di Daniela Lucaselli
“Anche a non essere mai esistito, bisogna inventarselo il ponte che alcuni studiosi di antichità tarantine dicono congiungesse la Penna al Pizzone”
(Vito Forleo, Taranto dove lo trovo)
Non tutto ciò che affermiamo è documentato come dato certo… spesso c’è traccia di leggenda…
E allora scopriamo e cerchiamo di saperne di più di questa città. Una prima disquisizione interessa il Ponte Punta Penna Pizzone.
Scrittori antichi e moderni hanno trattato o accennato all’antico ponte di Taranto. Esaminiamo insieme questi aspetti che risultano interessanti ed intriganti.
Il Merodio (1), nella sua Historia tarentina parla dell’esistenza di un ponte fra Punta Penna e il Pizzone. Testualmente così scrive: “Però si vede chiaramente che il gran sito dell’antica città prima che fusse soggiogata da Fabio Massimo, poiché si vede il principio delle fosse della lama di S. Giovanni, luogo ormai distante dalla città 5 miglia circa, come anco hanno osservato li nostri antichi. Nel luogo dove oggi si dice il Pozzone era il Myonceo, come scrive Polibio (libro VIII), vicino al quale vi era il poggio detto di Apolline Giacinto alla riva del Mar Piccolo; dove anco era la famosissima porta chiamata Temenida dalla quale cominciava un superbo ponte sotto il quale scorreva detto mare e terminava alla riva opposta detta la Penna, dove era un gran borgo abitato dalli Piscatori, e guardato da una forte torre, per lo che fu detto Turripenna”.
Tale dato, riportato quasi esclusivamente da scrittori locali, lascia spazio a tanti quesiti, in quanto ci domandiamo come un’opera tanto determinante in tutte le operazioni militari della nostra città, non sia stata notata o rilevata da alcuno in precedenza.
Siamo nel XVII secolo. Filippo Cluverio, studioso della geografia antica d’Italia, parla di Taranto e del “suo” Ponte: “Essendo il golfo di Taranto per la maggior parte importuoso, nelle vicinanze della stessa Città sorge un bellissimo e grandissimo porto, unito alla città con gran ponte, e l’istmo che abbraccia uno spazio di 100 stadi si estende dalla insenatura più interna sino al mare più esterno; poiché la Città è posta su una penisola, le navi vi giungono facilmente da ogni parte, essendo la entrata della penisola stessa in dolce pendio”.
Il “canale” fra la Penna e il Pizzone non viene neppure menzionato.
Il Cluverio, nel descrivere il ponte (attinente a quello attuale di Porta Napoli), indica la distanza di 100 stadi che intercorre fra l’insenatura più interna fino al mare più esterno. Se lo specialista avesse voluto far cenno ad un altro ponte, esistito in epoca remota, avrebbe dovuto indicare una distanza fra questo “presunto” ponte e il mare esterno, spazio che sarebbe risultato inferiore ai cento stadi.
Il noto patrizio tarantino Tommaso Niccolò D’Aquino nelle sue “Deliciae Tarentinae”, un poemetto in quattro canti, descrive l’antica magnificenza e sontuosità di Taranto, la grandiosità dei suoi monumenti, le bellezze naturali della località e dei suoi dintorni. Cataldantonio Carducci- Artenisio, dopo la morte del D’Aquino, curò l’edizione postuma dell’opera e l’arricchì di interessanti ed accattivanti note storiche, archeologiche, geofisiche e di storia naturale. E’ lui il “primo” degli scrittori tarantini che accenna a un ponte di pietra, esistito in età antica, fra la Penna e il Pizzone.
Nel 1878 fu pubblicata una Storia di Taranto in 5 volumi, di Padre Domenico Ludovico De Vincentiis, che cita come “dato certo” l’esistenza del ponte tra la Penna e il Pizzone.
Nelle sue pagine così si legge (2): “… questo porto era l’attuale Mar piccolo, nel quale sorgono molti citri perenni d’acqua dolce. La sua lunghezza è di circa 6 miglia e 2 di larghezza, con un circuito di miglia 14. Il maggiore giunge a sud-ovest sino alla punta del Pizzone e a sud-est al promontorio della Penna, i quali punti erano uniti da un lunghissimo ponte tra l’antica città e l’opposto continente. Sul promontorio eravi una torre appellata Turris poenarum (Torre del Cartaginesi); ivi presso Annibale accampava le sue genti e da quella torre (sic) rispose al primo segnale con una fiamma ai congiurati tarentini per assaltare la rocca presidiata dai Romani. L’altro bacino più piccolo (!), conosciuto col nome di piano non faceva parte del porto ed era diviso dello altro bacino, dal cennato porto. Presentemente essi sono in continuazione dacchè fu tolto il ponte”.
