barese, possono riservare molteplici sorprese e la possibile fusione dei blend possono perfino creare sapori non identificabili neanche dai più raffinati panel. Con tali varietà, l’olio barese e quello leccese sono prodotti che derivano da due terre a confronto, con aspetti apparentemente simili, ma con sistemi d’impianto e mentalità produttive nettamente diverse. Paesaggi e gusti varietali non paralleli anche nell’analisi dei loro disciplinari di produzione; Dop che dovrebbe garantire, all’atto dell’immissione al mercato, standard come colore, sapore, acidità, punteggio al panel test, numero di perossidi o quantità di trigliceridi.
Ad esempio, nel Salento un olio Dop extravergine che riguarda le varietà Cellina e Ogliarola leccese dovrebbe essere di colore verde o giallo con riflessi verdi dal sapore fruttato con una leggera sensazione di piccante e di amaro.
Nel barese, invece, la Dop disciplina, se si tratta di varietà Coratina, un colore giallo oro con riflessi verdi, odor di fruttato medio o leggero, con sapore di frutti, sensazione di erbe fresche e sentore delicato di amaro e piccante, come nel caso della Cima di Bitonto, dell’Ogliarola barese o della Coratina. Per la menzione geografica “Murgia dei Trulli e delle Grotte un fruttato con sensazione di mandorle fresche e leggero sentore di amaro e piccante è tipico della Cima di Mola.
Con un’acidità massima totale espressa in acido oleico, in peso, non superiore a grammi 0,8 per 100 grammi di olio la qualità è quasi una certezza; ma ciò non è ancora sufficiente nella nostra attenta valutazione. All’opposto, il numero dei perossidi è un parametro rilevante per la qualità dell’olio extravergine di oliva; esso misura proprio la concentrazione, appunto, di queste sostanze che si sviluppano in seguito all’ossidazione dei radicali degli acidi grassi che costituiscono i trigliceridi. Il numero di perossidi aumenta come l’acidità negli oli derivanti da olive deteriorate da eventi climatici o parassitari, da olive trasportate, stoccate in cattive condizioni o da moliture irrazionali.
Quello che mette di pari passo e concorda il valore delle Dop è la presenza dei polifenoli che affermano un altro sicuro fattore di qualità. Tali sostanze oltre a influire sulla stabilità di un olio, cooperano attraverso il consumo a combattere i fenomeni ossidativi a carico delle membrane cellulari da cui deriva l’invecchiamento dei tessuti e altri aspetti della salute.
Per la legislazione vigente e per tutte le Dop, un olio extra vergine deve tenere uno standard di perossidi ben stabilito e assieme ad altri parametri di genuità correlati alla presenza di smisurate sostanze come colesterolo, stigmasterolo b-sistosterolo7, trilinoleina, stigmastadieni, e sostanze connesse alla sicurezza come pesticidi fosforati e benzopirene.
Dal complesso mondo olivicolo si rinnova quindi il desiderio di suggerire una sana competitività in direzione di un’altrettanta qualità dell’olio extravergine di oliva che stimoli anche la voglia di degustarlo nel migliore dei modi possibili.
E’ nato il 1 gennaio in Puglia “Nectàrea” il primo olio ProEVO (pro ExtraVergine d’Oliva).
Un rivoluzionario nettare naturale della Dieta Med-Italiana che punta ad essere venduto anche in erboristeria e in farmacia.
Sino ad oggi non si era ancora sentito parlare di un olio “ProEVO” (Pro ExtraVergine d’Oliva), ossia di un olio così puro da mirare ad elevare e ad esaltare le innumerevoli qualità e peculiarità degli oli evo d’eccellenza e di qualità superiore. Fra tutti i Paesi produttori di extravergine (Spagna, Grecia, Portogallo, Tunisia, Usa,…), questa volta spetta all’Italia il merito di aver creato in assoluto il primo ProEVO a cui, probabilmente, ne seguiranno degli altri.
Il 1 gennaio 2013 nella Puglia salentina è nato “Nectàrea”, un prodotto della Dieta Med-Italiana, 100% italiano, un olio extravergine d’oliva purissimo, di categoria superiore, ottenuto esclusivamente dalla spremitura con procedimenti meccanici esclusivamente di olive delle antiche cultivar Ogliarola leccese e Cellina di Nardò, da secoli autoctoni del territorio e, nel caso di Nectarea, provenienti dall’area Vernole/Melendugno, in provincia di Lecce.
Ma la grande novità è nella sua “veste”, poiché Nectarea è il primo olio extravergine presentato sul mercato accentuando principalmente tutti quegli aspetti legati ai benefici e alle qualità cosmetiche, di salute e di benessere che un pregiato extravergine può e sa offrire.
Sia la confezione che l’immagine promozionale di Nectarea porteranno l’utenza a scoprire e a dare (finalmente) la giusta importanza ed il giusto valore che spetta all’olio extravergine d’oliva italiano di eccellenza. Nectàrea si presenta in un’elegante bottiglia di acciaio inossidabile da 0,30L, appositamente progettata e realizzata per contenere e conservare un olio di qualità nel migliore dei modi. La bottiglia è a sua volta contenuta in una originalissima confezione cilindrica realizzata in foglia di legno e tenuta chiusa da un laccetto.
Il sito web del prodotto (www.nectarea.it) è concepito per offrire al visitatore l’immagine di un prodotto d’eccellenza, un raffinato articolo di gourmet ma anche da erboristeria o da cosmesi. Due termini questi ultimi non certo menzionati a caso, visto che Nectàrea si presenta come un prodotto adatto e consigliato in quattro ambiti: come un condimento alimentare a crudo, come un cosmetico naturale al 100%, come un prodotto di protezione della salute e di prevenzione e infine come conosciuto dai più, ottimo in cucina.
