di Clara Miccoli
La pasta di mandorla, chiamata anche “pasta reale”, è un dolce tipico del Salento le cui origini sono antiche, poiché veniva probabilmente preparata in Oriente e in Nord Africa anche prima del Medioevo mescolando miele e farina di mandorle. Essa appartiene sostanzialmente alla tipologia dolciaria della “khalva” di sesamo o della “kubaita” arabo-bizantina, transitata in Puglia e Calabria con il nome di “cupeta” o “copeta”.
La pasta di mandorla salentina è completamente diversa dal marzapane siciliano – specialità a essa in apparenza molto simile – poiché in quest’ultimo c’è una preponderanza di zucchero su una quantità di mandorle limitata. Al contrario la pasta di mandorle si prepara secondo un rapporto 1:1 di zucchero e mandorle, oppure – molto meglio – 1 kg di mandorle contro 800 grammi di zucchero; ed è in realtà questo il vero dosaggio della ricetta tradizionale. Torniamo un momento alla storia di questa autentica delizia dell’Italia meridionale: il secolo del suo trionfo fu il XVII secolo, cioè l’età barocca, quando a Lecce, capoluogo di questa provincia, si insediarono nei conventi e nei monasteri molti ordini religiosi di provenienza spagnola. Le monache, che non vivevano di sole offerte da parte dei fedeli, svolgevano una vera e propria attività di pasticceria nei loro laboratori e nelle loro cucine: queste donne, ispirate non solo dalla fede ma anche da brave consorelle istruttrici di origine ispanica, producevano ostie per l’eucaristia e anche dolcetti per i banchetti del vescovo; vendevano ogni anno decine di kg di pasta di mandorla modellata in forma di pesci, di agnelli pasquali, di frutta o di conchiglie marine per il fasto delle famiglie aristocratiche. Ed ecco la caratteristica principale di questi dolci: ancor oggi essi sono fabbricati con queste stesse forme che non cambiano da almeno quattro secoli.
Sveliamo ora il segreto della preparazione della autentica pasta di mandorla, senza incorrere nelle facilonerie dozzinali di certi manuali o nel rischio di seguire la ricetta del marzapane siciliano pensando che sia uguale a questa rara prelibatezza della Puglia meridionale. Cominciamo dalle mandorle: esse devono essere della cultivar “Filippo Cea”, coltivata da Bari al Capo di Santa Maria di Leuca e direi quasi egemone nelle campagne di Nardò e Copertino. Se si usano mandorle californiane o turche o maghrebine o le stesse mandorle siciliane, macinandole si corre il rischio di ottenere una farina che trasuda troppo olio: la varietà “Filippo Cea”, infatti, ha un frutto croccante, saporito, profumatissimo e – cosa più importante – equilibratamente ricco di sostanze grasse. Le mandorle secche vanno immerse almeno un’ora in acqua non troppo calda, pelate, disposte su un canovaccio di lino pulitissimo e lasciate asciugare. Dopodiché vanno macinate in una comune “moulinette”, facendo attenzione che la farina che se ne ricava non sia troppo fina: diciamo che conta molto l’occhio e la mano, e che non deve essere né grossolanamente granulosa né esasperatamente polverizzata. Da questo momento inizia la preparazione della vera pasta di mandorla che deve essere bollita e non a crudo. Si prenda una pentola di alluminio non troppo alta ma abbastanza larga, si versi 1 kg di zucchero, si aggiunga poca acqua, si rimescoli e si ottenga uno sciroppo piuttosto denso. Accendete il fuoco del fornello a temperatura media e versate piano la farina di mandorle nello sciroppo rimescolando continuamente con un frustino. Mano a mano che il composto si fa sempre più denso sostituite il frustino con un cucchiaio di legno e non cessate di girare la pasta sul fuoco acceso fino a quando non assumerà la consistenza di una polenta. Fate attenzione a non fare attaccare la pasta al fondo e a non bruciarla: gli sbuffi e la resistenza della massa al vostro rimescolamento vi avviseranno che la cottura sta per terminare. Quando spegnete il fuoco non preoccupatevi di svuotare subito il contenitore: il composto può benissimo restare a raffreddare là dove sta. Molti si chiederanno a che cosa è servita questa cottura: nient’altro che a far amalgamare i granuli di mandorle senza schiacciarli, grazie al legante costituito dallo sciroppo di zucchero e dagli oli essenziali; e inoltre il profumo e il sapore che ne risulterà sono assolutamente deliziosi e incomparabili. Questa è un’operazione