di Paolo Pisacane
Santa Maria al Bagno, frazione di Nardò, non è un grosso centro: d’inverno vi sono soltanto poche famiglie, ma d’estate è un rinomato luogo di villeggiatura.
Nauna al tempo dei Messapi; Portus Nauna per i Romani; abbazia di Sancta Maria de Balneo per i Basiliani, i Benedettini ed i Cavalieri Teutonici. E’ rinata nella seconda metà del 1800.
La spiaggia, anche se piccola, è ben riparata dai venti, specialmente dalla tramontana, mentre caldo è il clima dall’inizio della primavera ad autunno inoltrato. Non a caso i Romani circa duemila anni fa l’avevano scelta per costruirci le loro terme.
Il mare, di una trasparenza particolare, visto dalla collinetta denominata Croce, è di una bellezza quasi irreale con tutti i suoi colori che, a seconda del tempo o dei fondali, abbracciano tutte le sfumature dell’azzurro dal più scuro al più chiaro, per non parlare, poi, del colore purpureo che acquista, quando il sole è basso all’orizzonte.
Non è però solo la parte del mare visibile dall’esterno che è così meravigliosamente bello da guardare, ma, per chi ha la fortuna di poterne esplorare i fondali, resta abbagliato dai fantastici colori e dalle moltissime specie di pesci dalle forme più varie e più cromatiche. In questo scorcio meraviglioso la vita scorreva molto tranquilla, soprattutto a partire dagli inizi del ‘900… poi una notte, subito dopo le festività natalizie del 1943, arrivarono i profughi slavi e, dalla mattina dopo, tutto cambiò.
Tale territorio era stato scelto per ospitare un campo di accoglienza, in quanto vi erano molte abitazioni di villeggiatura e, quindi, non indispensabili per il domicilio dei proprietari. Moltissimi Slavi furono portati nella notte non solo a Santa Maria al Bagno, ma anche a Santa Caterina e alle Cenate, altre due amene località nel territorio di Nardò, mentre si andava definendo l’iter delle requisizioni delle abitazioni.
Scendevano dai camion ed occupavano le abitazioni, molte volte sfondando le porte e trovandovi, in qualche occasione, gli stessi proprietari. Il rumore dei camion, che andavano e venivano, e il vociare della gente non fecero dormire nessuno quella notte rimasta indelebile nella mente di chi la visse.
La vita per la gente di Santa Maria al Bagno cambiò subito: si stava meno in giro e i ragazzi non giocavano più in strada. Per la verità, non tutti erano ostili e alcuni di loro, specialmente chi conosceva un po’ di italiano, cercavano di socializzare con i residenti.
Di solito mangiavano cibi in scatola, che venivano loro dati dall’UNRRA, ma qualche volta mangiavano alla mensa che era stata ubicata nella villa Leuzzi, in piazza, dove dagli addetti alle cucine, quasi tutti di Santa Maria al Bagno, venivano preparati i pasti.
Poi, pian piano, dopo qualche mese incominciarono ad andare via; ne rimasero solo poche centinaia, quasi tutti Ebrei. Con loro rimasero tutti i soldati. Dopo pochi giorni, riprese il via vai di camion e automezzi vari, che trasportavano profughi, questa volta tutti ebrei. Il campo era aperto, cioè non aveva alcuna delimitazione e si estendeva da Santa Maria al Bagno a Santa Caterina e da queste, nell’entroterra, fino alle Cenate lungo l’asse della strada tarantina.
Era stato organizzato bene, ed i profughi, appena arrivati, venivano presi in consegna dai soldati inglesi, comandati da mister Herman, che era l’assistente di mister J.Bond comandante del Campo. Messi in fila, erano accompagnati da Paolino Pisacane, abitante del luogo, nominato “mayor” dal comando alleato, alle case messe loro a disposizione.
I nuovi arrivati sembravano molto diversi dai precedenti: nella maggior parte erano molto taciturni e tristi e spesso pensierosi e soli camminavano con gli occhi bassi. E non si riusciva ad immaginare il perché. Lo si sarebbe scoperto solo successivamente attraverso i loro racconti. Altra cosa che meraviglia molto era lo scarso numero di bambini e la quasi totale mancanza di vecchi e di famiglie complete. A Santa Maria al Bagno, ormai, c’era tanta gente come in estate.