E’ risaputo, infatti, che le proprietà e le qualità dell’olio extravergine d’oliva vanno ben oltre il semplice gusto a tavola. Come condimento, Nectarea aggiunge ed esalta il sapore degli alimenti e ha il miglior equilibrio di grassi. Infatti è povero di grassi saturi, i maggiori responsabili dell’aumento di colesterolo nel sangue, mentre é ricco di grassi monoinsaturi, ossia di acido oleico, e contiene grassi polinsaturi essenziali in corretto rapporto tra di loro. Questo importante rapporto è similare a quello che c’è nel grasso del latte materno, a totale giovamento del nostro organismo.
Mentre come cosmetico, grazie al fatto di essere leggero, non irritante, antibatterico e ricco di antiossidanti, quest’olio extravergine d’oliva di categoria superiore è perfetto per la cura della pelle del viso e per la cura del corpo. Aiuta sia le pelli secche che quelle grasse, si può usare come struccante e per effettuare leggeri scrub, può alleviare l’acne giovanile e le piccole rughe a zampa di gallina intorno agli occhi. E’ particolarmente indicato anche nella cura dei capelli fragili o secchi, li fortifica e li rende più lucenti e luminosi. Anche per mani e unghie è un toccasana, ammorbidendo le prime e rafforzando le seconde.
Invece non tutti sanno (o scordano) che l’olio extravergine d’oliva di qualità, grazie al suo elevato contenuto in antiossidanti, protegge dalle malattie cardiovascolari e contrasta i meccanismi d’invecchiamento cellulare. Non solo, i grassi in esso contenuti sono quelli che aiutano ad aumentare i livelli di colesterolo HDL (quello “buono”).
A queste proprietà si aggiungono poi l’azione antinfiammatoria e la capacità di favorire la digestione aumentando la produzione di bile e di promuovere la salute delle ossa migliorando l’assorbimento del calcio. Inoltre aiuta e contribuisce a prevenire alcune forme tumorali, come quella al seno, nelle donne, e alla prostata, negli uomini. E infine, ma certo non meno importante, non serve probabilmente neanche spendere molte parole per ciò che concerne il suo uso in cucina, essendo un olio extravergine puro, prodotto principe e cardine attorno al quale ruota tutta la nostra buona e sana Dieta Mediterranea. In virtù dei suddetti aspetti benefici, Nectàrea punta ad essere venduto in erboristeria, nei negozi di cosmetica e persino nelle farmacie, oltre naturalmente ad occupare una posizione di rilievo e di prestigio sugli scaffali di raffinate gastronomie e negozi di gourmet. E non sono nemmeno esclusi i ristoranti di livello che, facendo trovare Nectarea sul tavolo, offriranno ai propri clienti un suggello di qualità. Nectarea inoltre ha un occhio di riguardo verso la sostenibilità in quanto sia le fasi di produzione del contenuto che la qualità e le materie del contenitore (acciaio inox e legno) sono tutte attuate nel più rigoroso rispetto della sostenibilità ambientale, attraverso pratiche agronomiche sostenibili e che prevedono il minor impatto possibile. E anche un occhio di attenzione nei confronti della solidarietà e della ricerca, visto che per ogni confezione venduta saranno devoluti 0,25 euro ad una onlus di sostegno ai più bisognosi e 0,25 euro ad un’organizzazione di ricerca scientifica nel campo della salute.
Una curiosità? Nectarea è realizzato con olive provenienti dalle stesse campagne (in agro di Vernole/Lecce) in cui è posizionato l’albero d’ulivo monumentale e millenario “La Regina”, assegnato e “donato” l’anno scorso alla First Lady degli Stati Uniti Michelle Obama quale riconoscimento per il suo impegno profuso in America con la campagna “Let’s move!” a favore della Dieta Mediterranea e di uno stile di vita e nutrizionale più oculato e più sano.Nectarea è ideato e commercializzato dal gruppo di promozione della “Dieta Med-Italiana” ed è prodotto presso la Cooperativa Sant’Anna di Vernole (Le).
Gli oli definiti vergini o extravergini, sono il prodotto che si ricava direttamente dal frutto, botanicamente definito drupa, dell’albero dell’Olea europea varietà Sativa. Un albero importantissimo, sicuramente il più famoso e pregno di simbolismi.
La sua origine si perde nella notte dei tempi, secondo Callimaco, poeta greco del III sec a.C. , quest’albero sarebbe stato creato da Pallade Atena, dea greca della guerra e della sapienza, in seguito ad una disputa sorta tra lei e il dio del mare Poseidone, per dimostrare ai Greci il suo lato pacifico. La dea, avrebbe quindi donato agli uomini questa pianta, come simbolo di pace e di prosperità. L’olivo viene menzionato anche nelle Sacre Scritture, come sinonimo di sapienza, bellezza, rettitudine ed era sempre d’ulivo il ramoscello che la colomba portò nel becco sull’Arca di Noè per annunciare la fine del biblico diluvio.
Tenuto, quindi, sin dall’antichità, in grande considerazione; è stato sempre coltivato con rispetto, amore e considerato oltre che emblema di pace, anche simbolo di vittoria, trionfo e onore, mentre il suo olio, simbolo pressoché universale di purificazione. A dispetto di cotanta importanza, non si sa invece in quale precisa zona la sua coltura abbia avuto origine, anche se gli studi più accredidati propendono per l’altopiano iranico, quando il suo clima, notevolmente differente da quello odierno, ne faceva un habitat ideale per questo tipo di pianta. Da qui sarebbe arrivato nella zona compresa tra Cirenaica ed Egitto per diffondersi in tutto il bacino del Mediterraneo.
Alla coltura dell’olivo si dedicarono soprattutto gli abitanti dell’Asia minore e i Greci, questi ultimi, come asserito da Plinio e Teofrasto, avevano già catalogato una decina di cultivar, gli stessi eressero l’olio, insieme al grano e al vino a caposaldo di quel modello alimentare che dopo aver contaminato ed essersi imposto nelle usanze degli abitanti delle sponde del grande lago salato, avrebbe preso il nome di dieta mediterranea. Alla sua diffusione contribuirono oltre che gli stessi Greci, i Fenici che lo esportarono nelle terre toccate nei loro tentativi di colonizzazione, quindi i Cartaginesi che lo diffusero in Nordafrica, Sicilia, Spagna e infine i Romani, che razionalizzarono la coltivazione e organizzarono avanzati sistemi di ammasso, trasporto e distribuzione dell’olio. Secondo Plutarco, i soli possedimenti africani di Roma fruttarono allo stato tre milioni di litri d’olio, ne sono testimonianza le migliaia di relitti carichi di anfore onerarie riportanti sovente impressi sulle anse i sigilli dei commercianti dell’epoca.