fondamentale che pochi conoscono; infatti in molte pasticcerie, per guadagnare tempo, si ricorre a diversi passaggi della farina di mandorle e dello zucchero (a crudo) in una macchina dotata di rulli. Il risultato è un orribile cemento che spesso nasconde vere e proprie truffe ai danni dei consumatori, e cioè dosaggi di zucchero fino a due volte la parte di mandorle, o peggio ancora l’impiego di solo zucchero aromatizzato con estratti chimici che imitano il sapore e il profumo di mandorla. Dopo un’ora circa prendete porzioni di questa pasta e stendetela dolcemente con un matterello su un piano che non crei aderenze (o plastica o fòrmica). Quindi foderate gli stampi di gesso, di vetro o di terracotta con queste sfoglie dello spessore di mezzo centimetro avendo cura di stendere tra la superficie interna dello stampo e questo primo strato di pasta di mandorla un foglio trasparente per alimenti (quello che comunemente si usa per avvolgere i cibi e conservarli in frigorifero). Si tratta di un’operazione che richiede molta cura affinché il tessuto di pasta non si strappi. Ritagliatelo intorno alla sagoma usata, anche nel caso in cui decidiate di usare come stampo una “Coquille St-Jacques”. Poi cominciate la farcitura in quest’ordine: 1) un velo di pan di Spagna; 2) una spalmata di confettura di pere; 3) una presa piccolissima di mandorle tostate e macinate; 4) qualche frammento microscopico di buccia di limone tagliata sottilissima; 5) un ultimo velo di pan di Spagna; 6) l’ultima sfoglia di pasta di mandorla, cioè quella di chiusura. Accertatevi che quest’ultima sfoglia si saldi bene con la prima, e dunque capovolgete delicatamente lo stampo direttamente sul piatto di portata o su delle formine di carta riccia da pasticcere, staccate il foglio traparente e iniziate la decorazione a colore. In tal caso potete sbizzarrirvi a vostro piacere: per colori ambrati o scuri usate gradi diversi di diluizione in alcol o liquore di polvere di cioccolato; per i colori arancio, giallo o vermiglio vanno bene lo zafferano o l’alkermes. In nessun caso, vi prego, usate coloranti artificiali! Dopo la colorazione potete decidere di cospargere queste vostre opere d’arte di zucchero a granelli, mai di zucchero a velo. Ultima opzione: il pan di Spagna può essere inzuppato di liquore “Strega” o di qualunque altro liquore dolce del tipo “Benedictine”, altrimenti risulta troppo asciutto. Se poi volete creare il capolavoro, nel perfetto stile delle monache di età barocca, aggiungete sullo strato di confettura di pere un cucchiaino di “faldacchiera” (è uno zabaione molto molto denso di rosso d’uovo e zucchero) ma vi prego di consumare il dolce molto in fretta.
Riproduzione vietata senza il consenso dell’Autrice; pubblicato su Spicilegia Sallentina. La Fondazione Terra d’Otranto ringrazia Gino L. Di Mitri per la cortesia.
Clara Miccoli ha dapprima acquisito i saperi concernenti la cucina
dolciaria salentina attraverso un fecondo apprendistato da “esterna”
presso il Monastero delle Clarisse di Soleto, un tempo febbrile
officina sia di angeliche contemplazioni che di più materiali delizie
gustative; in seguito ha “rubato” i segreti della pasticceria monastica
ad altre congregazioni della nostra provincia. Sposata e con un figlio,
ha fatto del proprio ruolo di casalinga occasione di studio e di
affinamento delle più svariate pratiche gastronomiche, conseguendo una
conoscenza del mangiar bene di Terra d’Otranto che pochi possono
degnamente condividere con lei. Ha attualmente in preparazione, in
uscita sul prossimo numero di “Spicilegia Sallentina”, un saggio
monografico sulla confettura di pere più comunemente nota in Salento
come “perata”.
Cari amici, come sapete vi voglio bene e non amo in alcun modo polemizzare con alcuno. Essendo tra i primi soci della Terra d’Otranto nonché grandissimo estimatore dell’opera di Marcello Gaballo Pier Paolo Tarsi e quanti si impegnano nella fondazione e nella ricerca culturale di ciò che ha a che fare con la memoria del nostro territorio, mi permetto di suggerire una maggiore attenzione nella promulgazione di notizie e argomentazioni. La credibilità deve avere solido fondamento scientifico e non lasciarsi travolgere da facili semplificazioni. Il presente articolo ha una qualche inesattezza magari perdonabile ma uno svarione assai pesante sul quale occorre riflettere.