C’erano molti soldati inglesi e americani, ma anche di altre nazionalità. Tutto funzionava come in una città e molti artigiani, anche dei paesi vicini, specialmente da Nardò, lavoravano nel Campo, come meccanici, falegnami, elettricisti, sarte, calzolai e muratori.
Ai profughi non mancava certo da mangiare. Gli inglesi, deputati alla gestione del campo, tramite gli aiuti americani, non facevano mancare loro la carne in scatola, il pane bianco, il cioccolato, il formaggio, il latte in polvere, e tutte le altre cose che la gente del luogo, qualche mese prima, poteva solo sognare. Anche i residenti beneficiarono di tanto bene di Dio, che veniva barattato con arance e limoni, di cui gli ebrei andavano alla ricerca.
Già alla fine del 1944, passato il periodo di diffidenza verso i nuovi venuti, tutti si erano resi conto che gli ebrei erano brave persone, tanto che dalla diffidenza si passò all’amicizia, specialmente tra i giovani, vincendo anche la difficoltà delle diverse lingue.
Continuamente sopraggiungevano profughi in un frequente avvicendarsi in base alle scelte di trasferimenti che gli stessi decidevano, in gran parte soddisfatte.
Nel Campo tutto scorreva tranquillo, quando, il 14 dicembre del 1944, si verificò un fatto grave. Qualche notte prima erano state rubate da un deposito dell’UNRRA alcune centinaia di coperte. Il responsabile del magazzino addossò la colpa agli abitanti di Santa Maria al Bagno per cui si pervenne alla decisione di far abbandonare il Campo a tutti gli italiani, compresi i residenti.
Questi ultimi fra sconforto e sgomento cominciarono a protestare finchè non intervennero il sindaco Roberto Vallone e il vescovo Gennaro Fenizia presso il comandante affinché non si desse attuazione alla determinazione.
Intanto era stato predisposto l’elenco delle famiglie che dovevano sloggiare dal Campo: erano 146 per un totale di 733 persone. Era un brutto Natale quello che stava per arrivare!
I capifamiglia si incontrarono di nascosto e decisero di non accettare l’ordine di abbandonare le proprie abitazioni. Infatti scesero in piazza e davanti alla sede del comando alleato protestarono. Il comandante, anche dopo aver sentito le ragioni dei dimostranti, non mutò la sua decisione, anzi fece schierare i soldati con le armi puntate. Ci furono pure degli spari in aria per disperdere la gente. Tuttavia la protesta non cessò.
Finalmente il 29 dicembre, quando ormai si disperava di trovare una soluzione, dopo un incontro tenutosi in Santa Maria al Bagno tra il comandantela Sub-Section N° 1 dell’A.C. Lt. Col. Oldfield, il capitano Fox ed il prefetto, sentito anche il vescovo che intanto aveva informato della situazionela Santa Sede, si comunicò al sindaco di Nardò che le famiglie stabilmente residenti potevano restare. Le altre, che occupavano le case solo per non farle requisire, dovevano andar via, anche perché continuamente giungevano profughi, soprattutto a partire dalla primavera del1945 a seguito della liberazione dai campi di sterminio e, in genere, della fine della guerra. Sul piano umano fu importante non allontanare i residenti, non solo perché non si impose loro la rinunzia alla propria abitazione, ma soprattutto perché questi poterono offrire concretamente solidarietà, tolleranza e collaborazione, facendo scoprire agli ebrei, da anni perseguitati e resi al disotto degli animali da braccare e uccidere, il senso della vita, il rispetto della dignità, la serenità della tolleranza e il gusto della libertà.
I nuovi venuti erano tutti Ebrei di nazionalità polacca, in prevalenza, ma anche greca, albanese, austriaca, macedone, rumena, russa, tedesca, slava e ungherese. Questi avevano anche un proprio corpo di polizia, composto da una quindicina di persone e comandato da un certo Elia, un ebreo di origine greca, molto bravo ed in ottimi rapporti con i residenti.