Per quanto riguarda la Puglia e il Salento, i Romani raccolsero il testimone dai coloni greci e lo estensivizzarono facendo anche ampio ricorso al lavoro schiavile, ma con la caduta dell’Impero seguirono secoli d’abbandono sino a quando grazie ai bizantini e in particolare all’opera dei monaci basiliani intorno al IX-X sec. d.C. , se furono ricostituite vaste estensioni olivetate. Il metodo escogitato dai basiliani per la costituzione di questi oliveti era ingegnoso quanto funzionale, consisteva nell’addomesticare con abili operazioni d’innesto gli olivastri spontanei naturalmente presenti nelle foreste primigenie di leccio (al tempo ancora largamente presenti) e nelle macchie mediterranee eliminando al contempo le altre essenze selvatiche. Queste piante, già fornite di un robusto apparato radicale una volta liberate dalle competitrici s’irrobustivano a vista d’occhio andando a formare nell’arco di qualche decennio rigogliosi e produttivi oliveti. Grande sviluppo si ebbe in seguito, grazie alla costruzione delle torri costiere che alleviando il problema delle razzie saracene, permisero la costituzione delle chiusure o chisure (ovvero dei caratteristici oliveti salentini recintati da muri a secco), anche lungo la costa, come tanti oliveti secolari, sovente coevi alla costruzione delle torri costiere e delle tante masserie fortificate, tuttora testimoniano.
Nel Settecento, quella dell’olivo era già la coltura più diffusa e il commercio dell’olio fiorente, anche se si trattava in massima parte di olio lampante che partendo dal porto di Gallipoli, ma anche da quello di Brindisi e Otranto, su bastimenti carichi di botti, andava ad illuminare le città di mezza Europa. È in questo periodo che grazie al reinvestimento di parte dei cospicui guadagni, cominciano ad essere impiantate grandi estensioni di oliveti a sesto regolare, generalmente a quinconce (rispolverando l’antico schema della quinconce romana) facendo ricorso a giovani piante prodotte in appositi vivai o a giovani olivastri prelevati in natura da innestare una volta ben attecchiti o ancora ai colmoni, alberi adulti capitozzati, ottenuti dal diradamento di altri oliveti appositamente impiantati più fitti, con quel sistema che più tardi sarebbe stato definito a sesto dinamico.
E’ in questo periodo che si inseriscono gli studi agronomici di Giovan Battista Gagliardo (1758- 1826), di Cosimo Moschettini (1747- 1820) e del poliedrico erudito gallipolino Giovanni Presta (1720–1797), in particolare quest’ultimo, con un inedito ed encomiabile approccio scientifico compì una serie di sperimentazioni sulla coltivazione degli olivie la produzione dell’olio, offerti a pubblico vantaggio con l’esauriente libro: Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio, pubblicato a Napoli nel 1794, un titolo esplicito per un testo tuttora estremamente valido. Interessantissimi i risultati della sperimentazione da questi eseguita sulla qualità dell’olio in relazione al grado di maturazione, compiuta eseguendo a cadenza quindicinale delle moliture sperimentali dal 15 settembre al 31 marzo. Campioni d’olio, seguiti da una dotta relazione, furono inviati dallo stesso a Caterina II di Russia e al re di Napoli Ferdinando IV. Un’altra sperimentazione riguardò le cultivar, onde valutare quali fossero le cultivar d’olivo più valide dal punto di vista qualitativo per il territorio salentino, anche queste compiute con estremo rigore scientifico, portarono lo stesso a constatare la superiorità delle cultivar autoctone, Cellina di Nardò e Ogliarola Leccese.
In effetti, come otto milioni d’ulivi secolari testimoniano, queste risultano tuttora le uniche varietà, che sfuggendo più delle altre agli insulti della mosca delle olive(Dacus oleae) danno un olio eccellente, pur se coltivate in modo estensivo e senza alcuno o con limitatissimi interventi fitosanitari.
Un insegnamento dimenticato o presuntuosamente ignorato negli ultimi decenni e che ha portato all’impianto di migliaia di ettari di nuovi oliveti costituiti da varietà alloctone: Leccino, Frantoio, Coratina… varietà che oltre a non migliorare la qualità dell’olio Salentino, necessitano dell’irrigazione e devono essere sottoposte a puntuali trattamenti fitosanitari con maggiori costi economici ed ambientali, ma che, soprattutto, hanno reso difficile se non inattuabile, una quanto mai necessaria caratterizzazione sensoriale dell’olio salentino.
L’albero dell’Ogliarola si presenta assurgente con foglie lanceolate allungate e drupe piccole, allungate, con nocciolo fragile e di buona resa che producono un olio, con lievi riflessi verdolini, dolce, delicatamente fruttato con note tipicamente mandorlate. L’albero della Cellina, nota localmente pure con i sinonimi di Saracina, Scurranisa, Cafareddha, Casciola… è rustico, molto resistente e con il tempo, se il terreno lo permette può raggiungere dimensioni davvero monumentali; le foglie sono corte e la drupa è piccola, pruinosa con nocciolo duro. Se ne ricava un olio dapprima molto sapido e corposo, ma che si affina nel giro di qualche mese divenendo molto più delicato, limpido e con un’inconfondibile bellissima colorazione giallo oro.
