di Paolo Vincenti
Marina Colucci è una giovane artista leccese, forse non ancora conosciuta quanto meriterebbe. Si occupa di grafica pubblicitaria ma è soprattutto una brava pittrice. Ha da poco esposto le sue opere nell’ex Convento dei Teatini, nell’ambito della rassegna organizzata dall’Associazione Artemista per “Itinerario rosa 2014”, dal 13 al 17 marzo. Notevole, fra le sue realizzazioni, il ciclo pittorico “china e acquerello”. Alcuni titoli: “Doppio fallo”, “Oltre i Segni”, “Locomotiva Lunare”, “La Festa” , “I Gondolieri”, “Fuga”. Un uso sapiente del colore, avvincente la policromia dell’insieme, poco o niente nero, molto verde, marrone,giallo, rosa, blu, rosso. Nella serie delle chine, molti e d’impatto i riferimenti sessuali mischiati ai rimandi astratti delle opere. Un trionfo di luna e stelle, capitelli dalla forma fallica, fiorellini che sembrano coriandoli e fili che si intrecciano a formare gusci di lumache, si confondono insieme, come in “Gaudium Magnum” . Si avverte un bisogno di fuga dalla realtà, dal contingente, attraverso i voli pindarici della fantasia ( penso al quadro”Alla maniera di Pindaro”) , verso un’altra mèta, una destinazione diversa, un passaggio, anche attraverso la vagina, da una vita ad un’altra e, attraverso la stella cometa, ad un altro sistema solare, come in “ Passaggio da un luogo ad un altro”. Ma i suoi falli, i seni, le vagine, sono gioiosi ed anche un po’ giocosi, nessuna morbosità nella reiterazione degli organi sessuali , che rappresentano anzi un inno alla vita e alla libertà dei sensi, quella libertà che, sebbene eterea, aeriforme, impasta la pittura di Marina Colucci in un tutt’uno con la vita (“Libero pensiero” si intitola una di queste opere), conferendole una cifra di velato “maledettismo” che ne fa un’artista sicuramente sui generis, di questi tempi, e piuttosto dirompente . Una tematica dunque molto originale, almeno se sposata con la tecnica utilizzata. Le sfumature, poi, gli effetti cangianti del colore illanguidiscono le atmosfere di questi quadri, rendendole ancora più fiabesche, oniriche, evanescenti.
Un tripudio di festa e musica, gli acquerelli del ciclo “ Vivace orchestra”. Un altro ciclo pittorico degno di nota è quello degli olii e in particolare dei “Clowns”. Nelle loro raffigurazioni il viso è l’elemento centrale che balza all’attenzione dell’osservatore. Un viso molto enigmatico ed espressivo, solcato da rughe profonde cui fanno da contrasto il belletto ed il grosso naso finto tipici della maschera di tutti i clowns,quasi a rendere con drammatica evidenza la dicotomia profonda fra l’elemento artificiale (il trucco del pagliaccio) e quello reale (la loro faccia così umana). Questi pagliacci però vengono decontestualizzati e raffigurati in ambienti bucolici, fra i fiori e le frasche di una grande campagna dove, a giudicare dalla loro espressione divertita ma anche irriverente,sembra che essi si siano rifugiati dopo aver commesso qualche marachella per nascondersi al mondo e scampare all’implacabile punizione che la società moralista e bacchettona comminerà loro. Oppure questi pagliacci suonano degli strumenti musicali o fanno colazione bevendo un caffè e sempre la loro biacca con le sue crepe e i capelli bianchi a testimoniare meraviglia ma al tempo stesso disincanto. Questi clowns mi fanno pensare al film omonimo di Federico Fellini, un’opera nostalgica e commovente del grande regista italiano, datata 1971. E “felliniane” mi sentirei di definire anche queste pitture per l’uso delle ardite cromie e un certo barocchismo che l’autrice conferisce loro. Hanno la poesia della tristezza i pagliacci di Marina Colucci, e sebbene l’autrice, seguendo l’invito rivolto da Leoncavallo nella sua celebre opera lirica,li faccia ridere, o almeno sorridere (mentre dietro la maschera l’attore piange di dolore), è innegabile che essi rappresentino nell’immaginario collettivo una sorta di spauracchio in seguito a quelle visioni di efferatezza e malvagità che una certa filmografia horror ha contribuito a far loro ispirare. O forse questi pagliacci della Colucci sono così disperatamente infelici che non riescono nemmeno a piangere, come nelle “Opinioni di un clown” di Heinrich Boll.
Gli olii della Colucci sono esposti presso l’Hotel Belvedere di Torre dell’Orso mentre gli acquerelli, piccoli in confezione regalo, sono distribuiti nelle librerie e in vari punti vendita del Salento.
Nella sua produzione si ascrivono anche diversi disegni realizzati con varie tecniche, come matita, sanguigna e pennino con inchiostro di china, che impreziosiscono le copertine di libri e pubblicazioni di colleghi e amici artisti. Marina infatti vanta una lunga collaborazione con lo scrittore Mauro Ragosta e con il leccese Salotto Culturale Samà.
La cosa più difficile per un artista è guadagnare una propria cifra stilistica, quel quid che è personale e rende riconoscibili, arrivare insomma ad essere sé stessi. Credo che Marina Colucci sia sulla buona strada per arrivare ad essere Marina Colucci.