La mandorla e la sua riduzione in pasta datano ben prima del XVII – simo secolo (la pasta e il latte di amandole sono già presenti nell’anonimo toscano e nell’anonimo veneziano) ma, soprattutto la ricetta non può esser fatta risalire al XVII-esimo secolo secondo quello che è spiegato nell’articolo perché la Filippo Cea che, insieme alla Genco e alla Antonio De Vito sono le cultivar che formano il presidio della mandorla di Toritto, la Filippo Cea nel XVII-esimo secolo semplicemente non poteva esistere poiché è stata selezionata per l’appunto da Filippo Cea, nato a Toritto 1l 12 novembre 1856 e ivi deceduto il primo di aprile 1929. La selezione fu effettuata tra il 1895 e il 1896 e l’agnello di pasta di mandorle esisteva già da due secoli …
Lascio il commento sperando in una revisione del saggio prima di render pubblica tale discrasia. Infine non é necessario essere antichissimi per esser nobili, meglio esser precisi.
Così la faceva mio padre che era calabrese (nato nel 1922) ..qualche tempo fa ho visto dei pasticcini di pasta reale, provenienti dalla Puglia, decorati proprio come quelli che faceva mio padre..segno che sia quella pugliese che quella calabrese hanno la stessa origine..abbiamo ancora i stampi di gesso per gli agnelli..
premetto che sono siciliana ma che non sono le mie origini a farmi polemizzare con la premessa dell’articolo.laddove si enuncia che ” nel marzapane siciliano c’è una preponderanza di zucchero sulla mandorla che è in quantità limitata”.Ho una zia suora in un convento dell’agrigentino e sin da quando ero piccola (ho 52 anni) ho sempre gustato l’agnello di pasta di mandorle con le seguenti proporzioni:per ogni kg di mandorla 700 gr. di zucchero….mi dite dove sta la differenza tra la pasta di mandorla siciliana e la pasta di mandorla salentina?.Anche il voler a tutti costi fare la distinzione tra pasta di mandorla e marzapane….non vedo perchè quella siciliana debba chiamarsi marzapane e quella salentina pasta di mandorla…mah
cordiali saluti
Sono di Roma e non ho mai dimenticato la bontà della pecorella ripiena di confettura di mele cotogne che un’amica di famiglia di Lecce ci portava quando ero bambina…Sono passati più di 50 anni e non la ho più gustata…Qualcuno sa dove posso ordinarla, magari per posta? A Roma, che io sappia, non esiste…..
è un prodotto tipicamente pasquale. Ce lo ricordi in quel periodo e provvediamo a fargliela avere
può ordinarlo presso le suore benedettine a lecce, mi pare abbiano un sito internet e in questo periodo natalizio preparano la pasta di mandorla a forma di pesce con la faldacchiera.
Grazie Donatella, provo subito….Avevo trovato a Roma una pasticceria che si definiva “leccese” e l’altr’anno aevo ordinato la pecorella…..che delusione! Ora provo con il pesce!
Ho appena ordinato 2 agnelli di pasta di mandorla presso le suore benedettine di Lecce
Come si fa per ordinare online? Grazie
sul sito delle Benedettine di Lecce trova le indicazioni
Grazie infinite! Non vedo l’ora che arrivi Pasqua!!!!!!!
Il prodotto siciliano si chiama marzapane, quello salentino pasta di mandorla o pasta reale. Ogni territorio ha le sue denominazioni storicamente determinate. Che la parente suora della signora siciliana usi le dosi citate è un conto: i prodotti commerciali di pasticceria vedono l’impiego preponderante se non totale di zucchero, e ciò fa di essi una cosa a dir poco insulsa. De Luca, fare i puntigliosi lascia il tempo che trova: va da sé che le cultivar di mandorlo citate segnano i destini contemporanei della pasta di mandorla; prima di essi venivano impiegate altre varietà. In ogni caso i salentini – pasticceri o privati – DEVONO difendere con orgoglio la specificità della propria tradizione. Punto e basta.
Vorrei sapere se con questa ricetta si possono fare oltre a questo dolce,anche i tipici dolcetti come in foto a forma di frutti o quelli con l’amarena al centro e poi ricoperti di cioccolato?…grazie!!!
Sig. Di Mitri, la dicitura “marzapane” indica un prodotto generico con estratti di mandorle e generalmente derivati. In Germania il marzapane è prodotto tipico ma non credo abbia nulla a che fare con la pasta di mandorle del Meridione. In Sicilia la pasta di mandorle composta per il tipico “Agnello pasquale”, tipico di Favara (AG), produzione antichissima le cui origini sono documentate e quella della “Frutta martorana” (dolce così chiamato perché, tra leggenda e realtà, sarebbe stato “codificato” dalle suore del convento della Martorana,a Palermo, almeno dal XIII° secolo) si chiama da sempre pasta reale. Saluti
Polemica davvero sterile, se non ridicola. Difendere i propri prodotti e tradizioni, non significa denigrare le specialità di altre regioni. L’ Italia è bella tutta e la nostra cucina e pasticceria straordinarie davvero.