Sia che si tratti di olio dell’una e dell’altra cultivar, sia, come molto comunemente avviene, che si tratti di un blend fra gli stessi, si tratta di oli sani come pochi, per la pressoché totale assenza di trattamenti fitosanitari sugli oliveti e quindi di pericolosi residui negli oli. Inoltre, risultano organoletticamente piacevoli, delicati e con la non comune caratteristica di rispettare il sapore dei cibi che vi si accostano caratteristica che li rende apprezzatissimi dai cuochi.
Risultano inoltre ricchi di principi salutari e di antiossidanti e se ciò non bastasse, hanno il più conveniente rapporto qualità prezzo, un motivo in più per preferire, ove possibile, ad ogni altro grasso un olio extravergine d’oliva che, ricordiamo, è uno degli elementi base della Dieta Mediterranea, il modello nutrizionale fondato sul consumo di prodotti freschi e pochi grassi di origine animale. Se mai ce ne fosse bisogno, e vista la proliferazione di grassi e oli spacciati per più leggeri e salutari, ma di più che sospetta dannosità, ricordiamo, che non esiste un olio più leggero di un altro, attestandosi il contenuto calorico per tutti gli oli in nove calorie per grammo.
L’olio extravergine d’oliva, in compenso, ha moltissime qualità nutrizionali che ne raccomandano l’uso alimentare, unendo gusto e attenzione alla salute.
Il particolare equilibrio nella composizione degli acidi grassi, il contenuto di vitamina E, di provitamina A e di antiossidanti ad effetto protettivo sulla salute lo rendono infatti il grasso più idoneo ad una dieta lipidica equilibrata. La composizione è caratterizzata dalla prevalenza di un acido grasso monoinsaturo (acido oleico) piuttosto stabile alla conservazione e alla cottura e da un perfetto equilibrio di acidi grassi polinsaturi.
Perciò l’olio extravergine aiuta a tenere sotto controllo il livello di colesterolo nel sangue (aumentando quello buono e facendo abbassare quello cattivo) e la formazione di radicali liberi.
Inoltre, l’olio d’oliva protegge le mucose riducendo il rischio di ulcere gastriche e duodenali e svolge un ruolo protettivo contro l’insorgenza di numerose patologie come il diabete, l’arteriosclerosi, l’ipertensione e alcuni tumori. Benefici che non si limitano al suo uso crudo, ma restano anche con la cottura. Anzi, in alcuni casi, abbinato a determinati prodotti, l’extravergine scaldato migliora le sue prestazioni. Studi scientifici dimostrano infatti che la sinergia tra olio e pomodoro dal punto di vista nutrizionale è rafforzata dalla cottura, con la quale aumentano l’attività antiossidante e la biodisponibilità delle sostanze benefiche dei due elementi.
Capucanale ti lu trappitaru
Si tratta di un’antica usanza ancora in auge in alcuni paesi del Salento, che consiste in dei pasti propiziatori, consumati ancora oggi nei frantoi, fra diversi attori: i proprietari del trappeto, il nachiro, i trappitari e i conferitori delle olive, per propiziare appunto una buona campagna olivicola. Il pasto si tiene tradizionalmente nei frantoi, come quando i lavoratori non uscivano dal tappeto per tutti i mesi necessari alla lavorazione delle olive. Le portate consistono in primis in una caldaia di verdure miste lessate: cicorie, cime di rape, mugnuli, scarole, bietole. Si pone nella cosiddetta limba ti lu trappitu (un’enorme conca di terra cotta smaltata), del pane spezzato rigorosamente con le mani, si adagiano sopra le verdure lessate, si allaga il tutto d’olio appena spremuto, si rivolta il tutto e si mangia con le mani, non prima di essersele per così dire disinfettate strofinandole con le nozze, che sarebbero le lastre di sansa appena estratta dai fiscoli. Seguono i legumi, in genere: fave, fagioli e piselli secchi, questi vengono cotti separatamente nelle pignatte, quindi si cominciavano a versare nella conca le fave e si schiacciano con l’apposito stumpaturu ( grosso pestello di legno), poi i piselli e si stompano anche questi, infine i fagioli, una volta stompato ed amalgamato il tutto, si mescola diligentemente il tutto incorporando il pane sempre spezzato con le mani e allagando naturalmente il tutto con l’olio nuovo, si mangia con le mani intingendo tutti direttamente nella conca. Seguono le pittule, tanto semplici, quanto farcite e si completa con i sobbrataula (fine pasto): noci, sedani, cicorie, finocchi, olive mature o conciate.
Indovinello salentino: “Autu, autu e lu miu palazzu, erde suntu e niura me fazzu, casciu anterra e nnu me scrafazzu, au alla chesa e luce fazzu”.
Asciula, cafareddhra, mureddrha, saracina, cilina nchiastra, licitima, fimmina e masculara, cillina te Lecce, te Nardò o te Scurranu sono solo alcuni dei sinonimi utilizzati per indicare o meglio identificare la tipica oliva coltivata nel Salento.
Di essa non si sa con esattezza per opera di quale popolo sia iniziata la sua diffusione; sarà sicuramente un affascinante racconto dissolto tra secoli di memoria e segrete leggende. Di certo c’è invece, che il valore attribuito alla coltivazione di questa varietà che oggi classifichiamo come Cellina di Nardò, è equivalente all’empatico desiderio di proteggerla. Si accendono i riflettori su questo albero.
In un modo o nell’altro il principio dell’estrazione del suo olio (uegghiu) pare sia quasi simile a quella di un tempo ma le caratteristiche fisiologiche del suo frutto non sono affatto cambiate.
Le sue drupe (ulie) riunite fitte sui rami vigorosi e assurgenti (inchi e calaturi) sono piccole ellissi, come visi bruni, in pietosa attesa di ruzzolare per essere poi raccolte e frantumate (rispicu e macinatura). L’operosità della sua raccolta scandisce due stagioni di tradizionale raccolta su quasi 60.000 ettari di meridione pugliese dove si aggira. Ogni visitatore che abbia varcato la soglia messapica ha ammirato la sua imponente meraviglia e qualcuno poi, ha chiesto addirittura di promuoverlo come patrimonio dell’umanità.