Nel 1804 Vincenzo Cuoco, scrittore, filosofo ed uomo politico, pubblicò il romanzo storico-filosofico Platone in Italia, nel quale, attraverso la narrazione di un viaggio di istruzione di un giovane greco, Cleobolo, e del suo maestro Platone, nella Magna Grecia all’inizio del V secolo, si propone di dimostrare, sull’attestazione di quello che gli antichi hanno a noi trasmesso, come la civiltà italica fosse precedente a quella ellenica. Nella sua opera parla della città di Taranto prendendo le notizie da Polibio e Strabone, non accenna al ponte di Porta Napoli, ma afferma che “un’isola chiude l’entrata del porto e in essa vi è una rocca, la quale comunica con la Città per mezzo di un ponte”. E’ da questo ponte che, guardandola Città, si vedono tre ampie strade lungo le quali si possono ammirare le più grandi opere pubbliche: il tempio di Ercole, il Teatro, il Tempio di Nettuno, il Museo, ecc., e i promontori della Penna e del Pizzone uniti da un ponte.
L’opera del Cuoco nella parte archeologica e topografica presenta diverse inesattezze, comuni con il Carducci dal quale il nostro scrittore ha preso spunto.
Qualche tempo dopo, Giovan Battista Gagliardo in un suo libro, intitolato “Descrizione topografica di Taranto”, descrive la polis e l’antica Acropoli. Nella parte III del libro l’autore parla del Mar Piccolo e dice: ”…il seno più grande è al di là del promontorio della Penna, e non appartiene al porto, perché è diviso dal seno più piccolo da un ponte che univa la Città al continente il quale serviva non solamente per il passaggio alla campagna settentrionale, ma altresì per rendere per rendere sicure le barche in occasione dei venti di levante o greco, i soli che turbano la quiete di queste acque”.
Il Gagliardo, esattamente come il Cuoco, attinge dal Carducci. Anche il celebre storico e archeologo francese Franҫois Lenormant, a proposito del ponte Punta Penna-Pizzone, così scrive nella sua opera “La grande Grèce” (3): “L’étraglement qu’ils produisent est assz reserré pour que, dans l’antiquité, les deux pointes aient été reliées par un pont dont parle Stabon ed dont on voit encore quelques vestiges. Ce pont formait alors le grand port de Tarante”. Il Lenormant cita come fonte testuale solo Strabone, scrive di aver visto dei ruderi, ma dubita che si trattasse di rovine di ville. Le notizie di matrice topografica ricordano le linee seguite dal Carducci, dal De Vincentis e dal Gagliardo. Ammette, non senza ombra di dubbio, l’esistenza del Ponte fra la Penna e il Pizzone.
Altro prezioso contributo ci viene offerto dal nostro concittadino prof. Luigi Viola, che diresse i lavori di scavo nell’”antica urbs tarentina”, negli anni in cui era iniziata l’opera di ripristino edilizio, la costruzione dell’Arsenale e lo scavo del canale navigabile che, con la sua profondità di 12 metri, riusciva a risolvere, anche se solo parzialmente, l’impaludamento del mar Piccolo. Nella sua “Relazione” del 1882 fece riferimento alle fonti pervenute dall’antichità, arricchendole con una sua personale ed inestimabile interpretazione critica.
Nel 1882 lo storico tedesco, Ferdinando Gregorovius, nel suo libro “Nelle Puglie”, racconta la storia di Taranto dalle origini ai suoi tempi e non fa alcun accenno al ponte frala Penna e il Pizzone.
Dopo due anni da questa pubblicazione il conterraneo Arcangelo Valente (1844-1903), prendendo spunto dall’alluvione del 14 settembre 1883, che aveva distrutto il ponte di Porta Napoli, pubblicò un opuscolo di Memorie storiche, in cui discute con gli scrittori locali dell’epoca che, in conseguenza della distruzione del ponte, avevano alimentato una questione storica, per cercare di dimostrare chi, in antico, avesse costruito questa struttura. Lo studioso ammette l’esistenza, in passato, del ponte Penna-Pizzone e cerca di dimostrarlo. Nella sua opera più importante, la Storia di Taranto l’autore, facendo appunto riferimento specifico al ponte Penna-Pizzone, si esprime con queste parole (4): “Diviso in due seni (il Mar Piccolo), giunge il primo sino al promontorio della Penna, dove anticamente si vuole sorgesse un ponte, che gli estremi lidi univa”. Quindici anni di ricerche non gli avevano però fornito alcuna certezza sull’esistenza di questo ponte.