Per inciso concordo esattamente con Mariapia, anche da noi nel palermitano si usa questa stessa dose per quella che da sempre chiamiamo Pasta Reale….vedete un po voi…
Dove posso trovare la pasta reale ad Otranto o altro luogo in Puglia. Grazie
ricetta espressa in modo ottimale e precisa
Salve a tutti.
Sono messinese e in quanto tale (le sintonie tra cultura siciliana e salentina sono tante e varie per ragioni storico-geografiche e direi etnoantropologiche) provo grande fascino e nutro interesse per il Salento.
Mi permetto di far notare che per una Fondazione seria e di grande pregio e valore quale è Terra d’Otranto (ho avuto il piacere di ricevere a casa in omaggio due numeri degli “Studi”, materiale inviatomi da Marcello Gaballo, cordiale uomo di studi legato alla propria terra da grande amore e senso di appartenenza),pubblicare un articolo del genere, sebbene pregevole in talune descrizioni, è stata una scelta forse poco oculata: l’intervento risulta caratterizzato da una impostazione di fondo volta al discredito di lavorazioni raffrontabili a quella descritta e ciò viene fatto al solo scopo di esaltare “campanilisticamente” una produzione sulla base del fatto che sia tipica del prediletto territorio di riferimento. Trovo che sia di gusto discutibile la scelta di voler far apparire la lavorazione salentina ben al di sopra di una tradizione siciliana che di per sé viene presentata come intrinsecamente scadente: si può ritenere che una o l’altra sia migliore (al netto del personalissimo “fattore gusti”,elemento da considerare) ma voglio fare presente che, di norma, nelle narrazioni i prodotti eccelsi della cultura gastronomica della mia terra vengono sempre esaltati senza la necessità di confrontarli in discutibili graduatorie: è una questione di stile. Inoltre, va detto che è tutto da dimostrare il fatto che la pasta reale salentina sia più raffinata della pasta reale siciliana (la denominazione appartiene anche alla Sicilia a buon diritto da sempre, la dicitura “marzapane” è più generica e non individua la specificità siciliana). Saluti
Come spesso ripetiamo, gli articoli pubblicati sul nostro sito non rispecchiano il pensiero della fondazione. Sullo stesso argomento assai spesso pubblichiamo diverse trattazioni, che variano in base all’autore.
La sua precisazione. comunque gradita e ben accetta, integrerà o specificherà quanto esposto su ricette e preparazioni che si diversificano già nello stesso Salento.
Spero che l’autrice vorrà replicare alle sue osservazioni, al fine di convergere su una così nobile preparazione. La saluto cordialmente e La ringrazio per l’attenzione
Ero certo di una sua cordiale risposta. Grazie a lei. Cordialità
Condivido la ricetta della pasta di mandorle: è quella dela mia nonna. Per la farcitura, in alternativa alla confettura di pere si usava la marmella di uva bianca o di melecotogne, nella faldacchiera mi sembra ci fosse un po di liquore. Saluti MTV
le mandorle che rendevano unica la pasta reale leccese erano le “Catuccia “(Agatuccia) quasi tonde,guscio durissimo e presenza quasi sempre di due frutti concatenati grazie alla loro forme diverse una concava e l’altra convessa.Presente quasi esclusivamente nelle campagne di Galatone e Nardò,oggi quasi scomparsa e presente solo in giardini privati e che bisognerebbe salvare come parte della nostra cultura.Molto grasse tanto che quando si macinavano con i vecchi tritacarne a manovella fissati ai tavoli uscivano insieme alla pasta tritata gocce di olio di mandorla.Per avere un ricordo vago di quel sapor sono costretto a caricare l’insapore pasta di mandorla odierna con mandorle amare ma non è la stessa cosa.
L’articolo ha pretese di verità e discredita preparazioni analoghe di altri territori, con argomentazioni risibili.
In ogni caso, rimtracciare, sul mercato comune, mandorle di provenienza, non dico pugliese o di Avola, ma almeno italiane è quasi impossibile ed è questa la causa reale del sapore esclusivamente “di zucchero” di molte preparazioni.
Il resto, è solo questione di gusti, varianti, evoluzioni da regione a regione, da territorio a territorio, addirittura da famiglia a famiglia, In cucina e in pasticceria, non esistono verità assolute.