Nel Campo, la cui punta massima di ospiti fu di oltre 4 mila unità, vi era quanto necessario per ricordare ai profughi la propria religione e le proprie tradizioni, tra cui la sinagoga, allocata in un locale dell’attuale piazza Nardò, la mensa, il centro di preghiera per bambini e orfani, il kibbutz “Elia” nella vecchia masseria in località Mondonuovo e, infine, il municipio nella villa Personè (ora villa De Benedittis).
Erano assicurati tutti i complessi servizi necessari alla vita di una comunità di tali dimensioni, tra i quali l’ospedale e il servizio postale. I ragazzi più piccoli frequentavano la scuola in Santa Maria al Bagno, mentre i più grandi il ginnasio e il liceo a Nardò.
I ragazzi italiani familiarizzavano sempre più con i ragazzi e le ragazze ebree. Erano sempre presenti in tutte le feste, specialmente quando si ballava o c’era la possibilità di assaggiare i saporitissimi ed abbondanti dolci che venivano preparati.
La loro cucina, molto diversa da quella dei locali, incuriosiva non poco quest’ultimi che si meravigliavamo nel veder preparare le polpette con la polpa di pesce cotta nel brodo zuccherato, sempre di pesce; oppure bagnare il pane nel latte preparato con il latte in polvere per essere passato nella farina e, dopo averlo zuccherato, essere usato per colazione con il thè. I dolci erano la loro specialità! Ne facevano di tutti i tipi, forme e sapori.
Durante la loro permanenza si celebrarono, e non solo all’interno della loro comunità, circa 400 matrimoni, uno dei quali tra una ragazza del luogo Giulia My e Zivi Miller, autore dei tre murales, che era scampato, con una fuga rocambolesca durante un trasferimento, dal campo di concentramento dove aveva perduto la moglie e il figlio.
Nelle ville delle Cenate alloggiarono gli ufficiali inglesi, delegati a gestire il Campo. Nella villa “Ave Mare”, sulla strada per Santa Caterina aveva sede l’alloggio e la mensa delle Crocerossine, e a Villa Tafuri, nelle vicinanze del parco di Portoselvaggio, il club Ufficiali della RAF. In questa villa venivano spesso organizzate feste da ballo, dove si poteva anche mangiare e bere a volontà.
Anche i giovani italiani frequentavano le feste con le loro amiche ed amici ebrei. Non mancarono gli spazi per il divertimento: campo di calcio presso l’Aspide (tra Santa Maria al Bagno e Santa Caterina), spettacoli e feste da ballo presso il circolo delle “Due Marine” a S. Maria al Bagno.
Durante una festa presso Villa Tafuri giovani ebrei dimostrarono tutta la loro amicizia ai coetanei italiani. I soldati inglesi, forse ingelositi perché le ragazze preferivano stare con i giovani italiani, decisero di mandarli via, ma dovettero recedere subito dalla loro decisione non appena si accorsero che anche le ragazze e i ragazzi ebrei in segno di solidarietà stavano abbandonando la festa.
Gli Ebrei si trovavano bene, ma sapevano anche che un giorno sarebbero andati via: chi in America, chi sarebbe rimasto in Europa e forse in Italia, chi in Australia e chi ancora in Sud America. La meta preferita era però la loro “Terra Promessa”, dove era nato ed era vissuto per millenni il loro popolo. Sapevano, però, che questo non era facile per l’ostruzionismo degli inglesi, filoarabi, sui cui territori avevano il protettorato.
Contro la posizione inglese, in campo internazionale, era molto attiva la società segreta Betar (B: Brit, patto + Trumpeldor, eroe ebreo), nazionalista, cui aderivano molti giovani, così come alcuni presenti nel Campo.
Pertanto non mancarono aspetti politici né giovani che poi sarebbero stati personaggi importanti per lo stato d’Israele, come Dov Shilanski, deputato al Parlamento d’Israele (Knesset) dal 1977 al 1996, di cui fu Presidente dal 1988 al 1992.