Il prof. Gian Battista Dal Lago scrisse nel 1896 sulla Topografia di Taranto antica ed esaminò i problemi topografici ed archeologici dell’antica polis e dell’Acropoli. Nel suo lavoro parla di Taranto e dei suoi mari, dell’Acropoli e della Città antica e dei ponti di Taranto. Egli supporta la posizione del Viola e non dà alcuna importanza alla cultura locale. Constata e sostiene : – che il ponte chiamato oggi di Porta Napoli “ non deve la sua origine a Niceforo Foca, che solo potè averlo ricostruito. Il ponte era antichissimo e senza dubbio esistente durante il dominio romano. Che fosse anteriore alla conquista romana, è probabile, ma mancano le prove per dimostrarlo”; – che il ponte trala Penna e il Pizzone non è mai esistito se non nell’immaginario.
Nel 1898 il prof. Eduardo De Vincentis pubblicò il libro Taranto-appunti, nel quale sono riportate notizie archeologiche e l’informazione che sul fossato, che scindevala Città dall’Acropoli, vi era un ponte dal quale si snodavano le principali vie della Città.
Nel 1923 il sacerdote prof. Andrea Martini pubblicò una Breve storia di Taranto narrata al popolo. Lo scrittore, parlando del ponte fa riferimento al Lib. VI di Strabone e così si esprime: “Un ponte grande e bellissimo, lo chiama Strabone, univa il Pizzone a punta Penna”. Ma è ben noto che Strabone ha adottato questi aggettivi riferendosi al “porto” e non al “ponte”; nel Lib. VI 3,268, infatti definisce il porto amplissimo e bellissimo, specificando che esso è chiuso da un gran ponte.
Lo studioso Egidio Baffi, con il suo prezioso apporto nella storia di Taranto, ha tentato di risolvere la questione dell’esistenza del ponte tra la Penna e il Pizzone “con criteri del tutto nuovi e cioè dal lato scientifico”. Il Baffi, convenendo con il lavoro dello scienziato, prof. Cosimo De Giorgi, pubblicato nel 1913, nell’intento di discutere l’asserzione del prof. Dal Lago, che sostiene l’esistenza del ponte Punta Penna-Pizzone frutto della fantasia degli scrittori locali, comincia il suo argomentare con la descrizione del Mar Piccolo; cita gli studi del De Giorgi sulla conformazione litologica delle coste di questo mare; aggiunge che le analisi geologiche messe insieme dal De Giorgi confermano che all’età del pliocene un istmo di terra si estendesse fra la Vecchia Taranto e la terraferma lungo l’attuale canale di porta Napoli; afferma anche che i due seni del Mar Piccolo erano divisi da una lingua di terra, che dalla Punta della Penna si estendeva sino alla costa meridionale, formando due laghetti; ribadisce che questi erano rimasti tali sino all’epoca messapica e che, pertanto, questo istmo fu la strada di comunicazione diretta fra la Città e i contado. Nell’era pliocenica la travolgente corrente della rada che si dirigeva verso il nord riuscì a danneggiare e distruggere l’istmo di ponente e così il Mar Grande si collegò al primo lago, formando il canale di comunicazione ora esistente a nord della Città e di conseguenza “sin da allora la fine del lago di levante si rese inevitabile”.
Le correnti del Golfo avrebbero però continuato ad impervesare con la loro azione distruttiva sull’istmo di terra fra la Penna e il Pizzone. “…tronchi d’albero costituenti un piano, furono sufficienti per riattivare le comunicazioni rimaste interrotte fra le rive del Mar piccolo, ossia fra la Città e il contado a nord della Penna…Col volgere dei secoli però lo squarcio iniziale del molo andò sempre più allargandosi a causa delle menzionate correnti che rodevano i lembi. Fu allora che i dovette avvertire la necessità di un ponte in muratura fra i promontori disgiunti…La Penna finì in esile punta e il fondo del mare, sulla linea, si approfondì. E’ logico quindi ammettere che il ponte in esame, minato alle spalle e alle basi, dovette crollare…”
E’ certo che la disunione fra i due promontori è conseguenza di un abbassamento calcare compatto sottostante le masse argillose, sopraggiunto nel pliocene o anche prima, accresciuto con tutta probabilità dalle correnti di marea e dal movimento ondoso del Mar Piccolo. La lingua di terra non si sarebbe potuta logorare per effetto delle sole correnti di marea, causando un baratro di oltre undici metri di profondità in così poco tempo. Per concludere si deduce che la teoria del Baffi, che asserisce una lenta disgregazione della lingua di terra, con conseguente costruzione di un ponte, prima in legno e poi in muratura, ad opera dei Messapi, non può essere sostenuta. Il Baffi conclude con la seguente attestazione: “Indipendentemente, però, da siffatte ipotesi, noi restiamo con la tradizione popolare ed affermiamo che un ponte esistette alla Penna, e che non poteva non esistere”.