Da sempre, questa varietà, è presente nella storia dei salentini, nei loro riti, nella vita di ogni giorno e a volte ci si può meravigliare come dai suoi tronchi curvi e corrucciati (rape sturtigghiate) riescano a ricavarne un essenza così morbida e armonica al palato. L’intensità di retrogusti piacevoli di amaro e un po’piccante (pizzica alli cannaliri) con evidenti percezioni di mandorla, di pomodoro o di erba fresca sarebbero i suoi migliori requisiti.
Qualità inaspettate dall’olivo trasmesse da millenni, incantano le nostre abitudini, specialmente quando si parla di chimica che non troviamo solo nel suo olio, non di quella sintetica per intenderci, ma di quella che riguarda le sostanze naturalmente contenute nelle sue cellule.
Cellule ricche di oleuropeina, droga amara, contenuta nelle sue cellule, e di un cospicuo elenco di acidi, chinoni, flavoni, glucosidi, enzimi, tannini, zuccheri, oli essenziali e antiossidanti di natura non identificata.
Ma come ogni alimento, senza fare discriminazioni farmacologiche, il suo olio extravergine di oliva è conosciuto da sempre per le sue proprietà, per la sua composizione in acidi grassi come l’acido oleico, linoleico, linolenico e di quella benamate antiossidante e protettive vitamina.
Chi l’avrebbe mai detto che da una piccola drupa dall’insolito nome orientale potessero scaturire tante ricerche? Se ne parla da anni! Pare che l’olio estratto (10-17%) contenuto nel suo frutto aiutasse quindi a vivere meglio.
Ma come identificare la vera qualità di un olio d’oliva? Non è il caso di quantificare un valore nutrizionale di un olio mal conservato o immoralmente prodotto.
L’albero d’olivo è sacro come il suo olio, il suo produttore e la sua terra. Allora perché questa pianta così decantata diventa spesso un indistinto oggetto alla mercé di un agricoltura intensiva?
Alberi come schiavi, forzati a vegetare e produrre in fretta, drupe avvelenate da insetticidi, radici bruciate da diserbanti per semplificare la raccolta. Dovremmo chiederci spesso che fine fanno le volpi e gli uccelli che si rintanano tra i sui vetusti tronchi “benedetti”.
Può questo atteggiamento essere un incivile trasgressione per sciagurati o insani principi? Soprattutto, può questo alimento pregiato diventare mezzo di sostanze sicuramente dannose per la nostra salute? L’agricoltura salentina non sa più che olio vendere; su di essa si riabbassa la scure dei prezzi, il lavoro non si ripaga e l’albero s’abbandona. Allora, solo favorendo il consumo dell’olio da Cellina di Nardò con un scelta sana e consapevole che il Salento può ritrovare la ruralità del suo volto e a maggior ragione, prima di ogni sciagurata decisione, il diritto di ammirarne la sua bellezza.
Perché l’olivo di cultivar “coratina” nel Salento leccese produce due anni e al terzo anno non da frutto?
di Antonio Bruno
Nel Salento leccese l’olivo dilaga, è presente prepotentemente e caratterizza il Paesaggio rurale costituendo un vero e proprio patrimonio.
E’ ormai noto che è opportuno legare la produzione al territorio per valorizzarla in termini di tipicità che da maggiore identità all’olio e che lo caratterizza. E tutti siamo al corrente che le varietà che nel corso dei secoli si sono affermate nel Salento leccese sono la Cellina di Nardò e l’Ogliarola di Lecce.
La cultivar di olivo più famosa è la Coratina
L’Unaprol (Unione nazionale dei produttori olivicoli) ha rilevato attraverso un’Analisi del 2008 che in ambito nazionale la cultivar che le aziende olivicole intervistate hanno dichiarato con la maggiore frequenza è la “coratina”, che ha totalizzato il 16% di citazioni.
Nel Salento leccese i primi alberi di Coratina negli anni 80
Questa indagine trova riscontro nel Salento leccese in cui alcuni produttori negli anni 80 hanno impiantato alberi di olivo di cultivar Coratina suggestionati dalla “fama” dell’olio ottenuto da queste olive. E ancora oggi vi è chi impianta alberi di questa cultivar.
L’alternanza di produzione della coratina nel Salento leccese
Ma come dice il mio Direttore Generale Vincenzo Provenzano “Non c’è rosa senza spine” e dopo circa 30 anni di esperienza dei pionieri che impiantarono negli anni 80 gli alberi di Coratina nel Salento leccese si è giunti alla conclusione che la Coratina in questo territorio presenta una alternanza di produzione che con le normali pratiche agricole della nostra zona non risulta superabile.
Ma cos’è l’alternanza di produzione?
E’un fenomeno che caratterizza in modo rilevante l’olivo in quanto annate molto produttive (anni di carica) sono seguite da altre poco produttive (anni di scarica).
Per quali motivi si verifica?
Questa tendenza è da attribuire, più che alle condizioni climatiche dell’annata, allo stato di nutrizione conseguito nelle annate precedenti, il quale influenza la produzione di ogni pianta. Le cause dell’alternanza sono complesse in quanto concorrono diversi fattori tra cui: condizioni climatiche sfavorevoli, potature e concimazioni errate, vigoria della pianta, carenze idriche, attacchi parassitari, raccolta delle olive troppo ritardata e la predisposizione della cultivar, nonché l’età dell’albero (le piante giovani sono più recettive all’alternanza di quelle adulte).
Nell’areale di diffusione gli olivicoltori sono riusciti ad avere dagli alberi di coratina una moderata alternanza di produzione. Per questo motivo è bene riportare le caratteristiche di questo albero da ciò che si è osservato nel suo areale di diffusione.
Come viene coltivato l’olivo di varietà Coratina nel suo areale di diffusione
Principali sinonimi: «Cima di Corato», «Racioppo di Corato».
Areale di diffusione: tra il sud-est della provincia di Foggia ed il nord-ovest della provincia di Bari, nei territori di Andria, Barletta, Bisceglie (parte), Canosa, Cerignola, Corato, Minervino Murge, Molfetta (parte), Ruvo di Puglia (parte), San Ferdinando, Trani, Trinitapoli.