Stando ai ricordi dei residenti del posto, ma per adesso non ancora supportati da alcun documento, furono presenti anche personaggi di rilievo per il futuro Stato d’Israele, come David Ben Gurion, all’epoca P r e s i d e n t e del l ‘Organizzazione ebraica mondiale e nel 1948 guida politica per la proclamazione dello stato d’Israele, di cui sarà il primo presidente, e Golda Meir, che sarà per molti anni Primo Ministro ed importante punto di riferimento per il suo paese.
Testimonianza dell’attività politica è rappresentata da tre murales, realizzati in altrettanti muri in una casetta, al tempo adibita a deposito. Nel 1947 il campo fu chiuso. Molti ebrei lasciarono con dispiacere i loro amici italiani. Si scambiarono gli indirizzi e si promisero a vicenda che si sarebbero tenuti sempre in contatto.
Successe per un po’ di anni, ma poi i contatti finirono anche se nel cuore rimase sempre il ricordo del tempo passato assieme.
E poi erano e sono lì i murales, anche se anch’essi, lentamente si stanno consumando.
Il murales centrale racconta la storia degli Ebrei, liberati dai campi di concentramento, raffigurati nel disegno dal filo spinato al centro dell’Europa, fino all’arrivo a Santa Maria al Bagno, nel Sud dell’Italia, dove l’identico teorema lunghissimo di persone riprende gioiosamente il cammino versola Terra Promessa, raffigurata dalla stella di David e dalle palme del deserto (le scritte: diaspora, sx, e Terra d’Israele, dx).
Il murales di sinistra evidenzia la religiosità del popolo ebraico, raffigurando il candelabro a sette braccia, posato su un altare con due soldati ebrei ai lati (le scritte: In guardia, sotto, e, ai lati della stella, Tel-Hai, dove fu ucciso il patriota Trumpeldor.
Il murales di destra presenta una madre con due bambini, che, al di qua di un posto di blocco, chiede ad un soldato inglese di poter entrare in Gerusalemme, ma invano: gli Inglesi osteggiavano la costituzione dello Stato di Israele (le scritte: Aprite le porte, tra la donna e il soldato, e Tel-Hai sulle bandiere).
Bellissimo lavoro grazie
Pierino Lega 5 marzo 2015
I posteri grati ringrazieranno per questa eccezionale documentazione dei fatti inediti avvenuti alla fine della seconda guerra mondiale. Grazie Paolo
Dove si trovano i murales?grazie e complimenti
nel museo della memoria di S. Maria al Bagno
NERETUM…….
Complimenti all’autore per l’articolo e per le belle foto, talune note altre inedite, ma soprattutto perchè è stata narrata , tramite questo piacevole racconto, la vicenda che ha dato lustro al nostro paese. Personalmente non la conoscevo per intero e sicuramente, dopo averla letta, mi sento più erudito in merito. Più spesso si dovrebbero raccontare in questo modo episodi reali di vita vissuta inerenti la storia della nostra città, per poter tramandare ai posteri le testimonianze del passato. Grazie.
Interessante ricostruzione storica. Grazie
Quando tornero’ al mare sugli scogli di Santa Msris guardando la piazza mi ricordero’ di tutto questo. Parte della mia famiglia e’ stata trucidata nella strage di Marzabotto non erano Ebrei ma partigiani . Grazie per aver ricordato tutto questo e averlo fatto conoscere a chi come me ama i vs luoghi . La MEMORIA e’ sacra. Luisa Cioni – Milano
[…] A Nardò (Lecce) il campo profughi n° 34 di Santa Maria al Bagno, 1944-1947 […]
Grazie Paolo per queste memorie. Chi era Paolino Pisacane, tuo nonno?
Ogni tanto si trova qualcosa di interessante su Facebook, complimenti.
Bellissimo racconto, io sono di quella zona e non lo conoscevo. Grazie all’autore…
io ho il privilegio di esser amico di paolo pisacane il cui padre ha mostrato a me privatamente i murales anni fa.penso che pisacane sia un cognome ebreo, come il mio, de simone.i ebraico ben simon,……..nel 47 ho villeggiato a mondonuovo………ricordo di una sera in un gran cortile pieno di gente mio padre ha improvvisato un spettacolino vestito da fachiro……..e nel gran finale ha gridato a tutti che avrebbe mostrato il culo piu’ bello del mondo…….e mi prese in braccio, mi calo’ le mutandine….e mostro’ orgogliosamente il mio roseo culetto a tutti…………ed anche le stelle sorrisero……….