Nel 1939 l’archeologo Pierre Wuilleumier pubblicò a Parigi un’opera intitolata “Taranto dalle origini alla conquista romana”, (5) in cui viene trattato l’argomento dell’antico ponte di Taranto. Lo studioso ammette l’esistenza in passato di un ponte e lo identifica con quello attuale di Porta Napoli, mentre nega quello tra la Penna e il Pizzone, ipotizzato dagli storici locali, perché “questa ipotesi è inconciliabile con i testi, l’ampiezza del bacino e i bisogni della Città”.
Nell’ottobre del 1958, in occasione dell’inaugurazione del nuovo Ponte girevole sul canale navigabile, il “Corriere del Giorno”, giornale locale, pubblicò un articolo dal titolo ”Taranto antica… più moderna dell’attuale. Ai tempi dell’Archita esisteva il ponte tra la Punta Penna e il Pizzone!”, a firma di Cosimo Augenti. In questo “pezzo” l’autore sostiene che il più antico ponte fu, senza ombra di dubbio, quello che, sin dal remoto V secolo a. C., congiungeva la Penna al Pizzone; menziona lo Strabone con la sua definizione : “Un ponte grande e bellissimo”; asserisce che da questo ponte i tarantini potevano ammirare i più importanti monumenti della polis; ed inoltre che “su quel ponte affluì una gran folla allorchè nel cielo di Taranto fu vista un giorno librarsi la colomba di legno che, munita di un congegno meccanico, fu lanciata da Archita – precursore dell’aviazione – da una delle torri esistenti, in quel tempo, sulla costa orientale del Mar Piccolo”.
Fu intorno al X secolo che il ponte probabilmente fu demolito, perché divenuto inutile dopo che Niceforo imperatore aveva fatto costruire altro ponte (quello di Porta Napoli) in pietra a sette arcate, distrutto poi nel 1882 da un’alluvione.
Dopo quest’analisi, arricchita a volte dai colori della fantasia e dell’immaginazione, il nostro cammino continua…
NOTE:
1) A. Merodio, Historia tarentina raccolta da molti scrittori antichi e moderni e fedelissimi manoscritti);
2) D. L. De Vincentiis, Storia di Taranto, Taranto (1878), vol. I, pag. 36
3) F. Lenormant, La Grande Grèce, Paris (1881), Vol. I, pag. 12;
4) A. Valente, Storia di Taranto, Taranto (1899), pag.35;
5) P. Wuilleumier, Tarante des origines à la conquéte romaine, Paris (1939), pag. 239 e sgg.
Il ponte di cui parla P. Wuilleumier NON era situato dove oggi c’è il ponte di Pietra …egli scrive testualmente che era come quello di pietra e doveva insistere in un’area più o meno vicina. Lo testimoniano dei ritrovamenti archeologici di pavimentazione antica nn molto lontano dal ponte di pietra (Ponte Napoli) odierno. Inoltre I Tarantini di 2200 anni or sono nn disponevano di tecniche architettoniche tali da impiantare piloni di cemento in Mar Piccolo e costruirvi sopra un ponte almeno lungo circa 2000 metri colleganti PENNA al PIZZONE. Non ne avrebbero mai avuto necessità, quella zona risultava spoglia e deserta e inutile per traffici commerciali. Lavocazione commerciale di Taranto era appagata dalle maestose navi da guerra e commerciali che essi sapevano magistralmente manovrare e da ben due porti: uno intyerno in Mar piccolo e uno in Mar Grande, capace di ospitare in rada 130 navi Cartaginesi (Tito livio).Il più antico ponte greco scoperto nella città di Nassos con la massima lunghezza di 70 metri sopra un Fiume.(Enciclopedia Treccani – Ponti Antichi). Inoltre tutti i testi antichi accennanti al ponte lo vogliono ubicato alle porte del porto. Che esistesse più o meno lungo come quello di pietra ci viene anche da ritrovamenti di antiche pavimentazioni a reticolo ( P. Wuilleumier). Gli storici testimoniano che fosse anche attivo quando Annibale prese Taranto, togliendola ai Romani, quundo lì comandava il Pretore Marco Livio Macato.
Cordialità e saluti.
Condivido la tesi dell’inutilità di un ponte antico tra Punta Pizzone e Punta Penna, anche se tecnicamente sarebbe stato realizzabile.
La distanza tra le due sporgenze è di circa 800 metri (anticamente non sappiamo), il ponte di Cesare sul Reno misurava circa 500 metri e dovette resistere a correnti ben più importanti di quelle presenti tra i due seni del mar Piccolo.
http://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_di_Cesare_sul_Reno
Sarebbe bastato in realtà un ponte in legno realizzato con moduli galleggianti, antenato dei più attuali ponti di barche.
Il ponte di barche è la soluzione più plausibile. Del resto non ne rimane traccia in quanto tale.