Superficie approssimativa: 60.000 ha.
Tendenza: stazionaria.
Giacitura prevalente: pianeggiante o leggermente ondulata.
Tipi prevalenti di suolo: calcare da medio ad elevato, falda assente, profondità variabile, naturalmente ben drenati, struttura da fine a media, scheletro da assente a medio, fertilità media, poggianti su sottosuolo sabbioso del Pleistocene.
Precipitazioni annue: 500-600 mm.
Portamento dell’albero: tra assurgente ad espanso.
Angolo d’inserzione delle branche primarie: regolare.
Chioma: mediamente densa, isodiametrica.
Sesti d’impianto: regolari e normali (7-9 m).
Densità di piantagione: 150-220 alberi per ettaro.
Altezza dell’albero: 3-4 m.
Turno di potatura: annuale.
Alternanza di produzione: moderata.
Modalità di raccolta prevalenti: manuale (brucatura) e meccanica (vibratori).
Caratteri distintivi della coltivazione nell’areale di diffusione: potatura accurata e molto ben bilanciata. Grazie al moderato vigore, indotto anche da un ambiente non eccessivamente fertile, gli alberi presentano sviluppo in genere ridotto, rendendo l’esecuzione delle operazioni di potatura e raccolta meno drammatica rispetto ad altre forme. Tra quelle illustrate è la forma d’allevamento che più si adatta concettualmente ai canoni di una moderna olivicoltura.
La Coratina ad Andria
Caratteristica dell’allevamento della cultivar «Coratina». in irriguo, in agro di Cerignola; in asciutto, in agro di Andria.
Con oltre 17.000 ettari di uliveti, 2.000.000 di alberi che producono la pregiata varietà d’oliva Coratina, 50 frantoi e numerose aziende imbottigliatrici, Andria rappresenta da sola il 3,5% della produzione di olio extravergine d’oliva di tutta Italia. I suoi frantoi ricavano 150.000 quintali di olio, quanto la produzione dell’intera Toscana. A tanta quantità corrisponde una qualità di livello superiore. La raccolta delle olive inizia ad autunno inoltrato quando sono mature ma ancora verdi e viene condotta con il sistema della brucatura a mano. Questo consente di ottenere un olio a bassissima acidità e resistente all’ossidazione, dal colore giallo con vividi riflessi smeraldini, estremamente fragrante con un piacevole retrogusto amarognolo e leggermente pizzichino.
La Coratina a Carpignano Salentino
Mi sono recato a Carpignano Salentino presso l’Azienda Carmine Sicuro che ha 350 alberi di Olivo cultivar Coratina. L’oliveto è irrigato con turni di irrigazione ogni 10 giorni. Concimazione: Azoto a Base Organica con microelementi per via foliare. Azoto a base organica ovvero a base di amminoacidi a basso e medio peso molecolare derivanti dall’ idrolisi di sostanze proteiche di origine animale. Non si può definirlo come un generico “ concime azotato ” perché di fatto è una miscela naturale e stabile di strutture complesse ( peptidi, peptoni, amminoacidi ) che sono alla base di complesse funzioni fitoregolatrici del metabolismo delle piante. Sono eccellenti veicolanti organici, da aggiungere al momento di qualsiasi concimazione, in quanto hanno effetti di tipo chelante-complessante nei confronti di tutti gli elementi.
Lotta integrata a cura dei Dottori Agronomi del CODILE (Consorzio di Difesa delle Produzioni Intensive della Provincia di Lecce)
La lotta integrata è riconosciuta e regolamentata dall’Unione Europea, la lotta integrata è un metodo di coltivazione mista, che cioè utilizza sia la chimica che i metodi naturali di difesa dai parassiti.
Potatura: Una potatura leggera ogni 6 anni
Alternanza di produzione: L’oliveto produce due anni e poi per un anno non da alcuna produzione
Raccolta: A Novembre con l’ausilio dello scuotitore raccolgono il 30 – 40 % delle olive.
Caratteri distintivi della coltivazione nell’areale di Carpignano Salentino: la potatura viene effettuata solo ogni sei anni e la raccolta non è anticipata per tutto il prodotto
Le tecniche per attenuare l’Alternanza di produzione dell’olivo
Per attenuare questo fenomeno è indispensabile mantenere il giusto equilibrio tra attività vegetativa e produttiva della pianta, il quale può essere garantito praticando varie operazioni colturali tra cui una razionale concimazione ed irrigazione, una potatura da effettuare ogni anno adeguando la fruttificazione alla vegetazione della pianta, una regolare lotta antiparassitaria (soprattutto contro la mosca dell’olivo) ed una raccolta anticipata.
La risposta alla domanda “Perché l’olivo di cultivar coratina solo nel Salento leccese presenta una forte alternanza di produzione” è la seguente:
Perché al contrario di quanto si fa nell’ordinario nell’areale di produzione invece di effettuare una potatura accurata e molto ben bilanciata ogni anno si preferisce intervenire ogni 6 anni e perché si raccoglie anticipatamente solo il 30 – 40 % delle olive invece di praticare la raccolta anticipata per tutto il prodotto.
Conclusioni
Se si applicasse una corretta tecnica di gestione la cultivar di olivo “coratina” darebbe produzioni di 40 – 80 chili di olive per pianta e considerando una media di 60 chili di olive per pianta e una densità d’impianto di 200 piante per ettaro si avrebbe una produzione dai 120 ai 150 quintali di olive per ettaro.
Considerando che l’Azienda Sicuro ha venduto le olive di coratina a 45 euro al quintale e che queste olive sono molto richieste dal mercato si avrebbe una resa per ettaro annuale di circa 7.000 euro per ettaro.
Ma quali i costi?