Il mio ultimo libro “L’Ultima Diaspora” riporta in copertina il murale di Zvi Miller. E’ un libro divulgativo, di facile lettura (anche in versione ebook), che propone la storia dell’ebraismo, per spiegare cosa è successo nei secoli e i perché di tanto odio. Durante la mia breve visita a Santa Maria al Bagno (settembre 2014) ho potuto conoscere la storia che Paolo Pisacane propone in queste pagine. Ho provato tanta emozione e mi piacerebbe che certe informazioni fossero conosciute in ogni angolo d’Italia.
La prima volta che con la mia famiglia abbiamo trascorso la prima vacanza a Santa Maria al Bagno io ero ancora bambino,sono nato nel 1941,credo fosse il 1948 o 1949. Le case portavano i segni del passaggio dei profughi slavi,dalmati,istriani,ebrei, non era uno bello spettacolo: molte case senza porte e finestre,su ogni casa esternamente c’era la scritta D.D.T.ville bellissime semidistrutte,alla Villa Larini, sulla strada per Galatone,mancava tutta la balaustra in pietra leccese,tutti gli infissi e altro tanto che fu abbandonata per decenni. Anche le famose e belle ville delle Cenate subirono danni alcune ville rimasero inutilizzate per decenni. A me sembrò,ed è sembrato anche negli anni successivi, che fosse passata un orda di barbari. Non so se i danni furono causati dagli slavi o dagli ebrei ma ci furono ed ingentissimi. Il vostro è un bel racconto sicuramente preciso da un punto di vista storico ma un po’ elogiativo nei confronti dei profughi che danni ne fecero moltissimi. Danni che ho visto per anni e anni durante le vacanze estive. Fernando Venuti.
Molto interessante.
Sono orgoglioso di essere un salentino (nato a Neviano), anche se ora vivo a Perugia.
L’ospitalità salentina è stata e rimane l’orgoglio della nostra terra.
Oggi sono stato al museo a S. MARIA AL BAGNO.
È stato qualcosa di inspiegabile….Mi sono commosso da quanto amore è stato versato su questo popolo perseguitato. Spero che ancora oggi ci sia questo sentimento verso profughi e gente disperata che non ha piu speranza. L’amore per il prossimo può ogni cosa. Le case si possono ricostruire…ma dare dignità ha una persona non ha prezzo. Un grazie e un abbraccio al popolo Salentino.
Un contributo bibliografico
Ex appartenente alle “S. S.” tedesche linciato dagli ebrei, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 7 agosto 1946.
Nel testo: «… tal Luigi Manno sulla spiaggia di Santa Maria al Bagno da parte di numerosi componenti la colonia ebraica».
Il “linciato” di S. Maria è invece vivo, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 10 agosto 1946.
Nel testo: «…il nominato Manno Eduardo (e non Luigi) fu Luigi ha fatto parte col grado di maresciallo delle “S. S.” durante l’occupazione tedesca è ora fuori pericolo».
581. Ebrei a Nardò, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 13 ottobre 1946.
Nel sommario: Accolti fraternamente da tre anni vivono nei campi senza che si pensi di trasferirli altrove. Necessità di sgombrare una ridente spiaggia del Salento. Voti al Governo.
Articolo siglato con (l. d. t.)
Le storie che mi hanno raccontato i miei parenti, in particolare lo zio Gino, sono uniche. Da bambino mi ricordo che entravamo in questa casetta per giocare e vedendo i disegni sui muri dicevamo: “quiddhu ti ssimegghia”,e cose del genere. Mi ricordo che per entrare dovevi camminare su un metro di spazzatura. Chiaramente nessuno ci disse cosa fossero e a chi appartenessero. Ancora Grazie Paoletto
Dario Muci
INTERESSANTE E SORPRENDENTE, PER CHI NON CONOSCE QUESTA REALTA’.