Qualcuno potrebbe farmi l’obiezione che tale reddito ha per contro dei costi annuali per potatura e raccolta diversi da quelli che si hanno con la tecnica adottata oggi nel Salento leccese. Ma quali sono questi costi? Vediamoli insieme:
Voce di Costo Euro per ettaro all’anno
Irrigazione, Concimazione 250
Trattamenti fitosanitari 250
Potatura (100 ore per ettaro e operaio a euro all’ora) 1000
Frangitura (5 Euro al quintale) Le maggiorazioni di costo
E’ evidente che dai conti fatti la spesa in più è quella di 1000 euro per ettaro per la potatura e di 600 euro in più per la raccolta. In due anni si spendono in più 3mila euro ma in compenso si ha la produzione di olive nel terzo anno che compensa abbondantemente tale maggiore spesa.
Bibliografia
A GODINI – F. CONTÒ, L’Olivicoltura marginale in Puglia
Alberto Grimelli, ANNO DI CARICA, ANNO DI SCARICA
UNAPROL, FILIERA OLIVICOLA ANALISI STRUTTURALE E MONITORAGGIO DI UN CAMPIONE DI IMPRESE
Alberto Grimelli, Intensivo contro superintensivo. Facciamo un po’ di conti
Il Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali dell’Università degli studi di Perugia guidato dal prof. Franco Famiani ha condotto numerose prove per valutare gli effetti della cultivar, epoca di raccolta, intensità di potatura e carico produttivo sull’efficienza delle diverse macchine agevolatrici della raccolta delle olive disponibili sul mercato.
Cosa sono le macchine agevolatrici della raccolta delle olive?
Le agevolatrici sono macchine raccoglitrici dotate di semplici dispositivi, quali pettini vibranti o ganci oscillanti, azionati da compressori o direttamente da piccoli motori a scoppio, che vengono posizionati all’interno della chioma e provocano il distacco delle olive per bacchiatura o per le oscillazioni indotte nei rametti. Queste attrezzature sono diffuse in zone dove non è economicamente conveniente investire nell’acquisto di grosse macchine o dove le condizioni colturali non sono adatte all’impiego di macchine complesse (Famiani et al., 1998).
Il tempo necessario per ottenere il distacco delle olive
Tutte le prove danno come risultato la quantità di olive raccolte in un ora da un operatore e è necessario precisare che questo conteggio ha preso in considerazione soltanto la fase di distacco delle olive dall’albero.
Questo significa che siccome per qualsiasi macchina è necessario un cantiere per la stesura e spostamento dei teli e poi per il recupero delle olive dai teli stessi e che tali tempi sono identici per tutte le macchine agevolatrici l’unico
Il territorio pugliese è la regione italiana con il più rilevante patrimonio olivicolo. Oltre 350.000 ettari di superficie agricola sono coltivati ad ulivo (pari al 25% della superficie agricola utile regionale); di tale estensione, il Salento leccese conserva circa 84.000 ettari di oliveti, pari a circa 10 milioni di piante. Il 30% di queste piante sono piante di età ultrasecolare.
Alberi plurimillenari, quindi, delimitati nella penisola salentina, tra preistorici muretti a secco, dolmen e menhir, “paiare” (tipo di trulli). Queste bellezze uniche si possono ammirare, infatti, in ogni angolo del suo territorio: dalla Grecia salentina, all’otrantino, dal Parco del Negroamaro al Capo Leuca.
I titoli varietali di Cellina di Nardò e Ogliarola leccese la dicono lunga sulla loro origine; ancor di più la caratterizzano gli appellativi popolari che a secondo del modello delle loro produzioni vegetative e fruttifere, denominandoli come :“saracina, morella, cafarella, cascia, nardò, termitara, scisciula, scuranese”.
Tra di essi decine di migliaia di alberi sparsi, tra cui spiccano epiteti d’eccezione per il loro regale portamento, scultura o grandezza:”albero del pastore”, “lu gigante”, “lu barone”, “la baronessa”.
La loro longevità è di totale importanza se si considera la loro resistenta genetica a varcare indenni ere di ostilità (atmosferiche, cambiamenti climatici, interessi dell’uomo).
Oggi sono il patrimonio e l’identità connaturata dei pugliesi; essi rappresentano la qualità ambientale più vera, un riferimento turistico, paesaggistico e storica da custodire.
L’Unesco ha riconosciuto che in Puglia l’albero d’ulivo monumentale è il “Patrimonio dell’Umanità”.
La Regione Puglia applica, con l’art. 30 della L.R. n° 14 del31-05-2001, la “Tutela paesaggistica degli alberi”, ed ha previsto la costituzione di un albo di
L’olio del Salento protegge dal cancro e dall’infarto
di Antonio Bruno
I polifenoli sono molecole antiossidanti, hanno la capacità o l’abilità di catturare e quindi bloccare i RADICALI LIBERI, chiamati anche “teppisti cellulari” per la loro capacità di attaccare il DNA (provocando le mutazioni genetiche) e i grassi polinsaturi (compreso il colesterolo LDL “cattivo”, che in tal modo genera l’aterosclerosi) e l’olio del Salento leccese è ricchissimo di questa sostanza sconosciuta a tutti. In questa nota i motivi che devono informarci nel consumo dell’olio d’oliva del Salento leccese.
Una telefonata da un amico, dobbiamo parlare di lavoro e lui è in campagna. Mi da appuntamento sulla San Pietro in Lama (Le) – Lecce al distributore di benzina. Ci vado e lui arriva con i suoi due figli, mi saluta e insieme andiamo in azienda.
I proprietari abitano in azienda e hanno circa 500 alberi di olivo di 20 anni circa, le varietà sono equamente divise tra leccino, cellina (saracena) e oliarola leccese. Quell’uomo e quella donna che vivono in questo pezzetto di Paesaggio rurale non fanno raccogliere, da quando l’hanno acquistato, tutte le olive, non gli conviene, ecco perché hanno chiamato una squadra di raccolta che in 6 ore hanno messo nelle cassette 20 quintali di olive circa raccolte da ottanta alberi. Avevano raccontato che gli altri anni avevano fatto raccogliere le olive dagli alberi di leccino, quest’anno invece avevano optato per una raccolta dagli alberi di cellina (saracena) e oliarola leccese.
La produzione media degli ottanta alberi è stata di 25 chili ad albero.
Il frantoio mobile noleggiato ha la capacità lavorativa di un quintale di olive ad ora e quindi sono state necessarie 20 ore di lavorazione per molire le olive. Dalla molitura si sono ottenuti 2,5 quintali di olio extra vergine con una resa del 12,5%.
Un dato caratterizzante della olivicoltura del Salento leccese è l’estensione colturale media che è inferiore ai 2 ettari per circa l’ 80% delle aziende con circa il 40% inferiori ad 1 ettaro ed è per questo che l’utilizzo della raccolta meccanizzata è la soluzione che le squadre di raccolta stanno adottando.
La squadra chiamata per raccogliere le olive di questa azienda dispone di un trattore con un compressore e tre pettini con asta telescopica. Il compressore permette di utilizzare i sistemi pneumatici di potatura. Gli agevolatori portati dall’operatore permettono di non utilizzare le scale per raccogliere il prodotto in alto e risultano pienamente compatibili con il criterio di limitare l’altezza delle piante ai 4 metri. Vincoli sulla sicurezza hanno costretto all’abbandono delle scale con il raccoglitore a terra. La squadra che ha lavorato sei ore ha avuto un corrispettivo fatturato di 400 Euro.
Le olive sono state riposte in delle cassette e portate davanti al frantoio mobile disposto davanti al portico dell’abitazione. L’operatore prima di mettere nella tramoggia le olive raccolte provvede alla defogliazione, le olive vengono poi sottoposte in automatico al lavaggio, molitura, gramolazione e quindi alla separazione e al filtraggio. Alla fine si è ottenuto un prodotto che ha stupito il produttore. Infatti avendo negli anni precedenti molito le olive della varietà leccino, che è meno ricca di polifenoli, sostanze che sono tra i componenti più preziosi dell’olio vergine di oliva, si era abituato a un gusto meno amaro dell’olio! Ma c’è da ricordare che l’unico fra i grassi vegetali a essere ricco di polifenoli è l’olio di oliva vergine! Quindi c’è una certezza di provenienza se ci sono i polifenoli, infatti in quel caso è un olio d’oliva vergine o extra. I polifenoli determinano il caratteristico aroma fruttato e il gusto piccante e amaro, e nello stesso tempo, siccome sono dotati di un elevato potere antiossidante, sono un vero e proprio alimento funzionale.
Ma questa capacità antiossidante totale dei poilifenoli che cos’è?
Perché è meglio abbandonare il consumo dell’olio delicato per usare esclusivamente l’olio vergine piccante perché ricco di polifenoli?
Siccome i polifenoli sono molecole antiossidanti, hanno la capacità o l’abilità di catturare e quindi bloccare i RADICALI LIBERI, chiamati anche “teppisti cellulari” per la loro capacità di attaccare il DNA (provocando le mutazioni genetiche) e i grassi polinsaturi (compreso il colesterolo colesterolo LDL”cattivo”, che in tal modo genera l’aterosclerosi).
Quell’olio di ieri è un farmaco venuto fuori dalla terra di un proprietario che invece vuole un prodotto che non gli fa bene o che, per dirla meglio, ha nel contenuto di grassi la sua particolarità. Il mio amico Angelo tentava di spiegare queste cose al proprietario insoddisfatto che non vuole abituare il suo gusto al piccante dei polifenoli che lo proteggerebbero dal cancro e dall’infarto, un proprietario che all’elisir di lunga vita che la sua terra gli dona, e per il quale non chiede in cambio nulla, preferisce il gusto morbido e piatto di un olio non meglio identificato e di provenienza non certa.
Questa è la situazione delle persone del Salento leccese che usano l’olio d’oliva. Uomini e donne di questo territorio non sanno cosa sia un olio genuino che fa strar bene, preferiscono quell’olio che non ha queste caratteristiche e che quindi, potrebbe essere un miscuglio, blend o melange di olii che non sono d’oliva perché l’unico tra i grassi vegetali ad avere i polifenoli è l’olio vergine d’oliva.
Io mi chiedo e chiedo a te che mi leggi come facciamo a fare gustare e apprezzare agli Umbri o ai Toscani che hanno un olio piatto e con pochi polifenoli il nostro olio che invece è ricco ed è un vero e proprio elisir di giovinezza se nemmeno noi del Salento leccese sappiamo cosa sia un olio buono e genuino in quanto quando ci danno l’olio proveniente dall’oliarola leccese o dalla cellina (saracena) senza taglio non riusciamo ad apprezzare il piccante dei polifenoli?
Né è pensabile che siano gli assaggiatori, quei pochi che imparano a distinguere i diversi olii, ad essere gli ambasciatori dell’olio del Salento leccese buono, piccante, saporito e genuino perché molto ricco di polifenoli.
Io, Angelo Amato e tanti altri mangiamo olio piccante ricco di polifenoli, olio del Salento leccese ottenuto dalle piante di oliarola leccese e di celline (saracene), olio genuino! Noi e tanti altri quando ci propongono un olio che non presenta il piccante dei polifenoli, facciamo un atto potentissimo: non l’acquistiamo!
Abbiamo un potere immenso! Acquistare un prodotto è il risultato di un successo di chi lo fabbrica, solo così chi non riesce più a vendere olio povero di polifenoli si metterà a produrre olio buono e genuino com’è l’olio del Salento leccese.
Si tratta di capire, di provare e di acquistare solo l’olio piccante perché così saremo sani, difesi dal cancro e dall’infarto frutto del consumo dei grassi senza i polifenoli.
Un’ultima annotazione circa i costi di produzione tra raccolta e trasformazione l’olio degli amici di San Pietro in Lama è venuto a costare 3 Euro, ora mi chiedo e vi chiedo: come fanno a vendere l’olio nella bottiglia negli Ipermercati a 2,5 Euro? Chieditelo anche tu.
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